riNDICF ■■dei libri delmeseBH temporale, almeno nella commissione Life and Work. Alla luce di questi fattori sia di ordine dottrinale, sia di ordine pratico, emerge in tutta chiarezza la lezione di fondo contenuta in articoli come Fede e politica, La politica dell'Agape, Discorso politico alla Chiesa: l'abbandono di una visione intimistica del cristianesimo derivata, in ambiente protestante, dal pietismo e troppo riduttivamente limitata alla salvezza personale; la necessità di concepire la fede come ascolto e comportamento nella linea deli'agape, volta al servizio degli uomini; la fede nella risurrezione del Cristo, spinta fino alla determinazione di consentire a lui, appunto in quanto risuscitato, l'iniziativa e il monopolio della politica àe\\'agàpe, limitandosi esclusivamente ad assecondarlo. Quest'ultima affermazione, che potrebbe contenere le premesse di un assorbimento del politico nel religioso, in una sorta di neoagostini-smo politico, o quantomeno di teocrazia, costituisce, invece, per l'intransigente affermazione della trascendente sovranità di Gesù, signore della storia, la piattaforma ideale di una dimensione del politico, libera da ogni invasione ierocratica: "Se Cristo solo fa la politica dell'agàpe non può egli muovere ai suoi fini innumerevoli uomini che pure non lo conoscono? Sono il suo 'terzo popolo' che spesso ci precede nel Regno di Dio [...] Il nostro vero rischio è di valutare la nostra dogmatica e, peggio, assai spesso l'iscrizione, così insignificante oggi, ad una chiesa, come misura della validità dello strumento che Cristo dovrebbe usare". E ancora, in maniera più esplicita per non dire provocatoria: "Cristo è la Via, non Marx! Marx è un servitore, come altri, che Dio si è suscitato per aiutarci nell'analisi della società contemporanea". L'accenno a Marx è significativo perché, nel rifiuto opposto dal Vi-nay a ogni chiusura di tipo chiesastico, mette meglio in evidenza l'esigenza implicita di un'analisi economica sociale e politica in piena autonomia dalla fede, anche se non indipendente da essa, quantomeno nelle sue conclusioni: le scelte politiche del credente non possono essere fatte "né senza conoscere le circostanze storiche, né senza l'ascolto della Parola". Ciò che garantisce l'equilibrio dell'analisi tra fede e ragione è Vagàpe nella sua funzione di utopia, secondo le istanze delle recenti teologie della liberazione. L'utopia del mondo nuovo: è il titolo dato dal Vinay alla miscellanea che riunisce i suoi articoli. Qui "mondo nuovo" sta per mondo basato s\i\t'agàpe, in contrapposizione al mondo vecchio, basato sul potere e sullo sfruttamento dell'uomo. In questa prospettiva, il mondo dell 'agape è utopico non nel senso di un mondo irrealizzabile, ma di un mondo non ancora realizzato, in quanto l'utopia dell 'agape agisce come "lampada" e come "bussola": da una parte, illumina l'analisi oggettiva che fa emergere le contraddizioni delle strutture economiche e politiche, rispettivamente fondate sul profitto e il potere, provocandone il rifiuto; dall'altra, orienta le inevitabili scelte alternative: dal momento che, secondo i dati statistici degli esperti, l'economia capitalistica riduce "due terzi dell'umanità" alla miseria e al sottosviluppo, "per agàpe verso gli uomini, non possiamo, proprio perché credenti, esser conservatori, ma solo rivoluzionari". Si tratta, però, di una rivoluzione che non esclude, ma che non implica ipso facto la violenza, che lascia bensì aperte alla prudenza politica tutte le possibilità concrete di realizzazione; tenendo conto anche del fatto che il fondamento ultimo di questa rivoluzione, per il Vinay, è pre-politico: esso consiste in un cambiamento di mentalità e si propone in ultima analisi di "liberare dalla loro alienazione" non solo gli oppressi, ma anche gli oppressori, secondo il modulo