N. 8 pag. 15 Poesia Poeti Poesie 5. Qualche giustizia va resa agli extravaganti. Al compianto Augusto Frassineti, anzitutto,del quale abbiamo (presso Scheiwiller) un Tutto sommato che raccoglie, con la presentazione di Giuliano Gramigna, un suo florilegio di epigrammi e motti non sempre memorabili ma a suo tempo di discreta circolazione, tipo: "Ma certo, ma certo, ma-certo-ma-certo, / signor Consigliere Delegato. / Via quella faccia da garrota-to! /C'è tempo, che diamine, c'è tempo a scavarsi la fossa! / Espropriazione è una parola grossa. / Tutto eventualmente si farà piano, piano / saldo-merda alla mano ". E poi, perché non far sapere, a chi nutrisse per questa materia interesse, che Mara Soldi Maretti, autrice a suo tempo di Ma pudaròo màai dite (delicate liriche in vernacolo cremonese), ha pubblicato, sempre a Cremona, presso la "Libreria del convegno", una raccolta di ricette di cucina in versi, derivate principalmente dal trattato De re coquinaria di Celio Apicio, ma con echi anche di altri autori latini? L'edizione è decorosa, l'apparato esplicativo piuttosto esauriente, i testi sono sorretti da una composta e moderata ironia. Il lettore potrà ricavare da questo Prosit (sottotitolo: filtri pozioni elisir polmenti) utili indicazioni sulla preparazione di ghiri farciti, struzzi lessi, porcelli laureati (niente paura: vuol dire "guarniti con lauro"), pavoni in umido, vino di rosmarino contro coliche e diarree, vino di rose e viole, un filtro d'amore a base di radicchio, porro, rucola, senape, zenzero, tartufo, rape, carote, santoreggia (da cogliersi però in fase di luna piena), il tutto diluendo in vino addolcito con miele da propinarsi allo sposo prima di andare a letto. Già che siamo in tema, segnaliamo tra le ricette anche quella della "vulva arrosto": "Quando l'alato crivello / col suo girevole moto / dalla farina la crusca separa... / lascia per altri polmenti / la bianca farina: / solo la crusca rimasta nel vaglio / vesta ed avvolga la vulva di scrofa / che il giorno prima ha figliato. / Bagnala con salamoia / (giusta compagna del tonno). / Indi la cuoci... ". Non resta che augurare una buona degustazione. Abbiamo toccato l'area classica e molta è la tentazione di fare spazio a uno dei nostri più affabili poeti, Fernando Bandini, che coltiva a latere, ma con impegno non discontinuo, anche una Musa latina; in anni passati, ciò gli valse più d'una menzione onorifica ai famosi concorsi internazionali di Amsterdam ai quali Giovanni Pascoli mieteva le auree medaglie poi investite nella casa di Castelvecchio e che, ora cessati pare per mancanza di fondi, sono stati soppiantati in autorevolezza dal Certamen Vaticanum. Qui Bandini domina il campo: due anni fa, con un poemetto sul viaggio della regina di Saba (che suscitò qualche imbarazzo nei prelati di maggior pruderie) meritò se non erro il secondo premio; mentre ha poi avuto, nell'edizione 1984, la medaglia d'oro (aureum nomisma) per i 301 versi del poemetto Papiliones (Le farfalle), pubblicato sul fascicolo del marzo 1985 della rivista "Latinitas". Papiliones, che vuol essere anche un implicito omaggio a Gozzano, entrerà presumibilmente a far parte di un libro di poesie latine che Bandini sta pubblicando col titolo In lingua morta presso le edizioni di San Marco dei Giustiniani in Genova. Intanto il lettore può godere, anche da Papiliones, la levità del suo dettato, la vivezza delle immagini, la musi- calità del ritmo prosodico quasi spontaneamente assimilato (secondo la lezione virgiliana) all'accentazione naturale delle parole e, insomma, l'autenticità di una vocazione che comporta (per non scadere nell'esercizio erudito) un profondo coinvolgimento linguistico. Ecco qui la crisalide còlta al punto del suo divenire in cui non può ormai non chiamarsi farfalla: "Sed iam papilio (nostrae pars altera curae) / dicendus, iam tempus adest quo peforat urnam / et vix emergit late madefactus et alas possa oggi fare assegnamento. Donna dalla tormentata biografia e dai diversi amori (quello per Gottfried Benn, dedicatario di un gruppo di poesie fra le più belle, rimase pressoché unilaterale), ebbe la sorte, non tra le più confortevoli per un poeta tedesco ed ebreo, di dover coesistere proprio negli anni della sua migliore maturità col regime di Hitler (si rifugiò, infatti, in Israele, dove poi morì). La sua poesia, che ascriverei a un'area di religiosità espressionistica, potrebbe apparire timi anni presso "Il Mulino": dai saggi letterari di Hannah Arendt agli studi di Ernst Curtius (Letteratura della letteratura e Marcel Proust) e di Friedrich Ohly (Geometria e memoria), sempre accompagnati da illuminanti introduzioni. Però Lea Ritter Santini non trascura i poeti; ed è per questo che si devono segnalare i tre contemporanei tedeschi da lei presentati