____Finestra sul Mondo_ Guerra irlandese e censura britannica LlZ CURTIS, Ire land the propaganda war, Pluto Press, London and Sydney 1984, pp. 336, £ 6. Lo sciopero generale dei giornalisti radio-televisivi inglesi dell'agosto scorso, contro la censura del programma "On the Edge of the empire", sull'Irlanda del nord, ha incrinato non poco uno dei più solidi miti britannici, quello dell'obbiettività della Bbc. Ma se lo sciopero, il primo della lunga storia della Bbc, ha costituito un fatto straordinario, non così la pratica della censura sul conflitto nell'Ulster. Conflitto che ha già provocato oltre 2.000 morti e decine di migliaia di feriti. A gettare un po' di luce sulla censura inglese e sui suoi meccanismi è ora giunto in libreria il libro "British media and ireland" della giornalista e studiosa inglese Liz Curtis. Una ricerca sulla "propaganda di guerra" e la "guerra di propaganda" che i media hanno da tempo ingaggiato con l'opinione pubblica intema e internazionale. Le librerie di Fleet Street, là dove hanno sede i principali quotidiani, l'hanno esaurito in poche ore. I negozi di libri nei pressi di "Bush house", dove ha sede la Bbc, sede del ministero della verità nel famoso 1984 di Orwell, ne hanno ordinato nuove copie a poche ore dalla sua uscita. Il segreto di tanto successo sta nell'approccio, del tutto nuovo per la Gran Bretagna, con il quale la Curtis affronta il problema. "Abbiamo sempre udito di bombe a Ballykelly e Strabane, di autobus dati alle fiamme a Belfast, ma chi è stato mai informato dei problemi, delle speranze, degli obiettivi della comunità irlandese?" si chiede la ricercatrice britannica nell'introduzione. Il giudizio sui media è netto e tende a rimettere in discussione, dopo un lunghissimo lavoro di analisi dei testi, la tradizionale fama di obiettività della stampa inglese. "Questa guerra — scrive la Curtis — è il migliore esempio di come agiscono i meccanismi della censura britannica. Giornali, radio, televisione, agenzie di stampa, più che dare informazioni le hanno soppresse con la scusa che la loro diffusione avrebbe fatto il gioco del nemico. In tal modo la popolazione di questo paese non ha idea di cosa stia avvenendo in quel lembo d'Irlanda". Il grande interesse suscitato dalla pubblicazione di questo libro è da ricollegare anche al diffondersi, in strati sempre maggiori dell'opinione pubblica liberal, di una forte preoccupazione per il progressivo restringimento delle libertà civili sotto il governo di Margareth Thatcher. Non è infatti un caso che quei meccanismi di censura, mistificazione e persino di costruzione di vere e proprie falsità, collaudati in Ulster, siamo stati perfezionati nel corso della guerra delle Malvine e applicati in maniera estensiva contro "i nemici interni", le minoranze razziali e i minatori in sciopero. Nella prima parte dell'opera la Curtis analizza i lunghi anni bui dal 1920 al '69, quando il silenzio sul problema dell'Ulster era così totale che pochi sapevano dell'esistenza di un vero e proprio "stato di polizia" nel quale il 40% della popolazione non gode di alcun diritto. Del resto, come ha più volte sostenuto M. Marshall, direttore della Bbc dell'Ulster a cavallo tra le due guerre, il compito dei media è proprio quello di "mantenere un con- trollo di ferro sulle notizie e assicurarsi che non ne venga messa in giro nessuna che possa suggerire l'idea che qualche cosa in Irlanda del nord possa o debba cambiare". Dopo un breve periodo di interesse da pane della stampa, in occasione dello scoppio del movimento per i diritti civili, ben presto, quando apparve evidente l'impossibilità di riformare lo stato del nord, la censura tornò a calare pesantemente sulle notizie relative all'Ulster. Furono proprio gli anni dal '69 (arrivo delle truppe inglesi) sino al '71 (introduzione dell'internamento senza processo e della pratica delle torture basate sulle privazioni sensoriali) quelli in cui i meccanismi di funzionamento della "propaganda di guerra" si sono andati perfezionando fino ad assumere la loro forma attuale. Di fronte alle insistenti voci di torture, alle manifestazioni di piazza, alla rinascita dell'Ira, le autorità inglesi decisero di porre un freno al flusso di notizie che ogni giorno raggiungeva l'Inghilterra e gli altri paesi europei. L'ipotesi di fondo sulla quale si costruì questa "censura invisibile" era quella secondo la quale gli Stati Uniti stavano perdendo la guerra