N. 8 pag. 22 Lrimpresa così com'è di Nicholas Kaldor In occasione dell' edizione americana di Le forze dello sviluppo e del declino di Sylos Labini (Laterza, Bari 1984), pubblichiamo questa recensione di Nicholas Kaldor, che comparirà anche in versione leggermente più ampia sulla rivista inglese The Economie Journal. Avvertiamo inoltre il lettore dell' esistenza di alcune differenze tra le due edizioni. In particolare, l'edizione americana contiene il saggio su Marx e Schumpeter cui si riferisce Kaldor nella recensione, che non si trova invece nell'edizione italiana. Paolo Sylos Labini, The Forces of Economie Growth and Decline, The MIT Press, Cambridge, Mass., 1984, pp. XIV+ 253, $ 21. Questo è un libro davvero notevole, da raccomandarsi caldamente a tutti coloro che credono di avere idee chiare e precise su come funzionano le economie di mercato basate sull'impresa privata. Sarebbe un errore suggerire che l'autore fornisca una teoria alternativa che copra un terreno altrettanto ampio di quello della scuola classica e della scuola neoclassica. Lo scopo è di gran lunga più circoscritto: trovare le caratteristiche significative, chiaramente fondate su materiale empirico (osservazioni e statistiche), della condotta dei moderni oligopoli, in particolare nell'industria manifatturiera di paesi come gli Stati Uniti e l'Italia. (Tutti i suoi dati si riferiscono a questi due soli paesi, ma la maggior parte dei risultati si adatta in modo più o meno equivalente a paesi come la Gran Bretagna, la Germania, la Francia, ecc.). Il libro inizia con un lungo saggio storico, scritto trent'anni fa, sulle teorie di Marx e Schumpeter riguardo alla natura della crescita economica in regime capitalistico. Entrambi gli autori risultano aver detto pressapoco le stesse cose, ma in linguaggi così differenti da richiedere un'analisi serrata per poter apprezzare le loro somiglianze. E ciò sia riguardo al processo più o meno spontaneo di invenzione tecnica, sia riguardo ai fattori principali dello sviluppo, la cui realizzazione si manifesta ad ondate. Credo che questa lunga pane introduttiva, benché sia un saggio notevole di esposizione di dottrina, non sia davvero utile in rapporto ai capitoli che seguono, in quanto induce il lettore ad attendersi allo stesso tempo troppo e troppo poco. Troppo nel senso di indurlo ad attendersi una nuova Teoria dello sviluppo economico, paragonabile, per ampiezza e generalità, a quelle di questi più antichi maestri; ma lo induce anche ad attendersi troppo poco, in quanto non fornisce alcuna traccia della natura delle leggi empiriche o delle generalizzazioni di cui il resto del libro (particolarmente gli ultimi capitoli) abbonda. Il grande merito di Sylos Labini è di prendere il mondo così com'è — senza lasciarsi indebitamente condizionare dal bisogno di fornire una spiegazione di come è arrivato ad essere così — e di mostrare le conseguenze di differenti modelli di comportamento. In questo mondo i prezzi non sono determinati dalle forze impersonali del mercato: sono fissati dai venditori, mentre le quantità comprate a quei prezzi sono determinate dai compratori. Una variazione della domanda da parte dei compratori condurrà direttamente a variazioni delle quantità, e non a variazioni dei prezzi, il che non esclude che variazioni persistenti delle quantità non generino variazioni dei prezzi dopo un certo intervallo, ma queste ultime potrebbero avvenire in entrambe le direzioni. Ogni venditore fissa il suo prezzo mediante un freddo calcolo dei costi diretti per unità di produzione (che consistono del costo del lavoro e dei costi delle materie prime), ai quali viene aggiunto un margine percentuale per i costi fissi e i profitti. I profitti sono così il tesi-duo che rimane dopo il pagamento tori rifletterebbe semplicemente il rapporto tra i costi diretti e il (comune) prezzo di mercato. Tuttavia, con la differenziazione del prodotto, non esiste neppur l'ombra di un comune prezzo di mercato, ma tutt'al più un ordine consolidato di prezzi; e neppure è chiaro come questi prezzi vengano conseguiti — né la teoria del monopolio, né la teoria classica del duopolio ci sono d'aiuto in questo contesto. Si è costretti a concludere che l'oligopolio è sempre connesso alla leadership sul prezzo, anche se non c'è alcuna teoria che spieghi il comportamento dell'impresa leader sul prezzo, o anche solo se la leadership sul prezzo metta un'impresa neces- piena consapevolezza che i loro concorrenti faranno altrettanto. I prezzi sono dunque determinati dai costi, o, più precisamente, crescono in linea con i costi. Tuttavia con ciò siamo ben lontani dall'aver esaurito l'argomento. Benché tutti i produttori si trovino verosimilmente in regime di costi unitari decrescenti al crescere del volume della produzione (nel lungo periodo, e nella maggioranza dei casi anche nel breve periodo), essi non possono tagliare i loro prezzi aggressivamente senza incorrere in gravi rischi; cosiché se si dedicano al taglio dei prezzi, sono propensi a nasconderlo mediante differenziazione del prodotto. Esattamente per le stesse ragioni essi non Dal 21 ottobre in libreria il nuovo romanzo di Daniele Del Giudice Atlante occidentale Quando la letteratura ha qualcosa da dire Einaudi dei costi fissi, che possono variare molto tra un'impresa e un'altra. Anche se gli altri elementi di costo — i costi diretti e il margine (mark-up) percentuale — fossero gli stessi, i costi fissi possono essere assai differenti. Infatti essi variano in proporzione inversa al volume delle vendite, ed è un fatto ben noto che in materia di vendite le imprese differiscono enormemente per ragioni che non possono essere