N. 9 pag- La tristezza di Alenino di Enrico Artifoni_ Vito Fumagalli, Quando il cie- lo s'oscura. Modi di vita nel Me- dioevo, Il Mulino, Bologna 1987, pp. 116, Lit. 10.000. Chi ricorda la bella sintesi su II regno italico che nel 1978 Fumagalli pubblicò per la Utet ritroverà in questo piccolo libro alcuni caratteri che facevano di quell'opera un pro- dotto inconsueto per la medievistica italiana: la vena narrativa, il gusto dell'evocazione di un'epoca sentita in una sua piena lontananza, il muo- versi tra la ripulsa di un mondo af- fondato nella ferocia e il fascino di una vita che trovava il suo senso pro- fondo nell'accordo con i grandi cicli della natura. Allora tuttavia l'inten- to era quello di una ricostruzione globale, e la storia delle attitudini mentali si muoveva all'interno di un ampio resoconto dei quadri politici e delle strutture economico-sociali. Qui invece lo scopo è diverso e la scelta è netta: lo storico cerca di ri- produrre sensibilità e modi di rea- zione dell'uomo medievale di fronte ai segnali naturali e sovrannaturali, alla violenza, alla guerra, alla morte. Le fonti narrative diventano prota- goniste, e valgono a cogliere soprat- tutto i momenti di crisi individuale e sociale, le situazioni-limite in cui ap- punto "il cielo s'oscura", e dalla pe- nombra emergono i valori elementa- ri di una comunità, gli atteggiamenti primari davanti all'insicurezza e al- l'ignoto. In questo senso il libro, che pure impiega molti materiali già presenti nella sintesi del 1978, aggiunge del nuovo: nell'impianto, che è tutto spostato dalla parte della percezione esistenziale; nei limiti spaziali, che superano volentieri la Padania di cui Fumagalli è grande conoscitore per abbracciare l'intera penisola e talvol- ta il mondo transalpino; e nei limiti cronologici, che sono risolutamente altomedievali ma spesso precarolin- gi, in modo che una pane rilevante dell'opera risulta dedicata al regno longobardo, esplorato mediante l'u- so della Historia Langobardorum di Paolo Diacono. In più, il lavoro di Fumagalli, scritto per quanti non so- no specialisti della storia medievale, sembra proporsi un obiettivo impli- cito: quello di mostrare quali vie si possono dignitosamente percorrere fra i due estremi della severità acca- demica e della divulgazione futile. L'autore punta a una "storia della mentalità e del comportamento dei diversi ceti sociali nel medioevo" (p.5). Ciò implica almeno due pro- blemi. Esistono i materiali specifici per una storia della mentalità, cioè i materiali che consentano di non ri- solverla nella storia delle tradizioni folkloriche o, altra faccia del concet- to, nelle costruzioni degli intellet- tuali, nei modelli razionali della cul- tura egemone? In altre parole, attra- verso quali fonti si può attingere quel viluppo oscuro di modi di pen- sare sovraindividuali che sembrano governare con i loro automatismi le reazioni di una società in preda alla paura? Inoltre, la dimensione menta- le si dispone nella durata ma non è insensibile al tempo, intrattiene rap- porti vischiosi con le mutazioni eco- nomico-sociali, delle quali non regi- stra i cambiamenti brevi ma di cui accoglie in parte le grandi fratture e trasformazioni, facendole risuonare attutite dentro di sè. E dunque ne- cessario collegare due processi che hanno tempi e inerzie diverse, trova- re le giunture tra la vita delle cose e degli uomini e gli aggregati del senti- re collettivo. L'imitazione del maggiordomo di Luciano Allegra Daniel Roche, Il popolo di Parigi. Cultura popolare e civiltà materiale alla vigilia della Rivoluzione, il Mulino, Bologna 1986, ed. orig. 1981, trad. dal francese di Alberto Berto- ni e Adriana Barbolini, pp. 386, Lit. 35.000. Da tempo la storiografia francese non af- frontava il tema della cultura delle classi popo- lari, un argomento ambiguo, perché troppo spes- so è stato identificato con la letteratura rivolta al popolo o con le percezioni che di esso si com- piacevano di avere le classi dominanti. Questa ricerca di Daniel Roche si presenta invece come un tentativo coerente e ben riuscito di penetrare nel mondo del "quarto stato", di descriverne lo stile di vita, d'individuarne gli impercettibili mutamenti nel tempo. Anzitutto, l'originalità^ dell'impianto. La cultura del popolo parigino è finalmente colta nella sua duplice accezione di condizioni materiali da un lato e di patrimonio d'idee, relazioni e comportamenti dall'altro: nessuna separazione tra le sfere, ma un'analisi contestuale, attenta ai legami reciproci e volta a offrire un vero e proprio quadro di antropolo- gia culturale della Parigi