L'INDICE p^ 28 ■■dei libri del mese^hi Attraverso il mare del "culturame" _di Mario Isnenghi_ Pier Giorgio Zunino, L'ideologia del fascismo. Miti, credenze e valori nella stabilizzazione del regime, Il Mulino, Bologna 1985, pp. 415, Lit. 30.000. Non so se riuscirò a uniformarmi alle pratiche disciplinari — abnegazione, ascetismo, spersonalizzazione, spirito di servizio, "il santo Vero mai non tradir" — arcignamente imposte dall'"Indice" ai suoi recensori e lettori. Del resto, come avviene, la costituzione materiale di non pochi pezzi si va poi manifestando felicemente difforme dagli spiriti della vigilia. Dirò subito comunque — pet fornire di una inequivocabile chiave di lettura chi legge — che la sintesi della mia valutazione su questo libro di Pier Giorgio Zunino su L'ideologia del fascismo si può racchiudere, nella sua forma estrema e più didascalica, in.due parole: "Sì, però...". E passo a illustrare i miei "sì" e imiei "però". Materialmente il grosso volume di Zunino comprende un corpo centrale di sei capitoli (pp. 63-368) nei quali l'a. compendia per grandi temi i suoi volonterosi e pazientissimi percorsi di lettura all'interno della pubblicistica fascista, maggiore, e — specialmente — minore e minima: il senso del tempo, le categorie politiche, i rapporti tra stato e cittadino, la razza, le immagini degli Stati Uniti e dell'Unione Sovietica ecc.. Qui è il capitale di letture, spesso di prima mano, su un materiale disperso, svilito, ampiamente rimosso. Sono la fatica, l'onerosissima schedatura, l'inseguimento di libri, opuscoli, fogli e foglietti di autori rinomati e di accademici, grandi firme e divulgatori, dell'editoria illustre e piccina. Si vorrebbero riconoscere solo lo scrupolo e i frutti informativi di questa totale immersione conoscitiva, così aliena dal vedutismo e dalle visite (o rivisitazioni) sommarie. Se-nonché, anche qui, — nell'uso e nell'allestimento del materiale — si annida più d'una delle nostre riserve. Le preciso più avanti. Intanto, proseguendo nella presentazione della struttura data da Zunino al suo volume, osservo che esso comprende, prima di quel corpo centrale sacrificato alla Musa della Diligenza o, se si vuole, della Fotografia, una Introduzione (pp. 11-62) e una Conclusione (pp. 369-96). Sono le 100 pagine — piuttosto meno che più — che Zunino riserva a se stesso pet ragionare criticamente sulla ricca messe di dati raccolti, sottoporli a interpretazione, commisurarli a quelli (spesso, assai pochi) sui quali altri hanno basato il proprio approccio allo stesso tema; e magari (come è a lungo accaduto) la propria negazione pregiudiziale dell'oggetto: l'ideologia del fascismo. E qui la penna dell'autore scorre franca e sicura, fotte di una accumulazione documentaria che egli conosce non essere in possesso di molti, sciogliendo interrogativi, imboccando con risolutezza la sua strada a qualcuno dei bivi cruciali della storiografia del fascismo. Ed è anche — il che non guasta — una penna che scrive bene. Niente, davvero, mentre legge con vivo interesse le prime sessanta pagine, preannuncia al lettore la monotonia mortale delle successive 300: quelle in cui l'a. — del quale non sono dunque in questione la solida conoscenza dei testi, ma la regia, la sceneggiatura, il montaggio — ha deciso di appiattirsi quasi per intero sull'oggetto del suo sforzo co- noscitivo. Alla minutaglia, alla para-letteratura, alla retorica del 'culturame' nazionalfascista — se posso farvi cenno — dovrei essere adùso, visti i miei trascorsi in proposito; eppure confesso che ho faticato a traversarlo quel mare, remicchiando in piena bonaccia, prima di arrivare a toccare la riva della Conclusione; e qui ritrovare pagine sostanziose e penetranti, giudizi, scelte interpretative, alcune delle quali — come il discorso non privo di coraggio che problematizza la vera natura del 1943, anno chiave per tutti, fascisti e antifascisti, afascisti, attendisti — atte piuttosto ad aprire nuovi interrogativi che non (come avviene per il resto) a chiudere i precedenti. Il mio avviso è che una diversa utilizzazione del materiale avrebbe decisamente giovato all'opera e alla leggibilità e messa in circolo della tesi interpretative dell'A.. Una