fatte dipendere semplicemente da criteri stabiliti quali prezzo, qualità, affidabilità, ecc. E chiaro che mentre ogni venditore è libero nel fissare il suo margine, la percentuale aggiunta al costo ditetto deve essere tale da tradursi in una quotazione del prezzo che regga al confronto con i prezzi dei produttori rivali. Non ne segue tuttavia che ogni venditore trova che il prezzo "gli viene dettato dal mercato" — se così fosse, la fissazione del prezzo tramite il mark-up sarebbe un esercizio privo di senso, dal momento che il mark-up di differenti produt- sariamente in posizione avvantaggiata rispetto ùle imprese seguaci price-followers). Su ciò Sylos Labini dice assai poco al di là dell'annotazione secondo cui sono sempre le grandi imprese che con ogni probabilità sono leaders sul prezzo. Questo è chiaramente il caso allorché un innalzamento del prezzo deciso da un'impresa leader, che copra una larga parte del totale delle vendite, potrebbe lasciarne altre in una situazione tale da costringerle ad innalzare i loro prezzi: qualora non fossero in grado di soddisfare i loro clienti esse eviterebbero così una situazione di "eccesso di domanda". In teoria, se un singolo produttore alzasse il suo prezzo per coprire l'aumento del costo del lavoro o delle materie prime, e altri produttori non facessero altrettanto, si troverebbe a mal partito, in una posizione assai poco confortevole. Ma per istinto innato gli imprenditori capitalisti sanno di poter alzare i prezzi a seguito, poniamo, di un aumento generale del costo del lavoro, nella possono permettersi neppure di addebitare un prezzo così alto da essere "diseconomico". Anche se ogni produttore può credere sinceramente di addebitare il "prezzo di costo" appropriato, egli sa anche che il suo "prezzo di costo" deve stare in stretto rapporto con i prezzi praticati dai produttori rivali. Se i costi di tutti i produttori fossero assai simili l'un l'altro, tutto ciò non avrebbe importanza. Ma sappiamo che in realtà i profitti realizzati da produttori rivali mostrano le più ampie variazioni — presso alcuni ammontano al 40-50 per cento del prezzo, presso altri possono essere negativi o prossimi allo zero. Perciò i loro costi devono essere assai differenti : o perché sono differenti i loro costi diretti — la produttività del lavoro varia da impresa a impresa —, o perché è differente la loro capacità di vendere (misurata dalle vendite in rapporto alla capacità produttiva), cosicché i loto costi fissi, dimensionati in rapporto alla produzione potenziale, vengono a gravare assai più pesantemente su alcuni produttori piuttosto che su altri. In ogni modo Sylos Labini mostra che gli aumenti dei costi diretti, si tratti del costo del lavoro o delle materie prime, vengono trasferiti rapidamente sui prezzi, anche se nel caso del costo del lavoro il trasferimento non è mai completo (le sue ricerche empiriche mostrano che non eccede l'85-90 per cento); il fatto che non si giunga al 100 per cento può essere il risultato di molti fattori, tra i quali la concorrenza dei beni importati è probabilmente il più importante. Perciò in un contesto dinamico (e tutto nel libro di Labini si colloca in tale contesto, il che significa che egli si occupa di tassi di variazione di prezzi e quantità, piuttosto che di prezzi e quantità come tali) se i salari crescono più rapidamente dalla produttività, i profitti andranno incontro ad una stretta; se sono in ritardo rispetto alla crescita della produttività, i profitti se ne avvantaggeranno per ogni dato volume di vendite, ma ne soffriranno se le vendite si riducono a causa di una domanda effettiva più contenuta. La più importante differenza nei benefici dipende da un'asimmetria di fondo in tutti i mercati oligopolistici riguardo alla reazione nei confronti di aumenti di costo rispetto alle riduzioni di costo. Mentre gli aumenti di costo in tutti i casi normali vengono largamente trasferiti sui prezzi (per T80-90 per cento, se non per il 100 per cento), le riduzioni dei costi non possono essere trasferite a causa della ben nota "rigidità verso il basso" dei prezzi in tutti i mercati oligopolistici. Non c'è nessun tentativo di spiegare questa asimmetria su un piano razionale, che viene presentata solamente come un fatto ampiamente verificato dagli studi empirici. Per ottenere i più alti tassi di sviluppo economico è necessario perciò che i salari crescano più rapidamente della produttività, ma non così tanto da impedire la possibilità di profitti crescenti. Data la crescita della produttività dovuta al progresso tecnico, c'è un saggio ottimo di profitto che rende massimo il saggio di crescita del sistema. Le recessioni, più o meno severe, avvengono perché il tasso di aumento dei salari monetari è o eccessivo o insufficiente, o perché il tasso di profitto sul capitale (che governa in gran parte quanto viene investito nell'aumento della capacità produttiva) è o eccessivo o non abbastanza alto. E fuori discussione che questo è un libro assai stimolante, sia per le sue scoperte empiriche, sia anche a causa delle molte questioni importanti che solleva, le quali fanno ancor più riflettere in quanto non vengono pienamente risolte dall'autore. Questo è particolarmente vero per la sua affascinante spiegazione della severità della depressione seguita al 1929, che egli attribuisce al fatto che il "boom" del 1922-29 in America fu largamente un boom da profitti, mentre il potere d'acquisto reale dei percettori di salari e stipendi non mostrò quasi nessun aumento. Cosicché quando i profitti crollarono non c'era nulla a far da pavimento alla caduta della domanda effettiva. (trad. it. di Gian Luigi Vaccarino)