N. 8 pag. 14 __Poesia Poeti Poesie_ "Nessuno riconosce un capolavoro" In Italia si scrivono e si pubblicano tante poesie. Abbiamo chiesto ad alcuni grandi poeti italiani — Giorgio Caproni, Giovanni Giudici, Franco Fortini, Mario Luzi, Andrea Zanzotto — di commentarne alcune per i lettori de L'Indice, dando vita a una nuova rubrica. cosimo Ortesta, La nera costanza, Acquario, La Nuova Guanda, Palermo 1985, pp. 121, Lit. 14.000. Gianni Rodari, Secondo libro delle filastrocche, Einaudi, Torino 1985, pp. 127, Lit. 8.500. Antonio Porta, Nel fare poesia, Sansoni, Firenze 1985, pp. 130, Lit. 16.000. Augusto Frassineti, Tutto sommato, Scheiwiller, Milano 1985, pp. 188, Lit. 20.000. Mara Soldi Maretti, Prosit, Libreria del Convegno, Cremona 1985, pp. 102, Lit. 10.000. Fernando Bandini, Papiliones, in "Latinitas", marzo 1985. Else Lasker-SchOler, Ballate ebraiche ed altre poesie, La Giuntina, Firenze 1985, ed. orig. 1913, trad. dal tedesco di Maura Del Serra, pp. 171, Lit. 14.000. Tre poeti tedeschi in "In forma di parole", 4, Analisi Trend, Bologna 1984, pp. 312, Lit. 15.000. Poesia degli esclusi, a cura di Donatella Ghizzi e Mariuccia Se-col, Edizioni del Periscopio, Varese 1985, pp. 61, Lit. 8.000. 1. "A prima vista " fa dire Pound a un personaggio del suo Mauherley "nessuno riconosce un capolavoro ". Ciò vale, in quel contesto, per la poesia, tema sul quale — "nella cabina crema e oro del suo yacht " — si svolge il colloquio tra l'ancor giovane Ez e un immaginario Mr. Nixon (che mai, a quell'epoca, avrebbe sospettato la sua futura omonimia con un presidente degli Stati Uniti). Non ho mai dimenticato quella giusta ammonizione; e tanto meno la dimentico adesso che, sommerso dalla piccola marea di pubblicazioni in versi a me inviate come a ogni altro supposto addetto ai lavori ("supposto" , dico: perché il poeta in concreta attività, per così dire, di servizio, intento cioè al proprio dèmone di scrittura, è purtroppo la persona più "estranea" di questo mondo ai lavori altrui), non sono affatto convinto della validità dei criteri secondo i quali amministro la mia attenzione. Notorietà dell'autore e autorevolezza della sigla editoriale sono assai spesso criteri fuorviami; e tuttavia non è agevole impresa quella d'inseguire il capolavoro di cui sopra per decine e centinaia di quasi sempre deludenti plaquettes come cercando l'ago nel pagliaio e per giunta in un'età in cui quasi più nessuno cuce e i pagliai scarseggiano. Quindi preferirei, adempiendo qui alla richiesta di esprimere le mie impressioni sullo stato della poesia o delle poesie, affidarmi alla disordinata casualità dei mici incontri, dei libri che ho sul tavolo, delle mie curiosità e (se mai capitasse) persino di vicinan- ze personali. 2. Potrebbe essere, quest'ultimo, il caso di Cosimo Ortesta, poeta nato a Taranto nel 1939 e abitante ora a Milano dove insegna in un istituto tecnico. Il suo nome (mi sembra) è conosciuto appena nel ristretto ambito dei cultori di poesia, nonostante il Premio Viareggio Opera Prima conferitogli nel 1980 per il volume II bagno degli occhi edito da Guanda. E il suo libro di adesso, La nera costanza, è fra i primissimi di una nuova e non ancora ben diffusa collana di poeti italiani e stranieri (Acquario — La Nuova Guanda) pubblicata a Palermo a cura di Giovanni Raboni. Quindi, a propiziare il mio incontro con la poesia di Ortesta, è stato soprattutto (a parte l'occasione del "Viareggio" della cui giuria a quel tempo facevo parte) il fatto di abitare nella stessa città, più una conseguente conoscenza, amicizia e stima reciproca. Nell'occasione di quel già citato "Viareggio" ci fu un cronista della televisione che, intervistando i diversi vincitori, si permise (proprio in piena cerimonia di premiazione) alcune volgari ironie nei confronti di una pretesa non intelligibilità di una o due poesie del nostro Poeta: che, certamente, nemmeno io avrei consigliato come letture per la prima di Giovanni Giudici elementare, ma il cui "mistero" era comunque legittimo e funzionale alla costruzione di quello che già era e ancora più sarebbe diventato in seguito il discorso poetico di Ortesta, il suo valoroso sforzo di riappropriare la lingua, le parole, di tutta la lo- ro nativa densità ed importanza, per approdare a una spontanea immediatezza di lingua poetica, alla cruenta (per esempio) tenerezza di una canzone d'amore ("... e se la guardo mi sembra uscire dal mio sangue / remota gemma o fanghiglia di lacrime alla soglia / della mente che già senza fatica divora / senza saperlo il ghiaccio delle nervature !... che è quasi morta baciando / con tutto il corpo il suolo, la terra da cui / si stacca in una scia col solo portamento della testa..."). 