N. 3 pag. 16 La natura corretta di Pasquale Villani_ Piero Bevilacqua, Manlio rossi-doria, Le bonifiche in Italia dal '700 ad oggi, Laterza, Bari 1984, pp. 437, Lit. 42.000 Non si può dire che la storia dell'agricoltura italiana sia stata og- getto di ricerche numerose ed am- pie, soprattutto per l'età contempo- ranea. L'Italia agricola o, meglio, le Italie agricole erano terra incognita, affermava Stefano Jacini nel proe- mio della monumentale inchiesta agraria, promossa nel 1877, e ricor- dava che "la denominazione di giar- dini della natura che gli stranieri at- tribuiscono al lago di Como, al golfo di Napoli e a poche altre contrade d'Italia, le quali tutte insieme non formano che una minima frazione della sua superficie totale, non può essere reclamata a favore di tutta la penisola e delle grandi isole italia- ne". Nello sfatare un mito, che soprat- tutto riguardava il Mezzogiorno, molto contribuirono anche le de- nunzie di Giustino Fortunato. Ma, come ben sapevano e dicevano que- gli uomini illustri del Risorgimento, non solo le montagne erano spesso dirupate e inospiti, ma anche, in non piccola parte, le pianure erano dissestate, sommerse e malariche. Soltanto una costosa opera di bonifi- ca poteva trasformare quelle distese malariche in fenili campi. E non si trattava solo delle pianure. Bisogna- va sistemare tutto il territorio a mon- te, investendo così colline e monta- gne. Si andrà poi elaborando il com- plesso concetto di bonifica integrale, la cui piena attuazione avrebbe po- tuto interessare e trasformare, in mi- sura maggiore o minore, una parte considerevole della superficie agraria italiana. Nella accezione più ampia possono infatti includersi nei com- prensori di bonifica oltre undici mi- lioni di ettari, cioè ben più di un ter- zo, quasi il 40% della superficie ita- liana. "Comunque si giudichino i criteri che hanno indotto, in passato, ad estendere" in tale misura la classifica dei comprensori, è indubbio che la bonifica ha "un valore straordinario nella vicenda economica" dell'agri- coltura, e non soltanto dell'agricol- tura, del nostro paese. Due studiosi di storia ed economia agraria, Piero Bevilacqua, autore già noto soprat- tutto per il suo volume sulle campa- gne calabresi durante il fascismo, e Manlio Rossi-Doria, maestro insigne e attivo meridionalista dell'ultimo quarantennio, hanno voluto, perciò, con questo volume, porre il proble- ma delle bonifiche in prospettiva storica e sottolinearne l'importanza. Essi sono partiti da una constatazio- ne che, nonostante la non trascura- bile bibliografia da loro citata e uti- lizzata, appare inoppugnabile: "...la scarsa considerazione e la de- bole presenza della vicenda delle bo- nifiche nella ricostruzione storica e nella cultura italiana. Una rimozio- ne di straordinaria portata, che se- gna profondamente, e dà una con- notazione astratta, di elaborazione lontana dai processi di trasformazio- ne materiale, a tanta parte della cul- tura nazionale". Questi accenni sottintendono e rinviano ad un più ampio discorso sui rapporti tra cultura umanistica e cultura tecnico-scientifica, tra storio- grafia politica e storiografia econo- mico-sociale. Il tema non poteva cer- to essere sviluppato nel libro, il qua- le concretamente cerca di colmare la denunziata lacuna offrendo una bre- ve storia (lineamenti, come scrivono gli autori) delle bonifiche in Italia dal XVIII al XX secolo, che introdu- ce ad una scelta antologica. Sono ri- portati passi di trentun autori, alcu- ni famosi (Cuoco, Cattaneo, Ca- vour), altri conosciuti soltanto dagli specialisti. Una nota precede e pre- senta ogni brano. Le pagine del Cattaneo, con cui si apre l'antologia, illustrano bene l'impostazione e i propositi dei cura- tori. Cattaneo infatti diceva che si edificano i