di liberazione tentato da Martin Luther King. Le pagine che, nell'economia del volume, sono dedicate ai discorsi al senato o ad altri scritti politici sono strettamente connesse con questo tipo di problematica. Il ventaglio degli interessi del Vinay vi si rivela assai ampio, anche se tutti possono ridursi all'unico tema di fondo della emarginazione umana: dalle pensioni minime all'interruzione volontaria della gravidanza, all'occupazione giovanile, alla morte per fame di milioni di bambini, ai paesi in via di sviluppo, ai rapporti tra ebrei e palestinesi, alla Polonia di Jaruzelski, agli "scomparsi" di Argentina, al problema del disarmo nei suoi aspetti molteplici. In ciascuno di questi scritti precede un'analisi oggettiva della situazione, seguita da conclusioni o scelte coerenti con l'analisi e, al tempo stesso, in sintonia con il principio Ae\\'agàpe. I discorsi al senato del Vinay costituiscono un contributo importante di area cristiana alla cultura politica italiana; importante, perché i suoi interventi esprimono la presa di coscienza da parte di un credente di dover fare precise scelte temporali, suggerite dalla congiuntura storica, insieme ad altri uomini e a proprio rischio e pericolo, senza far conto, cioè, — scrive il Vinay — sulla presenza rassicurante di "un Magistero nella chiesa che faccia il bello e il brutto tempo in ogni zona dell'esistenza umana". □ Occasioni mancate di Bruno Chiesa Gerhard von Rad, Scritti sul Vecchio Testamento, trad. dal tedesco di Antonio Dusini, Jaca Book, Milano 1984, pp. 248, Lit. 13.000. G. von Rad (1901-1971) è stato, con Martin Noth, il discepolo più fa- moso di Hermann Gunkel, il primo studioso che abbia applicato al testo biblico il metodo della cosiddetta Formgeschichte, nel tentativo di far uscire da una sicura impasse l'ipotesi con cui J. Wellhausen aveva cercato di spiegare la genesi letteraria dei primi cinque libri dell'Antico Testamento (il Pentateuco), ovvero l'ipotesi "documentaria", di vaga ispirazione hegeliana, secondo cui il Pentateuco è nato dalla fusione di quattro fonti, diverse per età ed ideologia, riunite in un insieme narrativo ad opera dell'ultima fonte, verso la metà del VI sec. a.C. Anzi che proseguire sulla via della frantumazione del testo biblico in unità sempre più piccole, H. Gunkel si soffermò sullo studio dei generi letterari ricorrenti sia nelle sezioni in prosa sia in quelle poetiche, ponendo nel dovuto rilievo la fase di trasmissione orale, che è all'origine di ogni tradizione. Applicando lo stesso metodo, G. von Rad propose, in un famoso saggio del 1938, di individuare nel genere della "confessione di fede" (o "credo") lo schema su cui si modellò la collezione dei materiali più antichi confluiti nel Pentateuco e nel libro di Giosuè, ossia nell'Esateuco. Questa ipotesi, che costituì per molti anni il maggior titolo di credito di von Rad, è stata ormai abbandonata da anni (all'incirca dal 1966). Il nome dello studioso tedesco non è, comunque, caduto nell'oblio, grazie soprattutto all'impatto che ebbe sul mondo scientifico, in specie tedesco la sua Teologia dell'Antico Testamento (I, 1957; II, I960), in cui si riproponeva con forza una lettura tipologica dell'Antico Testamento: "Cristo ci è dato soltanto nel doppio coro di quelli che lo aspettavano [Antico Testamento] e di quelli che se ne ricordano [Nuovo Testamento]" (p. 212 del volume qui segnalato). Com'era logico attendersi, la Teologia è stata fonte più di polemiche che di consensi: in ogni caso, essa, ribaltando le posizioni di Har-nack e dello stesso Bultmann, ha avuto il merito di portare all'approfondimento del rapporto tra Antico e Nuovo Testamento e di suscitare vivaci dibattiti sull'ermeneutica biblica. Accanto a queste opere, che hanno segnato una tappa nella storia degli studi veterotestamentari, von Rad scrisse