N.8 pag. 45 Economisti di qualità Mario Sebastiani, L'equilibrio di sottoccupazione nel pensiero di M. Kalecki, La Nuova Italia Scientifica, Roma 1985, pp. 175, Lit. 19.000. L'opera del grande economista polacco è ancora assai poco studiata nel suo insieme, anche se per importanza e originalità molte soluzioni teoriche di Kalecki non temono il confronto con quelle di Keynes, e nonostante il debito che molti economisti hanno verso Kalecki per gli sviluppi ch'essi hanno potuto recare alla teoria keynesiana. A ciò ha senza dubbio contribuito, in tempi di ripresa neoliberista e di reinterpretazioni in chiave neoclassica della teoria keynesiana, la reputazione di Kalecki in quanto "Keynes di sinistra" e, sul versante opposto, il tono eccessivamente apologetico dei pochi estimatori dell'economista polacco. Il libro di Sebastiani ha il merito di presentarsi come un tentativo "non apologetico" di sistemazione del pensiero di Kalecki. Sebastiani assume come nucleo centrale la teoria del reddito di equilibrio, e la ricava dalla sintesi di due teorie logicamente indipendenti: quella relativa all'ammontare dei profitti e quella relativa alla formazione dei prezzi e della distribuzione del reddito tra salari e profitti. Da segnalare l'attenzione dedicata agli aspetti finanziari e monetari del pensiero di Kalecki: la sua teoria del tasso di interesse a lungo termine, nel suo nesso con quella dell'investimento, esclude che il sistema, anche in presenza di piena flessibilità dei prezzi e dei salari, possa riequilibrarsi automaticamente al livello della piena occupazione, come invece si è potuto affermare nel quadro della teoria keynesiana. G.L. Vaccarino Anna Duso, L'autocritica del keynesiano, Dedalo, Bari 1985, pp. 99, Lit. 7.000. Crisi delle politiche economiche cosiddette keynesiane e discussione teorica sulla possibilità o meno di ricondurre la Teoria Generale a caso particolare della teoria neoclassica si sono variamente intrecciate negli ultimi anni. A. Duso fornisce in questo libro una rassegna incrociata di alcune delle posizioni più rilevanti proposte nel dibattito anglosassone ed italiano. L'attenzione a quanto pubblicato a casa nostra, e l'intento di introdurre i non specialisti ad una letteratura spesso molto tecnica, sono indubbi meriti del libro, anche se non risulta sempre chiara la ragione di inclusioni ed esclusioni, e la sinteticità va a volte a scapito della chiarezza. L'autrice richiama le letture di Keynes più tradizionali (dalla sintesi neoclassica a quelle in termini di disequilibrio) e quelle meno ortodosse (dalla tesi di Pasinetti di una struttura causale e non interdipendente della teoria della domanda effettiva alla rivalutazione del Trattato sulla moneta operata da Graziani per la crucialità della moneta come attivatore del processo economico); effettua un excursus sulle politiche economiche proposte da Keynes, su quelle 'keynesiane', e sul molo dello Stato nell'economia oggi; conclude infine (riprendendo spunti di Min-sky, Shackle e Lunghini) per la centralità in Keynes di aspettative e incertezza e suggerisce una incompatibilità tra rigore scientifico e rilevanza: tale posizione rischia l'indeterminatezza e richiede ulteriori qualificazioni per trasformarsi da critica efficace dei neoclassici a analisi delle 'leggi di movimento' del capitalismo contemporaneo. (r.b.) Giuseppe Fumarco, Schumpeter, edizioni lavoro, Roma 1985, pp. 147, Ut. 15.000. Il volume di Fumarco si pone l'obiettivo di una rilettura del pensiero di Schumpeter che tenga conto delle sue relazioni complesse, di analogia ma anche opposizione, con marxismo e keynesismo. La parte più originale del libro è quella in cui viene ricordata e valutata criticamente la teoria schumpeteriana del declino del capitalismo non per ragioni economiche (come sostenevano il crollismo della Seconda e Terza Intemazionale o il ristagnismo di alcuni keynesiani) ma sociologiche (esaurimento della funzione imprenditoriale concepita individualisticamente con il passaggio dal capitalismo concorrenziale a quello mistificato, in cui l'innovazione viene meccanizzata e pianificata). Fumarco intende rovesciare le conclusioni di Schumpeter, per la permanenza dell'assetto privatistico nonostante l'avvenuta socializzazione della accumulazione. In tal modo, peraltro, finisce con il riproporre ancora una volta una visione lineare, a senso unico, dell'evoluzione capitalistica, che contrasta singolarmente con la teoria dello sviluppo discontinuo proposta dall'economista austriaco. Inconcludente, anche se utile per il suo taglio divulgativo, la parte dedicata al pensiero strettamente economico di Schumpeter: più che una terza via tra Marx e Keynes, come suggerisce Fumarco, Schumpeter sembra piuttosto da rivalutare in quanto capace di suggerire nuove letture della teoria del valore e dell'accumulazione marxiana, e di arricchire gli aspetti monetati della teoria keynesiana. (r.b.) Eugen Bóhm Bawerk, John Bates Clark, Carl Menger, Joseph Alois Schumpeter, La teoria austriaca del capitale e dell'interesse. Fondamenti e discussione, Istituto della Enciclopedia Italiana, Roma 1984, trad. dall'inglese e dal tedesco di Kurt Rollin, pp. 366, Lit. 18.000. L'economia austriaca è oggetto da alcuni anni di numerosi studi per la particolare natura delle sue posizioni metodologiche e per le sue originali teorizzazioni su valore, capitale, moneta e interesse, al punto che vi è oggi chi dubita della correttezza di una sua inclusione nel filone neoclassico. In questo volume è finalmente tradotto il lungo dibattito sulla teoria