e tradotti nel "numero quarto" della rivista "In forma di parole": Cristoph Meckel (1935), Gerhard Meier (1917) e Paul Wuhr (1927). Mi sono sembrati, tutti e tre, autori di ottimo livello, serviti piuttosto bene da una traduzione che, a parer mio molto opportunamente, non ignora l'importanza della sinossi. Non vorrei scontentare gli altri due poeti, che ho trovato sinceramente interessanti, ma mi si dovrebbe consentire di spezzare una lancia di preferenza a favore del primo. Una piccola campionatura: "E aspetto ancora, che tu salga dalla costa / in questo vecchio omnibus / che si ferma qui una volta al giorno / e scarica tanta gente che nessuno aspetta. / Sono arrivate le tue valige, gli scialli, le scarpe lei vetri colorati, rubati insieme a Rialto / il letto è già qui, il tuo accappatoio, e prima la morte / solo tu manchi ancora, il tuo respiro, il tuo ridere per due". Ognuno riconosce i suoi: o i suoi, comunque, di un tempo passato. 7. Vorrei che fossero contenti gli "esclusi", autori del libro Poesia degli esclusi, pubblicato per le Edizioni del Periscopio di Varese, a cura di Donatella Ghizzi e Mariuccia Secol, con prefazione di Piernicola Marasco e Cesare Viviani. Vorrei che fossero contenti nel sapere che la mia attenzione per il loro libretto (che mi è giunto mentre redigevo queste note) non è stata motivata da un male inteso senso di simpatia per la loro condizione di ricoverati in un ospedale psichiatrico, bensì dalla perentoria assolutezza delle loro parole, di certi accenti di queste poesie davvero extra-istituzionali. Non si distingue, scorrendo il libro, quali siano i versi di questo o di quello, di questa o di quella: Vittorina, Wanda, Luigi, Dante, Ignazio, Antonio, Carlo, Ettore, Ines, Mario, Virginio, Giuseppina, N.N., Adiego, Angelo, Duilio, Giovanni, Pippo. Poi l'indice restituisce unicuique suum, ma nel corso della lettura io ho preferito non andarmi a controllare le rispettive attribuzioni, appunto per non guastarmi il pensiero, l'immagine, il concetto di questo grazioso e doloroso giuoco collettivamente liberatorio per via di poesia, in esso coinvolgendo mentalmente un po' tutto: loro, i malati, i medici, gli aiutanti, i ca-meroni, il cibo e l'odore del cibo, il piccolo universo di un asylum dove la presenza della poesia parrebbe avere assunto il grande significato di una non rinuncia alla speranza. Anche se: "Piangevo / mi ha fatto piangere me / pianto tanto tanto / ieri sera / con le lacrime / in infermeria". E un libro che, se permettete, vi esorterei a non trascurare. □ / contractas avidus sub aperto exten-dere caelo ". Dovrei tradurre? 6. Tedeschi. Non posso dire gran che (non si può sapere tutto) sulla poesia tedesca moderna e contemporanea. Prima della guerra (chi fosse almeno in età di leggere) ci rimpinzavano di Rilke, poi ci hanno somministrato Brecht fino alla noia, fino a esecrarlo come l'olio di merluzzo: quello aveva nome di "reazione", questo (il Brecht) di "progresso". Meno male che l'hanno piantata. Ogni tanto qualche falotica apparizione, qualcosa che non fosse né l'uno né l'altro: caro, povero Trakl! E anche Benn, perché no? E a proposito di Benn, ecco adesso una non esile scelta di poesie di Else Lasker-Schuler (1869-1945), curata e tradotta da Maura Del Serra. S'intitola Ballate ebraiche ed altre poesie, Editrice La Giuntina, Firenze. A pane una precedente scelta (ormai da supponi introvabile) a cura di Giuliano Baioni, è l'unico libro di Lasker-Schùler sul quale il lettore italiano oggi un po' datata, ma non è priva di qualche grandioso sussulto e lascia intrawedere nell'originale un suo rigore d'impianto e di prosodìa a cui non sempre un pur diligente traduttore sarà oggettivamente in grado di render giustizia. Questa Madre ("Bianca una stella canta un funebre canto / nella notte di luglio. / Come campane a morto nella notte di luglio. / E sul tetto la mano delle nubi, strisciante / umida mano d'ombra, / cerca mia madre. // Sento la mia vita nuda — / dalla terra materna si distacca — mai tanto nuda è stata la mia vita / e tanto arresa al tempo, / come se dietro alla fine del giorno / sfiorita, fra lontane notti io stessi / sola ") mi sembra una bella poesia; e non è, del libro, l'unica. Credo che Lea Ritter Santini stia svolgendo, dalla sua cattedra di germanistica a Munster, una preziosa opera di raccordo fra la cultura tedesca e l'Italia. Basterebbe, al riguardo, citare alcuni libri che, grazie alle sue cure, sono potuti uscire negli ul- COMITATO PROMOTORE PER LE CELEBRAZIONI DEL VI CENTENARIO DELLA COSTRUZIONE DEL CASTELLO ESTENSE (1385 - 1985) TORQUATO TASSO Letteratura musica teatro e arti figurative BASTLANINO e la pittura a Ferrara nel secondo Cinquecento FERRARA SETTEMBRE - NOVEMBRE 1985 NUOVA ALFA EDITORIALE Via L. Alberti, 95 - 40139 Bologna