del Settecento. In se- condo luogo, l'uso esemplare di una fonte anco- ra poco frequentata dagli storici, nonostante la sua grande ricchezza: gli inventari dopo decesso, minuziose liste degli universi di oggetti conte- nuti nelle singole case. La raccolta e il confronto di questi documenti, un po' enfaticamente defi- niti "gli atti più belli del mondo", consentono all'autore di operare una descrizione accurata dei sistemi di valori delle classi popolari parigi- ne: utensili, mobili, attrezzi per scaldarsi, inau- menti, libri si allineano in una sequenza che dà corpo a una cultura omogenea e dai tratti pecu- liari. Salariati e domestici, le categorie socio- professionali che per Roche compongono il po- polo parigino, ne emergono alla fine come uni- versi differenziati: più vicini alla pura sussisten- za i primi, più orientati verso modelli di consu- mo raffinati i secondi. Proprio su questo dislivello si muove l'ipote- si centrale del libro, che ribadisce l'unidirezio- nalità del processo di diffusione della cultura: lo stile di vita nobiliare si sarebbe riverberato per imitazione sui gradini inferiori della gerarchia sociale, passando per il tramite della servitù. Mentre questa interpretazione non mancherà di suscitare discussioni e polemiche, è invece certo j che l'analisi del mutamento sociale proposta da Roche potrà offrire alla ricerca futura una serie di indicatori quanto mai utili. Se a fine secolo il popolo parigino pagò molto di più per l'abita- zione e il riscaldamento, non conobbe fenomeni di mobilità sociale, ma seppe vestirsi meglio, fu più informato, riuscì a difendere le espressioni precipue della sua socialità, allora non basterà più valutare l'impoverimento in termini pura- mente economici, come le scienze sociali si af- fannano da tempo a suggerire agli storici. Infi- ne, un merito non secondario del libro è l'aver j coniugato una certa felicità di scrittura con la trattazione di un rilevante apparato statistico. Convinto della possibilità che esiste "una ma- niera umana di utilizzare le cifre", l'autore di- luisce i dati sull'alfabetismo, le percentuali dei consumi, la distribuzione dei redditi con una descrizione viva, curiosa, senza stucchevoli ole- grafismi, della Parigi prerivoluzionaria: con la j complicità di due illustri testimoni di quei gior- ni, Sébastien Mercier e Rétif de la Bretonne, Roche dimostra che fra la storia narrativa e lo j scientismo del computer esistono vie interme- die. Fumagalli non affronta in genere questioni di metodo, se non nelle note critiche che accompagnano la bibliografia, dove è evidente il suo favore per una "storicizzazione" in- tesa come "collocazione in contesti sociali determinati di elaborazioni culturali, dotte o folkloriche" (p.107). Ma le opzioni risultano dalle procedure stesse del libro. Le fonti sono tradizionali, da Gregorio di Tours a Paolo Diacono alla Vita Ge- raldi di Oddone di Cluny fino ai ver- si delicati di Alcuino di York e alla narrazione di Liutprando di Cremo- na: ma sono rilette lavorando, per così dire, sui margini e ricavando dalla testimonianza individuale pro- prio ciò che si ritiene possa far perce- pire un sentimento largamente diffu- so, ancorché passato nel filtro di uno specifico modello culturale. Così di Paolo Diacono sono impiegate so- prattutto le pagine che configurano l'epopea del popolo longobardo co- me una feroce saga nordica nutrita di culti naturalistici e di credenze atter- rite, mentre dai versi dell'anglosasso- ne Alcuino, protagonista della rifor- ma culturale carolingia, non si cita- no commozioni per l'Europa che nasce sotto l'impero di Carlo, ma piuttosto i segni della consapevolez- za che il tempo fugge, che nulla è eterno e la natura infine trionfa di ogni sforzo degli uomini. Dove poi la testimonianza è documentaria, si ricerca nel formulario ciò che scon- volge le regole consuete, o il dram- ma celato nei canoni stessi dell'uso notarile. Pensiamo a una carta del maggio 774 (esaminata da Fumagalli nel volume sul regno italico), nella quale un notaio piacentino, durante la conquista dell'Italia longobarda per mano dei Franchi, infrangeva la norma dell'impassibilità e dava voce allo stupore per il crollo del regno di Desiderio e Adelchi: "Nel nome di Cristo, carta di donazione scritta in un periodo di barbari avvenimenti". Ciò che invece risulta implicito e ac- cettato non è meno impressionante: Pietro del fu Andrea, Paolo di Anto- nio di buona memoria, una folla di figli di defunti popola gli atti altome- dievali, a mostrare che l'esistenza era più una possibilità che una probabi- lità quando la morte "scandiva le vi- cende degli uomini con colpi più fit- ti delle nascite" (p.37). Il secondo problema, quello del- l'articolazione fra le nebulose della sensibilità e le metamorfosi econo- mico-sociali, ci conduce al cuore del libro e ai suoi meccanismi. I dieci capitoli, va detto, intrecciano con grande libertà molti temi, compon- gono una sinfonia della paura medie- vale riprendendo più volte gli stessi motivi secondo prospettive diverse, e l'autore non sempre si nega il pia- Problemi, più che racconti di Alberto Caracciolo Nicola Tranfaglia, Massimo Firpo, La Storia. I grandi proble- mi dal Medioevo all'età contempo- ranea, IV, L'Età Moderna, 1, I quadri generali, Utet, Torino 1987, pp. 882, s.i.p. È straordinario osservare quanto sia cambiato il panorama degli studi storici italiani negli ultimi quindici o vent'anni: come sua ottica d'insie- me, intendo, non in questo o quel settore particolare o specialistico: su tutto il fronte. E prendo volentieri questa collana come riprova di ciò, dopo che è uscito ora anche il terzo volume della sua sezione sulla età moderna, dedicato a saggi di inqua- dramento problematico. Mi perdo- neranno gli attenti curatori, Nicola Tranfaglia e Massimo Firpo, se ag- giungo che il cambiamento che si os- serva non è certamente circoscritto all'opera in questione, che ne è sem- mai un'espressione: condotta senza grandi appelli preliminari o afferma- zioni metodologiche ma in base a un sobrio piano di lavoro, che si spiega da se stesso, viene a conferma di una situazione ormai abbastanza genera- lizzata. Dietro questo esito e al di là delle firme c'è, se non sbaglio, il bilancio di lavoro di una generazione. Quella che si è accanita dopo l'ultima guer- ra mondiale a rivedere daccapo terri- tori di ricerca già noti o senz'altro a scoprire nuovi territori, nuovi orientamenti, spesso fonti impensa- te e livelli sconosciuti. In questi libri però non domina più il piglio avan- guardistico né la presunzione defini- tiva, come spesso accadeva in anni recenti. Non si pretende più di far saltare per intero vecchi bunker, di avviare spericolate spedizioni di pio- nieri, di inventare sul campo nuove armi e nuove tecniche di ricerca. I risultati, adesso, si presentano relati- vamente sedimentati, la "normaliz- zazione" appare in atto. Ma lo schie- ramento delle forze — per così dire — è sostanzialmente spostato in avanti, su di un fronte più ampio. Ecco quello che anche questo volu- me della serie appare confermare con molta evidenza. Il "prodotto", nei suoi più di tren- ta capitoli e quasi altrettanti autori, naturalmente non è tutto ugualmen- te ben riuscito e lascia spazio in qual- che caso a una certa delusione. Ma va subito sottolineato, a sua lode, che la materia è organizzata anche formal- mente in modo molto simmetrico, coordinato, offrendo a ciascuno una dimensione di 20-25 pagine di testo e 3-4 di ragionata bibliografia, entro uno schema di paragrafi che tende a dare il minimo possibile per scontate premesse e le implicazioni. Nel com- plesso anche firme non italiane — Da Silva e Dean, Dupàquier e David- son — seguono questo disegno e que- sta disciplina. Con i due volumi di poco precedenti, che trattano l'età moderna negli aspetti statuali, socia- li, culturali e religiosi, abbiamo ora una trilogia non dirò completa ma nell'insieme ben bilanciata e solo di rado sovrapposta, con la quale si fa il punto sui vari argomenti. Molto spesso i saggi di questa collana po- trebbero riuscire utili — viene da pensare — anche a quegli aspiranti professori associati che si trovano nei concorsi per l'università a dover mettere insieme i titoli principali af- ferenti al tema della loro lezione pubblica in ventiquattr'ore di ripas- so e di aggiornamento bibliografico. Da quel che si è detto risulta evi- dente che non si devono tanto ricer- care nell'opera vere e proprie novità storiografiche. E tuttavia l'offerta di bilanci aggiornati del dibattito e de- gli studi è spesso arricchita dall'ap- plicazione di esempi puntuali, legati all'esperienza dei singoli autori. Si veda — per menzionare solo qualcu- no — il saggio di Rosalba Davico, che è di cultura francese ma di ampia trattazione anche germanica e italia- na; il gruppo dei lavori sullo stato e le sue strutture in Europa (Anatra, Di Simplicio Fasano, Puddu, Stum- po), con opinioni tutt'altro che uni- voche ma proprio per questo più sti- molanti; la serie di contributi aperti da Papagno sul tema classico delle "scoperte geografiche", che si adden- trano in situazioni pre-coloniali e autoctone dell'Africa, delle Ameri- che, dell'Asia, superando abbastanza l