N. 8 pag. 32 Sansoni Editore Informazioni Roberto Longhi VIATICO PER CINQUE SECOLI DI PITTURA VENEZIANA LE GUALCHIERE Piero Bigongiari VISIBILE INVISIBILE Emilio Cecchi FIORENTINITÀ E ALTRI SAGGI prefazione di Mario Luzi Massimo Pallottino CIVILTÀ ARTISTICA ETRUSCO-ITALICA NUOVI SAGGI Leo Spitzer SAGGI DI CRITICA STILISTICA Maria di Francia -Racine - Saint Simon con un prologo e un epilogo di Gianfranco Contini Mirko Bevilacqua PASSAGGI NOVECENTESCHI Da Marinetti a Benjamin FONÈ Collana di letteratura contemporanea Antonio Porta NEL FARE POESIA Antonio La Penna LA CITTÀ MORIBONDA Variazioni su Petronio e altre poesie prefazione di Gianni Scalia BIBLIOTECA MUSICALE Dietrich Kamper LUIGI DALLAPICCOLA traduzione di Laura Dallapiccola e Sergio Sablich Massimo De Vico Fallani RAFFAELE DE VICO E I GIARDINI DI ROMA prefazione di Isa Belli Barsali SANSONI STUDIO Giorgio Padoan INTRODUZIONE A DANTE GIOCHI CREATIVI Martin Gardner ENIGMI E GIOCHI MATEMATICI 5 volumi Dario De Toffoli GIOCARE A SCARABEO Teoria e pratica del più bel gioco di parole Pregiudizi interessati di Aldo Fasolo Stephen J. Gould, Intelligenza e pregiudizio. Le pretese scientifiche del razzismo, Editori Riuniti, Roma 1985, ed. orig. 1981, trad. dall'inglese di Alberto Zani, pp. 339, Lit. 24.000. Sull'onda del successo di altri libri e di numerosi articoli divulgativi giunge finalmente al pubblico italiano un'opera di Stephen Jay che il determinismo biologico ha chiesto (e ottenuto) l'avvallo della scienza. Gould discute in prospettiva storica il contributo dato dalla scienza negli ultimi centocin-quant'anni al crearsi ed al modificarsi delle mitologie deterministiche. Il primo grande filone che viene approfondito è quello dell'antropometria classica ottocentesca. In particolare viene esaminata la craniome- ficazione, a convertire cioè concetti astratti, in entità, materializzandoli, (un ottimo esempio è il termine stesso di "intelligenza", a coprire un insieme enormemente complesso e variegato di capacità eterogenee) e 2) un atteggiamento classificatorio, che tenta di ordinare in una progressione lineare realtà stratificate e diversissime. Il libro non solo analizza la validità di numerose argomentazioni mediche e biologiche attorno alla "natura umana", ma tocca pure, direttamente o indirettamente, temi quali il razzismo e la discriminazione sociale di drammatica rilevanza morale, politica, storica. Ricorda ad esempio le restrizioni Indago, cioè prevengo di Francesco Carnevale Raffaele Guariniello, Se il Lavoro uccide. Riflessioni di un magistrato, Einaudi, Torino 1985, pp. V-176, Lit. 12.000 Il titolo del volume al primo esame non sembrava dei più facili. Richiamava da vicino quelli stampati sulla prima pagina di pubblicazioni di vario genere diffuse nei primi anni '70. Il riesame dello stesso titolo, arricchito del suo sottotitolo, assume un significato più preciso una volta che si sia completata la lettura (non certo semplice e distensiva) del libro. Si capisce allora che il lavoro non necessariamente porta a morte od a malattia, ma ciò può succedere e succede quando non vengono attivati alcuni processi (non soltanto giudiziari) e quando, più in particolare, secondo l'esperienza di un magistrato, non vengono prodotte, aggiornate e rispettate delle norme. L'esperienza del magistrato, diventa il filo conduttore di tutta la trattazione. Il dato non si coglie immediatamente. Le notizie su iniziative, indagini giudiziarie e sulle stesse sentenze del giudice vengono richiamate, ma non vistosamente, per esplicitare la trattazione teorica e l'inquadramento dei numerosi problemi presenti nel testo. Il genere del volumetto è perciò del tutto originale sia dal punto di vista letterario che dal punto di vista giuridico-scientifico. Un 'altra caratteristica della trattazione, che evidenzia nel contempo una precisa metodologia di lavoro e di pensiero, e la capacità di congiungere, ma nella pratica, discipline tanto dissimili o per lo meno molto raramente congiunte come sono la legislativa da una parte e dall'altra quel gruppo molto ampio e variegato di tecniche che