campi come si edificano le città e proprio in questo brano, parlando della Lombardia irrigua, trecciano in mille modi ". Così nel 1844 lo scrittore lombar- do esaltava il risultato di un'opera secolare che aveva fatto della pianu- ra padana la zona agricola più ricca d'Italia e un singolare esempio di agricoltura intensiva. Cattaneo so- prattutto guardava all' "angusto spa- zio" fra Milano Lodi e Pavia per sot- tolineare come "quella terra dunque per nove decimi non è opera della natura è opera delle nostre mani; è una patria artificiale". Erano gli ef- fetti di una bonifica perfezionata nel corso di almeno cinque secoli con un impiego imponente di lavoro e di capitali. Altre zone d'Italia erano state meno attive e meno fortunate. opere di difesa idraulica e i canali di irrigazione avevano già da tempo ri- solto alcuni fondamentali problemi dell'assetto produttivo e territoriale di una parte della pianura padana, ben altra era la situazione nella vasta area verso la foce, alla destra del Po, "lungo il piede dei contrafforti dell'Appennino emiliano". Tentati- vi di bonifica non erano mancati fin dal Cinquecento, erano stati ripresi nella seconda metà del Settecento e in età napoleonica, ma soltanto l'av- vento delle macchine idrovore con- sentì di intervenire in maniera riso- lutiva e di compiere, negli ultimi decenni del secolo scorso, "una delle più gigantesche opere di conquista I briganti sociali di Delia Frigessi_ Amelia Paparazzo, I subalterni calabresi tra rimpianto e trasgressione, Franco Angeli ed., Milano 1984, prefazione di Camillo Daneo, pp. 169, Lit. 12.000 In occasione di catastrofi naturali e di scandali, tutt 'alpiù al momento delle valuta- zioni elettorali o quando si discute uno speci- fico provvedimento, l'opinione pubblica e la grande stampa nazionale si ricordano del Mezzogiorno. I suoi mali antichi coincidono solo in parte con quelli di oggi; trasformazio- ni profonde ne hanno mutato la struttura economica e sociale. Un notevole peso assu- me il fatto che circa due terzi dei braccianti e dei contadini poveri l'abbiano abbandonato. Al brigantaggio come ad una "lotta anti- giuridica per sottrarsi a quella che dicesi in- giustizia della sorte, che viceversa è ingiusti- zia degli uomini", alludeva nel 1898 Cesare Lombroso, che in Calabria era stato oltre trent'anni prima come medico militare. E già a partire dai contemporanei, per lo meno da uno scrittore di destra quale Pasquale Turiel- lo in poi, aveva prevalso l'ipotesi dell'origine sociale del brigantaggio, considerato nei suoi aspetti classici di reazione popolare. In parti- colare nella Calabria, dove presenta caratteri- più puri, meno cioè inquinati da sospetti di nostalgie filoborboniche e di manipolazioni reazionarie, il brigantaggio esprime la scon- fitta del movimento contadino per l'occupa- zione delle terre e una rottura profonda con le classi dirigenti. Intorno a questo momento di cesura ha organizzato la sua ricerca Amelia Paparazzo che soprattutto nel descrivere la mentalità dei gruppi calabresi subalterni, la coerenza dei loro comportamenti sociali sullo sfondo delle trame politiche nazionali e locali, ha raggiun- to risultati nuovi. La prima parte del libro concerne le speranze insorte al momento dell'unificazione nazionale, le lotte e le scon- fitte dei contadini, la nascita del brigantaggio postunitario. La seconda parte descrive le condizioni di vita, di lavoro, i percorsi dell'emigrazione ed è seguita da un 'interes- sante indagine sul rapporto che la magistratu- ra calabrese ha intrattenuto con alcune teoriz- zazioni positivistiche sull'inferiorità della raz- za, durante l'etàgiolittiana. L'ultimo capito- lo considera la nascita e il limitato influsso delle organizzazioni operaie. Le fonti utiliz- zate sono di vario