I LIBRI della SPIGA DANTE ALIGHIERI COMMEDIA GARZANTI Maestro d'Olanda di Roberto Gabetti Sergio Polano, Hendrick Pe- trus Berlage, Opera completa, contributi di Giovanni Fanelli, Jan de Heer, Vincent van Ros- sem, Electa, Milano 1987, pp. 280, Lit. 85.000. Rimossa la prima pigrizia, mi sono immerso volentieri in questo pezzo di passato che è mio, che è mio e di Isola, che collega noi assieme a tanti altri amici, nati fra gli anni venti e gli anni trenta di questo secolo. Berlage, • essendo nato nel 1856, avrebbe potu- to essere mio nonno. Saltata una ge- nerazione è più facile il racconto: par- lando tanti anni fa — su "la Casa" n. 6 del 1959 a pag. 29 — citavo la Casa Giaccone di Riccardo Brayda, del 1890-'92, che, specie per quel suo por- ticato verso corso Vinzaglio, costitui- va a mio avviso un precedente riferi- bile proprio a Berlage: si tratta di fe- nomeni che un confronto diretto del- le fonti non ha ancora potuto appro- fondire. Le difficoltà di quel mio pri- mo accostamento, infatti, sono con- nesse alla multipolarità dell'architet- tura occidentale fra Ottocento e No- vecento, alla suadente ricorrenza di capolavori riscontrabili in aree diver- se. Dico occidentale, per comprende- re non solo l'Europa, ma certamente anche l'America, dove quel modello compatto di cultura artistica, tecnica, sociale, economica, politica, aveva avuto modo di manifestarsi. In questo magnifico volume Elec- ta, una prima novità: pur essendo opera monografica, incentrata su di un solo personaggio, poche sono le note biografiche (ho trovato l'anno della morte, 1934, a pagina 259, citato come anno della "commemorazione corale" per la sua scomparsa; per i pri- mi anni di vita e per la sua formazio- ne, la lettura delle pagine 102, 103 è del resto assai ricca di informazioni precise). Questa voluta distanza dalla vita privata evita agli autori la maca- bra seduta sul letto di morte, volta a psicanalizzare ove possibile il defun- to. Alla base di molte biografie, an- che di architetti, sta invece, troppe volte, il tentativo di interpretare in- tenzioni, atteggiamenti inespressi, tendenze inesplorate. La distanza d'osservazione comporta difficili col- limazioni, quando con ogni ottica possibile si tende ad analizzare il per- sonaggio: gli errori di interpretazio- ne che ne conseguono sono spesso gravi. Salvato così dalle troppe manìe bio- grafiche oggi correnti, il lettore — e anche questo è giusto — viene affida- to alla sua personale cultura per sape- re se Berlage rappresenti o meno un caso isolato. Poiché non lo rappre- senta, mettergli attorno tutti gli altri avrebbe certamente tolto all'opera quel carattere di monografia a schede con bibliografia estesa, che Sergio Po- lano ha acutamente e saggiamente da- to alla complessa organizzazione del volume. Giovanni Fanelli (p.9), forte delle BRITISH AND AMERICAN BOOKS Direct from England Llbrarles, Schools, private customers. From. Worldwide Book Supply Ltd, 556A High Street, Wembley Middx HAO 2AA, England. Telex no. 888941 att Lissau. prove già date nel 1968 e nel 1978, indaga sul contesto delle 140 opere schedate, mettendo in risalto quelle principali: si tratta della Borsa di Am- sterdam (partecipazione al concorso indetto dal comune, svolta nel 1884- 85, incarico assunto e svolto nel 1896 e segg.) del Gemeente Museum del- l'Aja del 1919-20 e 1928-35 e, ancora, di una serie fittissima di realizzazioni di varia scala. Fra i suoi prodotti non mancano il piano regolatore, il piano particolareggiato, il progetto archi- Vincent van Rossem traccia il den- so e difficile curriculum di Berlage at- traverso la costruzione delle città olandesi, a partire dai suoi piani di Amsterdam, del 1914—17. Delizioso qualche suo inciso, ripreso diretta- mente dalla cultura di Camillo Sitte (1843-1903): "Quando l'area presenta accidenti naturali, come acque, colli- ne, boschetti ecc., questi vanno ri- spettati ed accolti nel piano. Combi- nando con senso d'arte gli elementi naturali e le aree rigorosamente dise- gnate, otterremo gradevoli variazio- ni, necessarie per combattere la mo- notonia di un piano troppo coerente- mente regolare" (H.P. Berlage, 1909). Per il resto la sua prosa pur colta, ma corrente allora nei circoli architetto- zione consente a Berlage di mettere ordine nei suoi interventi, mantenen- do nel disegno dei singoli blocchi co- stanza di ritmi, conclusi con censure di testata ricche e a volte stravaganti. Nel 1918, Berlage affermava: "In real- tà il principio di ogni stile e in fondo, l'intera architettura, altro non sono che ordine ritmico, concatenazione di unità uguali, che sono poi essen- zialmente la base dell'intero partito decorativo" (quest'ultimo aggettivo segna quale fosso avesse scavato Loos già dieci anni prima e quanto però rimanessero lontane le case operaie di Berlage dalle Siedlungen dei raziona- listi tedeschi). Queste sue case di Am- sterdam a tre piani fuori terra costi- tuiscono l'apice di una larga ed estesa tettonico d'insieme, il palazzo, la vil- la, il villino, l'arredo ecc. Importante il tracciato formativo individuato da Fanelli nella linea di Gottfried Semper, linea che aveva alimentato anche il più anziano Otto Wagner (1841-1918), la cui presenza parallela risulta significativa per tutto il trac- ciato europeo di quell'architettura; mentre per il parallelo tracciato nor- damericano sta Frank Lloyd Wright (1896-1959): e sta soprattutto Louis nici europei, chiude verso l'ecletti- smo stilistico, con una durezza che fa stupire (o che non si fosse mai visto nello specchio? o che ce l'avesse solo con la rigida ripresa degli studi anti- chi? o che semplicemente e pericolo- samente, per se, strizzasse l'occhio al futuro?). Nelle sue conferenze egli diceva press'a poco quello che in quegli anni dicevano gli altri suoi coetanei, talora un po' meglio, talora in modo più (1896-1909;: e sta soprattutto i_uuis un ^ —-- —.