dei Vietnam per colpa dei media "che avevano minato il morale delle tmppe". Ma le vere ragioni erano molto più vici- di Stefano Chiarini ne; da uno studio commissionato in quegli anni dal governo britannico emerse che oltre il 59% dei cittadini era favorevole al ritiro delle tmppe dall'Ulster. Bisognava cambiare strada e presto, concordarono laburisti e conservatori. Londra non perse tempo. L'allora ministro della difesa Lord Carring-ton scrisse immediatamente al direttore della Bbc intimandogli "di porre fine alla trasmissione di servizi i quali danno credito alle accuse contro l'esercito" per le violazioni dei diritti umani. La dura presa di posizione di Lord Carrington arrivò in seguito all'ondata di indignazione suscitata da una intervista televisiva con un uomo che aveva assistito all'uccisione, da parte dell'esercito, di un sacerdote che stava dando l'olio santo ad un ferito grave. Le pressioni del ministro della difesa e àc\\'establishment contribuirono a limitare ancor più le informazioni sull'Ulster. I responsabili della Bbc, dopo lunghi incontri con i rappresentanti del governo, optarono così per un tipo di "censura interna" che non sollevasse le ire dell'opinione pubblica. Tale sistema, introdotto nel 1971, venne poi perfezionato nel 1979 e sistematizzato in un opuscolo giallo il news and current affair index, una specie di manuale le cui norme tutti i giornalisti della radio e della televisione sono tenuti a rispettare. Secondo le nuove regole, ogni trasmissione nella quale venga fatto qualsiasi riferimento all'Irlanda deve essere sottoposta al Northern Ireland controller, una specie di supercensore il cui parere favorevole è necessario in tutte le fasi della produzione. Questa figura dispone così di un vero e proprio diritto di veto, su qualsiasi trasmissione che riguardi l'Irlanda, in tutto il territorio nazionale. In tal modo il Northern Ireland controller finisce per influenzare non solamente la rete nazionale ma anche tutte le altre radio e televisioni europee e internazionali che utilizzano i programmi della Bbc. Nel caso di un suo parere negativo su qualche programma, il caso viene discusso "per scala gerarchica" dai responsabili dell'ente radiotelevisivo britannico, fino al direttore generale. Sono pochi gli autori e i giornalisti in grado di affrontare un iter di questo tipo, un processo così lungo e potenzialmente pericoloso per la loro carriera. "Preferisco trovarmi al centro di una sparatoria a Belfast piuttosto che discutere di questo con il direttore generale", ha dichiarato recentemente un famoso reporter inglese. Come ha scritto Jonathan Dim-bley sul settimanale The New States- man: "la censura e le restrizioni imposte ai giornalisti impediscono loro di chiedere e chiedersi molti perché. Perché quando un soldato inglese muore i nazionalisti cattolici, che pure anni fa lo avevano accolto bene, ora sono felicissimi? Perché nessuno condanna gli attentati? Perché l'Ira gode del sostegno della popolazione? Rispondere a questi interrogativi sarebbe cruciale per capire cosa sta avvenendo e giudicare la politica del governo. Eppure i giornalisti della Bbc non possono chiedersi perché". Ma non sono solo i servizi o i telegiornali a cadere sotto i colpi della censura: basti pensare alla canzone di Paul McCartney "Give Ireland back to the Irish", censurata nel 1973, o al più recente video dei Poli-ce Invisible sun. In quest'ultimo caso si trattava di scene tratte dalla vita di tutti i giorni a Belfast. Singolare la motivazione della censura: "Nonostante il contenuto della canzone sia pacifista, le immagini del video potrebbero portare significati che non sono presenti nel testo". Ma sono centinaia le opere di qualità, drammi, commedie, film, documentari che giacciono da anni negli armadi della Bbc. Tra le vittime più illustri il firn storico prodotto per la Tv dal famoso regista Kenneth Griffith, Innalzate i vostri colori più brillanti: un film sulla vita e le opere di Michael Collins, comandante dell'Ira nella guerra antinglese del 1919-20, che prendeva spunto da una lettera di Bernard Shaw alla sorella di Michael in occasione della sua morte. Non certo migliore e anzi, per certi versi, di gran lunga più mistificante l'atteggiamento dei grandi quotidiani inglesi. Dal momento che, fino alla fine degli anni Settanta, la politica nordirlandese del labour e del partito conservatore era sostanzialmente la stessa, i quotidiani e i