In. 5 pag. 171 il Mulino Finestra sul Mondo , processo di rottura di Antonio Cassese Julia Kristeva In principio era l'amore Psicoanalisi e fede: due modi simili e opposti di rapporto con l'Altro Wolfgang Schluchter Lo sviluppo del razionalismo occidentale Un'analisi della sociologia weberiana e dei suoi presupposti filosofici che si inserisce nel dibattito sulla possibilità di una teoria sociologica della storia Clifford Geertz Interpretazione di culture I principali contributi di uno dei maestri dell'antropologia culturale contemporanea Ludwig Edelstein L'idea di progresso nell'antichità classica La storia come evoluzione e miglioramento nel pensiero greco, dal VI secolo a.C. all'età ellenistica Giancarlo Mazzacurati Pirandello nel romanzo europeo Pirandello romanziere sulla linea della grande tradizione europea, da Sterne a Musil Guy Fourquin Storia economica dell'Occidente medievale La struttura e l'evoluzione dell'economia medievale, alla luce dell'analisi contemporanea Michael S. Teitelbaum Jay M. Winter La paura del declino demografico Cento anni di catastrofi annunciate: il mondo occidentale davanti al rischio dello «sboom» demografico Ladislas de Hoyos, Barine, R. Laffont, Paris 1984, pp. 311, 85 Ff.; Tom Bower, Klaus Barbie - Itiné- raire d'un bourreau ordinarie, Calmann-Lévy, Paris 1984, pp. 280, 85 Ff.; Erna Paris, L'affaire Barbie - A più riprese, dal 1983, i giornali di tutto il mondo hanno parlato di Klaus Barbie: l'ufficiale delle SS che nel 1942-43, per 22 mesi, mise a ferro e fuoco Lione, torturando e ucciden- do migliaia di ebrei e partigiani, e coronando la sua opera con l'arresto dei capi della resistenza francese (il 21 giugno 1943), e soprattutto con ebbero per risultato l'espulsione dal- la Bolivia, l'arresto ad opera delle au- torità francesi (nella Guyana france- se) e la detenzione a Lione, dove eb- be subito inizio un processo penale, destinato a passare attraverso non poche peripezie. La detenzione e il processo a cari- co di Barbie hanno subito dato esca Una forma storica della sinistra di Giovanni De Luna AA.W., Fascismo e antifascismo negli anni della repubblica, Problemi del socialismo, Nuova serie, n. 7, Angeli, Milano 1986, pp. 208, Lit. 18.000. Nell'ultimo numero di "Problemi del socia- lismo" i saggi di Argentieri, Baldassarre, Crainz, Flores, Ganapini, Gallerano, Isnenghi e Petroni si confrontano con gli esiti più signifi- cativi della storiografia revisionista sul fasci- smo: l'accentuazione degli elementi di moderni- tà e di consenso aggregatisi intorno al regime mussoliniano, la liquidazione dell'antifascismo nel complesso dei riferimenti politici, culturali e sociali che ne stabiliscono la sua identità stori- ca. Particolarmente efficaci sono, in questo sen- so, le critiche rivolte aa Nicola Gallerano all'as- sunto metodologico del filone revisionista; iden- tificato negli anni '30 il "luogo storico" in cui si affermano in Italia fenomeni comuni a tutte le società industrializzate del '900, la nuova vulgata capovolge questa "constatazione ogget- ' in un giudizio di valore, fino ad assumere ' di per capire come il panorama politico si sia fatto molto meno nitido di quello al cui interno era maturata la netta antitesi fascismo-antifasci- smo. tiva rocessi indiscriminatamente in positivo i pn modernizzazione avviati durante il fascismo. Più accidentato appare, invece, il quadro al cui interno viene esaminato l'antifascismo. An- che qui il dato di partenza è la constatazione che, come ricorda Tim Mason, il vero obbiettivo dell'offensiva revisionista è la demolizione della cultura politica e intellettuale dell'antifascismo: "Antifascismo" — scrive Mason — "diventa per i nuovi paladini della nuova compiacenza e della nuova consensualità nazionale sinonimo di pregiudizio, di ignoranza, di oscurantismo, di moralismo con il dito