riguardano la prevenzione e la salute dei lavoratori. L'autore, fedele al proprio ruolo professionale, è convincente quando dimostra che "occorre prendere le distanze da atteggiamenti di esasperata, radicale riprovazione nei confronti dell'attuale assetto normativo ". Tale forma di pensiero (di assoluto interesse, anche politico) non contraddice l'esigenza di ammodernare, arricchire tale assetto normativo costituitosi non certo casualmente, di confrontarlo con le normative di altri paesi anche se di diversa tradizione, di usarlo sino in fondo come strumento di verifica di presupposti più generali. Alcuni problemi vengono proposti con maggiore enfasi oppure in un numero maggiore di pagine: i tumori professionali; i TLV (valori massimi e medi di esposizione) per le sostanze e gli agenti pericolosi; Economia e salute negli Stati Uniti da Carter a Reagan. Si tratta di problemi nodali di un sistema complesso quale è quello salute-lavoro. E a partire dalla analisi puntigliosa, condotta sino a limiti estremi, di tali problemi che l'autore arriva a connotare più "ideologie e tecniche della prevenzione ", diverse tra di loro o addirittura contrapposte ed a delineare gli "scenari di prevenzione nella legge italiana ". Le conclusioni a cui arriva l'autore sono sostanzialmente due: 1) "in un orizzonte ermeneutico popolato da schemi aprioristicamente giustapposti alla realtà normativa, diventa terapeutica una costante aderenza ai documenti legali "; 2) "finché la pubblica amministrazione non percorrerà la strada degli interventi coordinati e razionali, resterà salutare la verifica affidata al magistrato; e utile, anche se non da mitizzare, il suo ruolo di garante delle norme che tutelano l'uomo e l'ambiente ". Gould che discute, come dice icasticamente il titolo originale, la mi-smeasure of man (letteralmente: la falsa misura dell'uomo). Si tratta infatti di un saggio di ampio respiro destinato a confutare il cosiddetto determinismo biologico, quella vulgata concezione, cioè, secondo cui "le norme comportamentali comuni e le differenze sociali ed economiche tra i gruppi umani — in primo luogo razze, classi e sessi — derivano da fattori innati ereditari" (p. 12). Il libro discute in particolare uno dei temi principali del determinismo biologico: "la pretesa secondo cui il merito può essere assegnato agli individui e ai gruppi misurando l'intelligenza come una quantità globale" (p. 12). Nelle sue formulazioni più estreme questa concezione appare il prodotto di ovvi pregiudizi e ancor più ovvi interessi di parte. Non a caso i suoi estensori si collocano sempre fra i "migliori"! E pur tuttavia, come tutte le concezioni che vogliono farsi egemoni nella società moderna, an- tria (la tecnica di valutare variazioni qualitative e quantitative dei crani) ed i suoi sviluppi in periodo predarwiniano in America, a sostegno scientifico della poligenesi, della convinzione cioè che le razze umane fossero specie biologiche separate. Altro oggetto di analisi stringente è altresì la craniometria europea della seconda metà dell'Ottocento dominata dalla figura di Broca. Non manca anche una rapida diversione sui temi dell'atavismo e dell'antropologia criminale. Il secondo grande filone in discussione è quello che prevede una utilizzazione dei tests psicologici per definire l'intelligenza generale o scale di età mentale in qualche modo applicabili alle differenze di razza odi classe. Questi argomenti apparentemente eterogenei non sono solo collegati fra loro da un comune pregiudizio deterministico (e sostanzialmente razzista), ma anche da due errori metodologici che Gould puntualizza assai bene: 1) la tendenza alla rei- dell'immigrazione negli Stati Uniti, culminante neli' lmmigration Re-striction Act del 1924 che, approvato grazie anche al contributo degli eugenetisti e psicologi, sbarrò la strada a milioni di profughi dell'Europa orientale e meridonale. Quanti hanno così pagato di persona concezioni pseudo-scientifiche. Non a caso il libro è dedicato "Alla memoria di mia nonna e mio nonno che qui vennero, lottarono e prosperarono nonostante Goddard". Ma