dell'interesse che ha opposto Bòhm Bawerk a Menger e J.B. Clark prima ed a Schumpeter poi. Carattere peculiare di questa discussione è quello di trattare come primaria la questione dell'origine dell'interesse, da cui poi derivare la soluzione al problema delle determinanti del suo livello. Nella lunga ed importante introduzione Nicolò De Vecchi concentra l'attenzione sulla polemica tra Bòhm Bawerk e Schumpeter: mentre il primo riconduce il reddito da capitale alla produzione indiretta, che richiede tempo perché impiega mezzi di produzione e non solo risorse originarie, e dunque attribuisce all'interesse un carattere di naturalità al pari del salario e della rendita, Schumpeter al contrario vede nell'interesse il prezzo del credito, quota del profitto garantito all'imprenditore dalla sua attività innovativa, che può esplicarsi solo in forza di un finanziamento bancario. (r.b.) pagina a cura di Riccardo Bellofìore Carlo Filippini, Pier Luigi Porta (a cura di), Società, Sviluppo, Impresa. Saggi su Schumpeter. Atti del Convegno "Società, sviluppo, impresa nel centenario della nascita di J.A. Schumpeter", Milano 20-21 ottobre 1983, Annali dell'Economia Italiana, Istituto IPSOA 1985, pp. 365, s.i.p.. Non si può certo dar conto in poche righe di tutte le relazioni e degli innumerevoli interventi, che toccano gran parte dei pure numerosissimi temi sui quali Schumpeter ha fornito un rilevante e spesso assai originale contributo, contenuti in questo volume. Si può invece sottolineare un'impronta che appare molto chiaramente dagli atti del convegno: l'intento di evidenziare ed analizzare gli aspetti di attualità del pensiero di Schumpeter nel confronto con gli sviluppi teorici successivi e con i problemi posti dalla realtà odierna. In particolare vengono messi in luce, nelle relazioni, la complessità e l'articolazione delle argomentazioni schumpeteriane, composte di elementi diversi, analisi insieme "economiche, storiche, statistiche e sociologiche e politiche", ma tra loro integrati. Complessità necessaria quando l'obiettivo sia l'analizzare il funzionamento e le trasformazioni, lo sviluppo del sistema economico capitalistico, sia nelle forme nuove che ha assunto lo sviluppo ciclico che nel suo dirigersi verso una società postindustriale, ma che rivela la sua capacità di penetrazione e di essere termine di confronto anche nella considerazione del modus operandi di specifiche istituzioni, quali quelle finanziarie. R. Burlando George L. S. Shackle Gli anni dell'alta teoria. Invenzione e tradizione nel pensiero economico 1926-1939 Istituto della Enciclopedia Italiana, Roma 1984, ed. orig. 1967, trad. dall'inglese di Gabriella Nisticò e Giuliana Scudder, _pp. 418, Lit. 18.000_ Nel 1926, data d'inizio del periodo considerato in questo libro, vennero pubblicati in Inghilterra l'articolo di Piero Sraffa "The Laws ofReturns under competitive conditions " e il libro di Dennis Robertson Banking Policy and the Price Level. L'uno e l'altro dettero luogo a sviluppi teorici radicalmente critici dell'ortodossia neoclassica dominante. Il pezzo di Sraffa fu difatti all'origine, come sottoprodotto di una critica alla compatibilità dì rendimenti crescenti o decrescenti con la concorrenza perfetta nella teoria di Marshall, delle ricerche sulla concorrenza imperfetta della Robinson e dì Chamberlin. Il libro di Robertson, invece, apriva la riflessione anglosassone alla macroeconomia monetaria dì Wìcksell e Myrdal (ma anche Schumpeter) centrata su una analisi del ruolo fondamentale del credito perii processo capitalistico, e fu all'origine delle tesi di Keynes su instabilità e dì-soccupazione involontaria sviluppate nel Trattato della moneta e nella Teoria Generale. La tesi centrale di Shackle e che i due filoni di ricerca siano accomunati da un punto essenziale, la crìtica all'assunzione propria della teoria del valore neoclassica di un mondo stabile, conoscibile e prevedibile. L'attacco alla conoscenza universale perfetta porta con sé la crisi della teoria della concorrenza perfetta e di quella della piena occupazione, e pone al centro dell'analisi incertezza, moneta e aspettative. Ad una simile interpretazione, che è alla base di molte successive teorizzazioni postkeynesiane, Shackle era in un certo senso spìnto dalla propria singolare formazione, avendo egli aderito al keynesismo pur essendo allievo ed estimatore dì Hayek, oppositore dei nuovi orientamenti. Da Hayek egli sembra mutuare la critica alle teorizzazioni dell' equilìbrio e l'importanza delle aspettative e del tempo, radìcalizzandone però le implicazioni alla luce della rivoluzione dì Keynes. All' origine di questo allontamento dalla teoria tradizionale sarebbero una ragione 'esterna' ed una 'interna'. La prima e costituita dalla perdita stessa nella realtà della tranquillità e dall'avvento dell'età dell'incertezza come conseguenza della prima guerra mondiale; la seconda, in parte effetto della prima, è la rilevazione di incoerenze interne alla teoria tradizionale. La critica e l'innovazione partono comunque necessariamente dall'uso di materiali tradizionali (si sentono qui echi kuhniani). Più attento agli aspetti distruttivi della teoria ortodossa che alla formulazione di costruzioni teoriche alternative, e un po' invecchiato dai quasi cent'anni dalla prima pubblicazione (in particolare per l'apparizione dì nuovi materiali su Keynes), il testo di Shackle rimane comunque un classico della storia dell'analisi i cui stimoli per l'interpretazione degli anni venti e trenta ancora oggi non sono stati pienamente sviluppati. (r.b.)