3. La stagione non è stata avara di frutti. Ma degustarli dal primo all'ultimo, o anche limitarsi ai più invitanti, non sarà possibile; e un po' anche questo è il guaio, dato che il silenzio può suscitare negli autori ansiosi di cronaca lo stesso risentimento che l'eccessiva franchezza. Abbiamo incontrato, in veste di scrittori di poesia, persone di grande notorietà nel campo della narrativa e persino del cinema: il Bevilacqua, ad esempio, di Vita mia (che Mon- dadori ha eletto a poeta di punta), il Pratolini del Mannello di Natascia (premiato a Viareggio), il cordiale Primo Levi di Ad ora incerta (pubblicato da Garzanti e vincitore del Premio Carducci). Abbiamo avuto un nuovo, corposissimo, libro di Mario Luzi, che data l'importanza del poeta è quasi mortificante citare qui appena di straforo, così come (se non erro) un altro libro di Biagio Marin, la cui fecondità ci ha fatto ormai perdete il conto. Dovremmo quanto meno prendere atto del Secondo libro delle filastrocche, libro postumo di Gianni Rodari (Einaudi), dove non tutti i versi appaiono riservati esclusivamente ai bambini. Questi per esempio, in limine: "Abbiamo parole per vendere / parole per comprare / parole per fare parole / ma ci servono parole per pensare. Il Abbiamo parole per uccidere / parole per dormire / parole per fare solletico / ma ci servono parole per amare. I ! Abbiamo le macchine / per scrivere le parole / dittafoni magnetofoni / microfoni telefoni. Il Abbiamo parole ! per fare rumore, / parole per parlare / non ne abbiamo più. ". Ci sono poi autori che devono comunque essere registrati per la continuità dell'impegno o per l'interesse o la comunque rilevabi-lità della presenza, notissimi, noti e meno noti: a cominciate dal ritornante Giancarlo Majorino di Provvisorio e dal più che dotato Milo De Angelis di Terra del viso, entrambi pubblicati da Mondadori, per passare (chiedendo venia a tutti i saltati) alla discretissima ma ben affinata Silvana Colonna (L'orientamento lontano. Società di Poesia-Lunario nuovo), all'interessante Renato Minore di Non ne so più di prima, al vivace Francesco Serrao (Fra notte e mattino, Garzanti), all'attivissimo Remo Pagnanelli (Musica da viaggio e Atelier d'inverno), rappresentante di una bella pattuglia poetica marchigiana sulla quale bisognerebbe soffermarsi (penso a riviste come Marca, Lengua). Né dimenticherò, infine, quell'appartato scrittore che è il veneto Gino Nogara e che ci offre una scelta (La trama lacerata) delle sue poesie di oltre un trentennio; o gli Appunti di volo di Biancamaria Frabotta; o (per fare spazio a un giovanissimo) i poemetti Phantasmata di Maurizio Brignone. 4. Però vorrei dedicare alcune righe a un poeta che non ha bisogno di conforti pubblicitari: Antonio Porta. È uscita di lui, in una collana di Sansoni concepita secondo tale criterio, una specie di auto-antolo-gia, dove al pregio dell'essenzialità della scelta si uniscono quelli della persuasiva sincerità con cui l'autore espone le sue esperienze Nel fare poesia (il libro si chiama così) e c'è un gruppetto di inediti, Annuncio, con almeno due testi di notevole fattura. Uno fa da introduzione ed è il racconto di un sogno dove il poeta ironizza sul suo desiderio di riconoscimento ("Non ho dubbi, da sveglio, che voglio essere amato / così come voglio che l'altra mia pelle, il libro, ti piaccia"), per poi esplicitare il suo stesso atto di scrittura ("decido di scrivere questi versi") e soffermarsi a riflettere su una parola ("sentimento ") che scatena in lui una tempesta di emozioni, preludio a una felice "cecità"... Di veggente? Parrebbe: se, appunto, egli scrive, "Da questa cecità io voglio incominciare. .. ". Intendevo sottolineare come in questa poesia assuma particolare evidenza un procedimento che non è isolato in Porta (si veda, nello stesso volume, una poesia come Canzone) e che consiste nel rifiuto, per dir cosi, delle smussature: se l'"aura", una certa cosiddetta "aura", va trasgredita, se è da spezzarsi il tòno, il Poeta non teme i rischi della frattura e rifiuta ogni imbellimento di koiné (fa pensare a un calciatore ben sicuro di sé, che non si precipita a tirare in porta alla come-va-va; stoppa, invece, il pallone, lo controlla, si volta, dà un'occhiata al bersaglio, tira, fa gol). L'altro, sesta sezione della sequenza, ha per sottotitolo Gli sposi ed è un testo di grande respiro umano e meriterebbe d'essere citato per intero, mentre io mi limiterò qui ai versi finali (a mo' di stuzzichino per il lettore e senza aver preteso con tutto ciò di rendere conto adeguato dell'importanza che questi versi potranno avere negli sviluppi futuri del lavoro di Porta): "... Ma visibili sono gli sposi, visibile ! è la felicità dei loro sguardi trasmessa a chi li osserva e / si stende ai loro piedi e guarda un bambino che danza / vorticoso inseguito da un bambino che corre e si diverte / a inseguire la danza, a non raggiungerla ancora ". S>