se importante è l'oggetto del libro, ancora più significativo è il modo con il quale il determinismo biologico è discusso. Gould solo molto raramente si abbandona all'enfasi, che connota tanti libri sul razzismo di pur sincere intenzioni democratiche. Preferisce, invece, analizzare attentamente e con lucidità spietata l'impostazione scientifica, i pregiudizi non dichiarati, la circolarità delle argomentazioni di alcuni illustri innatisti. Non solo, ma poiché la scienza moderna ha come mito la quantizzazione, e come prova ultima di oggettività il numero, fa le bucce ai numeri, alle tabelle, ai grafici di questi autori. Insomma il lettore, grazie alle doti eccezionali di divulgatore di Gould, non solo riesce a capire in che cosa hanno sbagliato, ma anche come hanno sbagliato (o barato) tanti sostenitori dell'innatismo e dell'eugenetica. Questa impostazione metodologica fornisce, cioè, strumenti e capacità critiche autonome al lettore attento. E così certe analisi che Gould stesso compie sui dati di Broca appaiono fin troppo cavillose, ma se non altro si gioca a carte scoperte! Complessivamente il libro è molto piacevole, grazie anche alla brillantezza e fluidità letteraria del suo autore (peraltro non certo esaltata da una versione italiana a dir poco infelice e che induce a condividere appieno le amare riflessioni di Filippo Macaluso sull'Indice 6/7, a proposito della traduzione scientifica). Tuttavia, proprio perché vuol fare ragionare, la lettura dell'opera richiede un impegno notevole. E qui sta un'altra lezione: la scienza vuole impegno, non è uno slogan democratico, da contrapporre ad uno slogan reazionario. Anche in questo senso il libro è veramente esemplare: al lettore di formazione scientifica, permette riflessioni importanti sulla scienza e sul suo metodo, ma al lettore "umanista" fornisce una dimensione reale della scienza, non diavolo straniatore della natura umana, né angelo capace di risposte definitive. Gould ricorda, infarti, che proprio attraverso la critica si realizza l'avanzamento della scienza. D'altra parte nell'introduzione aveva già fatto notare che "non intendo contrapporre cattivi deterministi che smarriscono la strada dell'obiettività scientifica e illuminati antideterministi che si accostano ai dati con mente aperta e vedono quindi la realtà. Critico, piuttosto, il mito che la scienza stessa sia un'impresa oggettiva, fatta correttamente solo quando gli scienziati possono uscire dal guscio della loro cultura e osservano il mondo come è realmente". Pur ponendo l'accento sul contesto sociale e storico in cui avviene una determinata ricerca scientifica, Gould non si fa peraltro comandare da un paradigma puramente esterni-sta, socio-storico, e sa descrivere con ricchezza e a tutto pieno la parabola umana e scientifica degli scienziati con cui polemizza, anche non nascondendo fremiti di simpatia inattesi. Non a caso discute le opere di personaggi di reale peso scientifico e quasi mai sfrutta le deliranti affermazioni di divulgatori selvaggi o le falsificazioni di alcuni innatisti per demolire più facilmente il determinismo biologico. Molti medaglioni storici specialmente nel settore psicologico (da Goddard, a Terman, a Yerkes, a Bri-gham) finiscono con una tardiva risi-piscenza dell'autore sulle sue impostazioni innatiste, una sorta di ritrattazione. Questo è certo un abile artificio polemico, ma esprime altresì bene una impostazione di fondo della epistemologia di Gould, che lui stesso pittorescamente sintetizza: "La scienza avanza in primo luogo per rimpiazzi, non per aggiunte. Se il cestino è sempre pieno, allora le mele marce devono essere scartate prima che se ne possano aggiungere di migliori" (p. 307). In conclusione l'opera di Gould fornisce una quantità di stimoli, apprendimenti, riflessioni che certo non si arrestano nell'epilogo oratorio, ma ci accompagnano come strumenti per capire. Chiudo il volume e sulla pagina della scienza del quotidiano che ho dinnanzi leggo "Esibizionisti si nasce per un errore genetico". Ecco i vecchi pregiudizi in sempre nuovi determinismi scientifici...