alzato; significa com- battere le battaglie di ieri, essere per la disunio- ne nazionale oggi". Resta però il fatto di una complessiva crisi di identità dell'antifascismo che oggi appare non interamente ascrivibile al successo incontrato nei mass-media dal furore iconoclasta degli epigoni di De Felice. Una pe- sante ambiguità sembra, di fatto, mettere in dubbio la stessa possibilità di utilizzarlo come elemento distintivo di schieramenti politici pre- costituiti; basta ricordare i dibattiti recenti su Reder, su Marzabotto, sulla visita di Reagan al cimitero delle SS, sul "dialogo" con ilMsi avvia- to da alcuni partiti "storicamente" antifascisti, In questa direzione i risultati più felici di questo numero di "Problemi del socialismo" sembrano legati alla documentazione puntuale di come — a partire da una sona di sua tara genetica — si sia approdati all'odierna crisi di immagine e di autorappresentazione dell'anti- fascismo. Ci riferiamo, in particolare, all'iden- tificazione dell'antifascismo con "la forma sto- rica dell'unità nazionale dopo il crollo dello stato monarchico, liberale e fascista", ricordata da Baldassarre. Allora, all'atto di fondazione della Repubblica, in presenza di forze politiche e sociali irriducibilmente contrapposte sul pia- no dei valori di fondo, l'antifascismo fu utiliz- zato per "fissare i confini estremi della tavola dei valori nel cui ambito le forze sociali e poli- tiche avrebbero dovuto radicare la legittimazio- ne del nuovo potere democratico", affermando- si, quindi, più per i suoi aspetti procedurali che per i suoi contenuti. L'antifascismo, scrive Bal- dassarre, "sostituiva a una legittimazione piena e attuale delle parti politiche — che per il mo- mento era impossibile — una procedura (parla- mentarismo) attraverso cui quella legittimazio- ne si sarebbe verosimilmente compiuta nel pros- simo futuro". Ed è proprio questa necessità qua- si cogente dell'antifascismo come unica, possibi- le "base di valore legittimante la convivenza democratica tra formazioni politiche che perse- guivano finalità opposte ed eterogenee", ad esse- re oggi profondamente incrinata dall'accentua- ta omologazione tra i partiti, dal dislocarsi de- gli schieramenti politici non su elementi di ten- sione progettuale o di diversità ideologiche ma su motivi puramente contingenti di opzioni partitiche. Crisi di identità, quindi, sostanzial- mente come smarrimento della sua necessarietà, ma anche e soprattutto come frutto di un suo quarantennale appiattimento sulle "procedure", che ne hanno fatto dapprima il fondamento di un "patto costituzionale", poi elemento di legit- timazione di maggioranze governative o di schieramenti partitici. Analyse d'un mal frangais, Ram- say, Paris 1985, pp. 320, 98 Ff.; Henry Noguères, La vérité au- ra le demier mot, Seuil, Paris 1985; Erhard Dabringhaus, L'agent américain Klaus Barbie, Pygma- lion-Gérard Watelet, Paris 1986, pp. 209, 85 Ff.; Guy Morel, Barbie - Pour mé- moire, Editions Fndirp, Paris 1986; Jacques Givet, Le cas Vergès, Lieu Commun, Paris 1986, pp. 192, 98 Ff. l'assassinio del rappresentante di de Gaulle in Francia: Jean Moulin. Pro- cessato e condannato a morte in con- tumacia dai giudici francesi, Barbie trovò rifugio e protezione nella zona tedesca occupata dagli americani, la- vorando per tre anni (1947-1950) per i servizi statunitensi di controspio- naggio. Quando anche gli americani non potettero più proteggerlo, di fronte alle pressioni francesi, venne spedito in Bolivia (passando per Ge- nova, grazie a varie compiacenze); là è rimasto sino al 1983, quando il cambiamento del regime boliviano da una parte e le pressioni del gover- no socialista di Mauroy dall'altra, a vivacissime polemiche, soprattutto in Francia, perché le vicende in cui il criminale nazista è stato implicato incidono profondamente sia