svariati saggi, in gran parte ripubblicati in due volumi di Gesammelte Schriften zum Alten Testament (Munchen 1958 e 1973) ed ora accessibili anche in questa edizione italiana di Scritti sul Vecchio Testamento. Per la verità, il volumetto, che si presenta (p. 2) come traduzione dei due volumi dell'edizione tedesca, non contiene se non otto dei ventinove saggi di cui si compongono gli originali. A parte la rilevanza numerica di questi tagli — di cui l'anonimo curatore dell'edizione italiana avrebbe dovuto dare chiara notizia al lettore — desta una certa perplessità l'esclusione del contributo più significativo di tutta la raccolta, Das formgeschichtliche Prohlem des Hexateuch (I, 9-86), ossia del saggio del 1938, a cui von Rad deve gran parte della sua celebrità. Oltre a non dare alcuna motivazione della cernita fatta, l'editore italiano non ha nemmeno ritenuto opportuno spendere una sola riga per inquadrare storicamente la figura e l'opera dell'autore; egli si limita ad avvertire, nella quarta di copertina, che "un autore come von Rad non ha bisogno di presentazione: la sua fama è dovuta sia alla rigorosità delle sue ricerche, sia anche alla capacità di dedurre autentico alimento spirituale dalla sua lettura dell'Antico Testamento". Dato e non concesso che l'ultima affermazione sia corretta, resta il rammarico di vedere l'opera di uno studioso coscienzioso e serio ridotta ad oggetto di "lettura spirituale", quando, con minimo sforzo, si sarebbe potuto offrire al lettore un'informazione di base per collocare quello che resta degli Studi di von Rad nel loro contesto culturale. E con un senso di disagio che si vedono riproposte come attuali, al riparo appunto della "notorietà" dell'autore, interpretazioni storiche così obsolete qual è quella di p. 63, sull'impeto di David, "uno stato di grande potenza di espansione, consolidato politicamente, ecc.": questa è parafrasi del testo biblico, non storia (e con gli strumenti critici propri dello storico si deve delineare un quadro ben diverso, come ha dimostrato recentemente G. Garbini, negli "Annali della Scuola Normale Sup. di Pisa", s. Ili, 13, 1983, 1-20). Ma anche volendo ridurre a lettura edificante scritti il cui principale limite è il loto essere datati, crediamo che resti tassativo l'obbligo di offrire un prodotto almeno letterariamente buono. Ebbene, anche sotto questo punto di vista, l'edizione italiana degli Scritti ci sembra un'ottima occasione mancata. A conferma basteranno i pochi esempì che proponiamo: p. 28 ( = I, 148) "epigrafi di fasti" per "Prunkinschriften"; p. 29 ( = I, 150): "... possiamo citare i presupposti che hanno reso capace questo popolo di una tale prestazione" ("die dieses Volk zu solcher Lei-stung befàhigt haben"); ih.: "In primo luogo sarebbe da nominare quello che sopra abbiamo definito 'senso storico', cioè quella capacità peculiarmente tagliata per vivere coscientemente la storia!" ("... jenes eigentumlich ausgepràgte Vermògen, Geschichte bewusst zu erleben", ossia: "quella capacità particolarmente spiccata di fare esperienza cosciente della storia"); ih.: "C'incontriamo con un indirizzo quasi esclusivo dello spirito per il rapporto storico di tutto l'essere..." ("Wir sehen eine fast ausschliessli-che Ausrichtung des Geistes, auf die Geschichtsbezogenheit alles Seins", ossia: "Riconosciamo una mentalità attenta quasi esclusivamente all'aspetto storico di ogni essere"); per l'ultimo esempio che intendiamo riportare non sarà neppur necessario porre a confronto l'originale tedesco: (p. 30) "Già nei fatti e nelle circostanze prodigiose in cui si era trovato l'antico Israele, era stato per esso un bisogno irrecusabile indagare di volta in volta sulla sua origine e sulla sua struttura". □ Jean-Paul Sartre Lettere al Castoro e ad altre amiche Traduzione di Oreste del Buono Garzanti