diversa utilizzazione, cioè un diverso modo di rapportarsi ad esso. Al limite, l'edizione anastatica — programma evidentemente massimo —, ovvero una robusta antologia di testi — programma più realizzabile e concreto —, con gli apparati del caso. E poi, naturalmente, il saggio critico, non più contratto, ma ampio e disteso, cresciuto dall'interno della meticolosa conoscenza dei testi. Dovrebbe risultare chiaro a questo punto che, qui, una parafrasi della parafrasi non è proprio possibile e che perciò tutto il blocco centrale del volume resta irriducibile alla misura della recensione, referenziale per giunta, e 'oggettiva'. Mi riferisco invece ai due studi-cornice. Il primo — l'Introduzione — è un'agile e succosa sintesi di storia della storiografia sul fascismo (e in particolare, sull' avere o no avuto, il fascismo, una cultura e un'ideologia). L'A. rifiuta "la consolante idea che il paese per vent'anni si sia riparato dietro un abile 'doppio gioco': fascista nei gesti esteriori, antifascista nell'intimo delle coscienze", (p. 43); ritiene di avere portato, con questo libro, prove inconfutabili di come risulti inadeguata a leggere i comportamenti, i sentimenti, le opinioni degli italiani fra le due guerre, quella "chiave del nicodemismo collettivo" che è apparsa a lungo "latente" (p. 43) nei ripensamenti postfascisti dell'Italia di allora: "il nicodemismo (...) non è applicabile ai grandi numeri. Una società messa in riga e spinta a sfilare a passo di marcia finisce ben presto per smarrire 'l'arte del fingete'" (p. 44). E facile, per me, ritrovarmi almeno sulle pregiudiziali di questa scelta interpretativa. Il problema, per l'a., è riuscire convincenti pet altri. E infatti, il saggio d'apertura è in buona parte speso per diplomatizza-re il conflitto con i grandi negatori a priori dell'esistenza stessa dell'oggetto — una cultura, una ideologia del fascismo —, mentre assai più lesti e parsimoniosi sono i riconoscimenti a coloro che l'idea di un fascismo — parentesi, tutto e solo rozzezza incondita, non la coltivano più. Ancora una volta Norberto Bobbio si troverà a stupirsi di essere assunto come interlocutore principe — volta a volta da citare, confutare, propiziare, rabbonire — rispetto a un tema su cui, tutto sommato, ben poco egli stesso ha scritto e la cui stessa proponibilità nega anzi in radice: la cultura fascista. Se si chiede poi di riportare a sin- Contadini scomodi di Nuto Revelli Giovanni De Luna, Alessandro Scotti e il Partito dei contadini (1889-1974), Istituto storico della Resistenza in Piemonte, Franco Angeli, Milano 1985, pp. 335, Lit. 28.000. Non deve stupire che Giovanni De Luna, dopo aver scritto un 'esemplare storia del Partito d'Azione, abbia dedicato il suo impegno di ricercatore e di storico a ricostituire la vita di un altro ex partito, del Partito dei contadini, del quale esisteva ben poco al di fuori delle carte d'archivio acquisite dal Centro studi Piero Gobetti e dall'Istituto storico della Resistenza in Piemonte. A volte è proprio la diversità a far scattare delle scelte opposte. E che esista una diversità stridente tra la storia del Partito d'Azione e la storia del Partito dei contadini è indubbio. Il Partito d'Azione, degno erede di "Giustizia e Libertà", era il partito dell'intransigenza e delle battaglie generose. Il Partito dei contadini era il "sindacato" dei piccoli proprietari più che degli af-fittavoli e dei mezzadri, in aspra concorrenza con la Coltivatori diretti; era un movimento che inalberava la bandiera di un anticomunismo da crociata, navigando tra i continui compromessi. Due storie comunque importanti perché entrambe ricche di problematiche attuali, interrogativi, eredità mai spente. Ecco un 'eredità del Partito dei contadini che invita ancora a riflettere: i circa diecimila voti che ristagnano in alcune aree ben individuate del Piemonte, e che riaffiorano in occasione di ogni scadenza elettorale. Sono voti apparentemente di nessuno, che a suo tempo attirarono l'interesse di Adriano Olivetti e poi del Partito repubblicano. I due grandi protagonisti del prezioso saggio sono i fratelli Giacomo ed Alessandro Scotti. Ma è Alessandro il personaggio centrale intorno al quale ruota l'intera