sulla re- cente storia francese (mi riferisco so- prattutto al periodo dell'occupazio- ne tedesca e al regime di Vichy) sia sul ruolo rivestito dagli alleati all'ini- zio della guerra fredda nell'utilizza- zione di criminali nazisti nella lotta tra est e ovest. Le polemiche giorna- listiche e politiche hanno avuto un'eco rilevante nell'opinione pub- blica, che si è posta per la prima vol- ta, o si è riproposta, una serie di in- terrogativi angosciosi: ad essi tenta- no di rispondere, in misura diversa e con approfondimenti diversi, i libri che qui si segnalano. Quattro sono i problemi principa- li che l'opinione pubblica e i libri in questione — che si collocano tutti al livello di saggistica giornalistica di alta qualità — si sono posti con ri- guardo all'azione di Barbie. Primo, quale ruolo ebbero i collaborazioni- sti francesi nella spietata opera di re- pressione nazista della resistenza e nella persecuzione degli ebrei? Se- condo: perché una potenza demo- cratica come gli Stati Uniti, impe- gnata nell'immediato dopoguerra nella caccia e nella punizione di tanti criminali tedeschi, utilizzò contem- poraneamente tanti di essi, arrivan- do al punto da proteggerli contro coloro che volevano processarli? Terzo: perché il governo Mauroy decise nel 1983 di fare ogni sforzo possibile per farsi consegnare Barbie e processarlo? Quali fini (politici o etici) venivano in questo modo per- seguiti? In particolare, come pensava il governo socialista di evitare il ria- prirsi di vecchie ferite (le gravi com- promissioni di tanti francesi, inclusi non pochi resistenti)? Quarto: come mai un celebre avvocato di sinistra, Jacques Vergès, noto per la sua difesa di vari algerini torturati dalle autori- tà francesi negli anni '50 e per tante cause famose in cui si è battuto a favore di terroristi di sinistra, ha im- provvisamente deciso di difendere Barbie, addirittura senza alcun com- penso? Il primo problema è naturalmente quello più doloroso, per i francesi. In termini concreti e specifici, esso consiste nel chiedersi chi tradì Jean Moulin, consegnandolo a Barbie. In termini generali, il problema è quel- lo del grado di collaborazione dei francesi (il governo di Vichy, le mili- zie, addirittura alcuni partigiani pas- sati all'avversario a seguito di tortu- re e minacce, nonché talune organiz- zazioni ebraiche istituite su richiesta dei tedeschi). Sul punto specifico di chi tradì Jean Moulin, de Hoyos, Bower, Pa- ris e Noguères (che è — è bene non dimenticarlo — il maggiore storico della resistenza in Francia) concor- dano nell'indicare come assai proba- bile traditore René Hardy, uno dei dirigenti della resistenza che parteci- pò alla famosa riunione di Caluire in cui Barbie arrestò i vari leaders. Del resto, questa è la tesi sempre sostenu- ta dallo stesso Barbie, ripresa dalle gerarchie naziste (Kaltenbrunner) e avanzata anche da molti resistenti francesi subito dopo l'assassinio di Moulin. Purtroppo i due processi contro Hardy, promossi in Francia dopo la liberazione, non portarono ad alcuna conclusione definitiva; egli venne prosciolto nel secondo pro- cesso per insufficienza di prove. Più difficile, naturalmente, è l'analisi del quadro generale in cui si svolse il collaborazionismo francese e del grado di compromissione a cui per- venne. Su questo punto (sul quale G. Morel ha scritto pagine molto incisi- ve: pp. 93-99, 107-120), l'analisi più approfondita e convincente è svolta da E. Paris, che scava nelle radici sto- riche della Francia moderna, per mostrarne i due volti: da una parte la Francia nazionalista e antisemitica dell'affare Dreyfus, di Drumont e Maurras, de l'Action frangaise e di Pétain, dall'altra la Francia di Zola, di Léon Blum, di de Gaulle e di J. Moulin. Secondo E. Paris (che si sof- ferma però soprattutto sulla compo- nente antisemitica di larghi settori