settimanali presentavano al pubblico inglese una immagine degli avvenimenti del tutto corrispondente a quella fornita dall'esercito e dal governo. Quando, nel '71 e nel '77, cominciarono a circolare circostanziate accuse sul diffondersi della pratica della tortura nelle carceri britanniche in Ulster, la reazione dei giornali oscillò tra accusare l'Ira di aver torturato i suoi uomini, pur di mettere in cattiva luce il governo di Londra (Daily Express) e il sostenere che questi metodi sono spiacevoli ma necessari (Guardian). Uno dei pochi giornalisti che non ha accettato questo stato di cose è John Callaghan, reporter del Guardian, dimessosi in segno di protesta per la censura cui era stato sottoposto dalla direzione: "questo stato di cose, nel quale anche un giornale da sempre contrario alla violenza dello stato e delle istituzioni come il Guardian, appoggia acriticamente l'esercito, ha fatto sì che le autorità si sentissero libere di reprimere a loro piacimento contribuendo così a peggiorare ulteriormente la già difficile situazione". Il precedente storico di Federico Romero In Ulster come alle Falkland il controllo sull'informazione e stato motivato dalla necessità di non ripetere la sventurata esperienza americana in Indocina. Anche la campagna aspra ed aggressiva lanciata dalla destra americana contro il dominio liberal dei mass-media si fonda sul semplice assioma elaborato dal Pentagono ad autogiustificazione della sconfitta in Vietnam. Il ragionamento dei generali si può riassumere così: la vittoria militare ci fu impedita dall'opposizione dell'opinione pubblica. Questa era stata turbata e sollevata dagli spregiudicati, impietosi servizi di una stampa, e soprattutto di una Tv, troppo liberal. Ergo, la buona riuscita di un'impresa militare, al giorno d'oggi, richiede il monopolio sulla fonte d'informazione, l'allontanamento dei reporters dal teatro d'operazioni. Oppure, (meglio ancora: in aggiunta a ciò), si devono sottrarre i mass-media all'insopportabile influenza liberal. Per quest'ultima ipotesi è l'ultrà reaganiano senatore Helms, che ha fatto appello ad imprenditori e capitali della destra affinché assumano il controllo di una delle tre grandi reti televisive, la Cbs: obiettivo, estromettere Dan Ra-ther, popolarissimo conduttore del Tg, doppiamente inviso alla destra, perché liberal poco incline al reaganismo, ed anche per essersi imposto (ecco di nuovo il peccato d'origine) con servizi-verità dal Vietnam. Alla prima ipotesi ci ha invece pensato direttamente il Pentagono. Quando sono partiti per Granada non l'han detto a nessuno. Imbarcazioni ed aerei, su cui i giornalisti tentavano di raggiungere l'isola, furono tenuti lontani a viva forza. Dall'isola invasa uscivano solo le veline dello stato maggiore. Poi, a conquista avvenuta, imbarcarono cameramen e giornalisti sugli elicotteri, portandoli finalmente a vedere la pacificazione, popolazioni sorridenti, e marines rilassati. Una bella vittoria pulita ed indolore, di quelle che piacciono a Reagan, e grazie alle quali egli piace agli americani. La stampa liberal, furente, scoprì in quell'occasione che il suo giornalismo ed il suo ruolo non erano più tanto ammirati e riveriti dall'opinione pubblica. Tutti i sondaggi rivelarono un buon 60% di favorevoli all'operazione censura approntata dai generali. Quella stessa opinione pubblica, a suo tempo risvegliata dagli smascheramenti e dalle rivelazioni della stampa americana (dal Vietnam al Watergate), sembra ora rifiutare la spregiudicatezza e la corrosività di tanta libertà di stampa. In cerca di rassicurazioni più che di rivelazioni, preferisce il caldo abbraccio del reaganismo alle asprezze scandalistiche dei giornalisti. Anche i tribunali risentono del clima, e da difensori della libertà giornalistica tendono a trasformarsi piuttosto rapidamente in disciplinatori dei suoi "eccessi". Inevitabilmente, nelle redazioni l'aggressività lascia il posto a più o meno esplicite autocensure, cautele, infinite prudenze. Controlli ed autocensure avranno indubbiamente un riverbero, e non piccolo, sull'informazione anche in altri paesi, poiché i media americani (e britannici) sono grandi distributori internazionali di immagini e notizie. Ma, forse, l'effetto sulla Rai non sarà grande: dopotutto, quando gli americani cenavano con i terrificanti filmati dal Vietnam, i suoi conduttori leggevano i comunicati di McNamara, all'ombra di una foto della Casa Bianca.