tipo, vanno dai discorsi dei procuratori alle sentenze dei tribunali, dalle relazioni dei prefetti ai giornali operai del tempo e ai contratti conservati negli archivi notarili calabresi. Quando giungono in Calabria le truppe garibaldine incontrano una doppia disponi- bilità: d'un lato, strati di borghesia liberaleg- giante, favorevoli all'unificazione nazionale, grazie alle leggi sulla cosiddetta eversione della feudalità che risalgono all'occupazione francese; dall'altro, contadini che si sollevano in massa nella speranza d'un cambiamento. Nel 1860 si stabilisce un rapporto nuovo, di adesione e di fiducia, tra il governo e queste popolazioni dell'Italia meridionale. Ma la fi- ducia viene tradita, le promesse non sono mantenute. Già nel '61 si susseguono inva- sioni di terre e rivolte popolari contro l'intro- duzione dì nuove tasse e, più tardi, contro la mancata distribuzione delle terre demaniali. Proprio la questione demaniale appare centrale nella storia calabrese (e in tutto il Mezzogiorno): "è la coscienza che la terra, per diritto originario, primitivo, è della po- polazione, è di tutti " (così Manlio Rossi Boria a Bari nel 1944). Questa rivendicazione d'un antico diritto, ritenuto legittimo, riguarda l'uso e la distribuzione di terreni ormai vieta- ti dalle leggi ed usurpati dai proprietari ter- rieri. Attacco contro la proprietà privata o piuttosto consuetudine collegata ai bisogni, per lo più stagionali, della famiglia contadi- na? Comunque la centralità delle "terre aper- te" o dei cosiddetti usi civici può servire a spiegare come fenomeni comuni alle campa- gne italiane del secondo Ottocento — espul- sione dai processi produttivi e proletarizza- zione — suscitino comportamenti diversi, a seconda delle differenti economie e specializ- zazioni produttive al nord e al sud. All'ìnter- scriveva: "Noi possiamo mostrare agli stranieri la nostra pianura tutta smossa e quasi rifatta dalle nostre mani... Abbiamo preso le acque da- gli alvei profondi dei fiumi e dagli avvallamenti palustri, e le abbiamo diffuse sulle aride lande. La metà della nostra pianura ...è dotata d'ir- rigazione... Una parte del piano, per arte ch'è tutta nostra, verdeggia anche nel verno, quando all'intorno ogni cosa è neve e gelo... Le acque sotterranee tratte per arte alla luce del sole, e condutte sui sottoposti piani, poi raccolte di nuovo e diffuse sovra campi più bassi, scorrono a di- versi livelli con calcolate velocità, s'incontrano, si sorpassano a ponte- canale, si sottopassano a sifone, s'in- Difficoltà tecniche, politiche e socia- li avevano impedito una sistemazio- ne idraulica e un razionale assetto territoriale favorevole allo sviluppo agricolo ed economico, avevano va- nificato alcuni tentativi o avevano consentito solo parziali successi. Attraverso il profilo storico e la te- stimonianza dei contemporanei Be- vilacqua e Rossi-Doria seguono le vi- cende che, nel corso di due secoli, dalla metà del Settecento ai nostri giorni, hanno fatto del problema della bonifica un tema centrale della trasformazione agricola di vaste zone del territorio italiano, recuperando alla coltura migliaia e migliaia di et- tari. Se, come testimonia Cattaneo, le agraria dell'intera storia della peni- sola" . Macchine idrauliche e ingenti capitali: era una delle prime impor- tanti manifestazioni dell'ingresso dell'Italia unita nell'età del capitali- smo industriale. Le bonifiche della bassa padana sono un esempio parti- colarmente significativo dei muta- menti economici politici e sociali, che il nuovo clima e le nuove inizia- tive potevano produrre. La Legge Baccarini (1882) precisava il quadro dell'intervento pubblico, l'iniziativa privata e le associazioni consortili di- mostravano la loto capacità operati- va e conseguivano rilevanti profitti, il