storia. Un personaggio più unico che raro, che visse almeno dieci vite nel corso della sua lunga esistenza. Autentico contadino d'origine, seminarista mancato, ufficiale degli alpini valoroso e superdecorato nella guerra 1915-1918, cattolico convinto e praticante, antifascista intransigente e ribelle nel 1922, perseguitato politico nel ventennio, organizzatore delle "Squadre rurali" nei venti mesi della Resistenza, anticomunista, monarchico, mangiapreti (anzi, mangia-parroci), parlamentare a tempo pieno sempre in bilico tra il centro e la destra. Si può essere severi fin che si vuole nel giudicare il percorso politico di Alessandro Scotti. Ma la sua onestà è indubbia. Il grande merito di Giovanni De Luna è di averci restituito, con la storia del Partito dei contadini, non il monumento dedicato ad Alessandro Scotti, ma l'uomo Alessandro Scotti. Un uomo vivo, che ha sempre operato le proprie scelte in sintonia con il suo elettorato miope, conservatore, pauroso. Una delle pagine più interessanti di questo saggio storico e la pagina della Resistenza. Il fenomeno delle "Squadre rurali" — squadre di autodifesa egoistica contro i briganti fascisti e tedeschi, ma anche contro ipartigiani di sinistra, troppo disinvolti, rompiscatole, violenti — vale un lungo discorso perché affronta il complesso e controverso problema dei rapporti tra le formazioni partigiane combattenti e le popolazioni contadine. Un tema che è ancora in gran parte da scoprire, a meno che non si intenda sottovalutarlo, o peggio ancora imbalsamarlo nel troppo facile slogan della "guerra di popolo ". il lavoro editoriale presenta i suoi nuovi romanzi. Claudio Lolli L'INSEGUITORE PETER H. Romanzo, presentazione di Goffredo Fofi L'esordio di un narratore dotato (Il Messaggero) addirittura un giallo (Panorama) colmo di indizi, relazioni, testimonianze (Linus) condotto con una scrittura sciolta e divertita (La Stampa) Favorevolmente accolta dalla critica, questa funambolica opera prima stupisce per la ricchezza singolare di situazioni, personaggi e invenzioni. Dietro le sue pagine «si muovono», ha scritto Goffredo Fofi, «gli amati fantasmi di Kafka e di Landolfi» Gilberto Severini SENTIAMOCI QUALCHE VOLTA Romanzo, presentazione di Pier Vittorio Tondelli «Un tenero romanzo epistolare a una sola voce, redatto cioè dalla parte di un solo protagonista, evitando però le secche di un journal d'intimi-té». così scrive Pier Vittorio Tondelli di questo secondo romanzo di Gilberto Severini definito dalla critica «una lieta sorpresa fin dalla prima lettura» (Il Manifesto), e con cui l'autore marchigiano «dimostra ormai di essere uno fra i migliori talenti letterari della sua generazione» (Linus). Claudio Piersanti CHARLES Il nuovo romanzo dell'autore di Casa di nessuno Dopo il felice esordio narrativo di Casa di nessuno. Claudio Piersanti affronta in questo suo nuovo e raffinato romanzo una vicenda collocata sullo sfondo inquieto di un'Europa in allarme, minacciata dalla guerra. La nullifica-zione delle esistenze dei protagonisti si compie, in questa narrazione asciutta ed esemplare, lungo il filo sordo di un destino «generazionale» domestico, inevitabile, normale. (Imminente) Attilio Lolini MORTE SOSPESA Romanzo, presentazione di Sebastiano Vassalli La confessione di un delitto dimenticato, tra delinquenti miserabili, barboni ed emarginati: questo romanzo «cosi diverso da ciò che la narrativa italiana ha prodotto fin qui», come scrive Sebastiano Vassalli nella presentazione del libro, ben riverbera quella «rabbia» che già Pier Paolo Pasolini aveva indicato quale segno dominante dello stile dissacrante e colto di Attilio Lolini. (In preparazione) Luigi Di Ruscio PALMIRO Romanzo, presentazione di Antonio Porta «Gli aspetti risentiti del parlato» e «le accuse, le scomuniche, le invettive» di cui hanno scritto Franco Fortini e Salvatore Quasimodo a proposito del talento letterario di Luigi Di Ruscio, tornano intatti anche nelle pagine scatenate e esilaranti di questo suo nuovo straordinario romanzo. Ma con il gusto felice e irrefrenabile di un'ironia scintillante.(In preparazione) il lavoro editoriale - Piazza Stamira, 5 - 60100 Ancona il laVOID editoriale c. p. 118 AN - ® 071/22355-50378