tradizionale assetto delle campa- gne veniva sconvolto, si formavano le prime organizzazioni sindacali dei braccianti agricoli. Ma proprio dalla critica a questa pur imponente realizzazione nasce- va, nel primo dopoguerra, il concet- to di bonifica integrale. Il prosciuga- mento, cui le macchine idrovore avevano dato un contributo decisi- vo, veniva giudicato insufficiente ad assicurare lo sviluppo dell'agricoltu- ra intensiva e soprattutto una più larga e stabile occupazione di mano d'opera. I limiti della bonifica nella bassa padana emergevano con chia- rezza nel fallimento degli interventi nel Mezzogiorno, dove le condizioni geomorfologiche legavano stretta- mente le pianure ai bacini montani e dove le vicende storiche rendevano più difficile l'associazione dei pro- prietari e l'iniziativa del capitale pri- vato. "In questo lembo della peniso- la occorreva letteralmente creare la pianura, conquistarla alle condizioni elementari di una possibile presenza umana, restituirla — con prosciuga- menti, con strade, abitazioni, opere di civiltà — a popolazioni che da se- coli, per insicurezza delle coste e va- rie altre concause storiche, ne erano state bandite. E questa la ragione fondamentale che fa dell'opera di bonifica del Mezzogiorno, nella maggioranza dei casi, un'opera gi- gantesca di riforma complessiva del territorio". Implica quindi un inter- vento dello stato ben più diretto e imponente di quello previsto dalla legge Baccarini e richiede un impe- gno economico e politico che può ben configurarsi come una vera e propria riforma agraria. La questione era posta con grande chiarezza fin dal 1922 da un tecnico come Angelo Omodeo, nelle cui pa- role si sente l'eco delle soluzioni in- traviste e proposte, nei primi decen- ni dell'Ottocento, da un altro gran- de tecnico, Carlo Afan de Rivera. Uno dei meriti della recente storio- grafia è di aver fatto luce su alcuni aspetti e iniziative della politica fa- scista che in questo campo, si ispirò alle più moderne concezioni elabo- rate da un gruppo di tecnici ed eco- nomisti agrari. Soprattutto è merito- rio aver cominciato a studiare la for- mazione e l'azione di questi tecnici, spesso di provenienza nittiana, i quali furono "produttori oscuri di trasformazioni reali (legislative, agronomiche, di indirizzo economi- co, di comportamento statale)". Le risorse destinate alla prepara- zione bellica e poi alla guerra, le pressioni di interessi conservatori economici e sociali impedirono che il nuovo concetto di bonifica inte- grale — nato prima del fascismo e che sarebbe insensato definire "fa- scista" — avesse piena attuazione. Basterebbe ricordare la contrastata e poco felice esperienza ministeriale del Serpieri. Le linee ispiratrici di quel gran progetto furono, però, ri- prese nel secondo dopoguerra e si tradussero, dove furono attuate, in una positiva trasformazione dell'as- setto produttivo e sociale. A conclusione della loro storia Piero Bevilacqua e Manlio Rossi-Do- ria non trascurano i problemi del presente e invitano a difendere il ric- co patrimonio creato da un'opera se- colare. "La bonifica, gli impianti ir- rigui, la trasformazione fondiaria so- no costati allo stato e ai privati capi- tali ingenti; il valore delle terre che ne hanno tratto beneficio ha rag- giunto livelli elevatissimi; il valore della produzione agricola consegui- bile ogni anno per unità di superfi- cie è tra i più alti riscontrabili nel paese. Prese nel loro complesso, e in ogni singola loro parte, le terre boni- ficate rappresentano, quindi, un co- spicuo patrimonio della nazione, che va, ad ogni costo, conservato e difeso dalle minacce che incombo- no". Senza una organica legge e una efficace politica di difesa del suolo i risultati conseguiti rischiano di esse- re compromessi. □