------e-. Sullivan (1856-1929), coetaneo quin- confuso (specie quando gli argomenti !• >• t. i cfinrovinn temi nnlitici. sociali, eco- di di Berlage. Acutamente Fanelli fa partire la ri- cerca di Berlage, da quelle stesse fonti cui aveva del resto attinto il suo di poco più giovane collega, il grande belga, Victor Horta (1861-1947). Si tratta di movimenti architettonici e figurativi centrati sui Paesi Bassi, che vanno dalla pittura alla grafica e che possono essere posti alle autentiche sorgenti dell 'art nouveau e poi del- l'arte moderna. Lungo il saggio di Fa- nelli si squadernano i più bei disegni (a colori) di Berlage: un percorso che vale di per sé l'acquisto del volume. sfioravano temi politici, sociali, eco- nomici). Certo valeva in quel passag- gio verso il Novecento la perdurante alleanza interclassista: alleanza che aveva forse avuto modo di sopravvi- vere all'Ottocento, nella singolare enclave olandese. I progetti urbanistici di Berlage ri- sultano di una autenticità pregnante: lo stesso tema dell'abitazione colletti- va, trattato qui con grande compe- tenza da Jan de Heer, dà modo di co- gliere il meglio delle sue proposte; se Fa linea di partenza è quella dell'igie- ne, e poi del comfort, la normalizza- produzione di case per operai, allora registrabile in tutta Europa e anche in Italia. Nelle case a due piani, costruite con Van Epen ad Amsterdam nel 1912, è difficile discernere quanto fosse da lui proiettato avanti, quanto fosse radicato indietro (il ricordo va alle case operaie diffuse dalle grandi Esposizioni parigine nella seconda metà dell'Ottocento; l'attualità va al- l'oggi, con un salto di settantanni so- pra il razionalismo europeo, operato proprio dai giovani olandesi nostri contemporanei). Maestro sempre, Berlage segna un avvicinamento — a partire dagli anni '20 — verso il razio- nalismo, che ricorda i casi analoghi di Van de Velde e di Annibale Rigotti. La premessa (p.92) alla conferenza di Berlage a Milano nel 1928 è di estremo interesse: è Ugo Ojetti a pro- porla, nella sua qualita di presidente dell'Associazione tra i cultori di ar- chitettura; è il segretario di quell'As- sociazione, Giovanni Muzio (che aveva 37 anni meno di Berlage) ad or- ganizzarla. L'attacco di Berlage alla tradizione architettonica per tanti anni registrata, accanto alle innova- zioni dell'art nouveau (e da riviste an- che autorevoli come "Academy Ar- chitetture") è sprezzante: un cenno garbato al suo maestro Cuypers (1827-1921), che richiama in me il rapporto parallelo fra Sullivan e Ri- chardson (1838-'86), avvia Berlage ad affermarsi come protagonista della "vittoria di una architettura olandese moderna". Di certo Muzio non aveva sprecato quell'occasione per raffor- zare la propria linea. Singolare è il silenzio sulle avanguardie, d'altra parte già allora attive ad altissime in- tensità proprio in Olanda. Il suo era in effetti un mondo professionale chiuso, dotto, pacato: nessun contat- to, neanche sociale, poteva legarlo con i futuristi, i postfuturisti, i neo- plastici, che già nei primi anni '20 era- no affermatissimi e non solo in Olan- da. Negli anni della sua prima forma- zione, Berlage aveva deviato il flusso del Grand Tour, per compiere un esteso viaggo nelle città italiane mi- nori: mi pare di cogliere nell'elenco non solo le città d'arte, ma le altre, e poi il meridione: in questo il suo viag- gio ricorda quelli dei maestri austria- ci dell'art nouveau. La formazione scolastica di Berlage nella scuola da poco fondata da Semper, aveva dato subito frutti ec- cellenti: mediata, da un purismo neo- classico passa poi ad esperienze di vi- vace graficismo, in contatto con nuo- vi ambienti artistici, non solo olande- si. Licenziatosi nel 1878, sei anni do- po lo vediamo al lavoro nel concorso per la Borsa di Amsterdam: la varian- te interna del concorso di II grado, del 1885, rivelali maestro nascente; le strutture d'acciaio della copertura ve- trata poggiano su mensole in ghisa, e queste su articolate pareti murarie. Il raccordo al nuovo, era ormai deciso — e si capisce quindi che avesse susci- tato allora commenti negativi. Pas- sando al progetto definitivo del 1896 (diciotto anni dopo aver concluso i suoi studi), Berlage svolge a pieno il suo linguaggio personale: un linguag- gio che riprende il passato e lo unisce al presente, secondo la linea di una convinta reinterpretazione storica. Ma non sono solo le grandi opere a farlo considerare maestro: la soprae- levazione del Laboratorio Konnig e Bienfait del 1899-1900, con quella graffa orizzontale (un arco ribassato, posto a coronamento di un piccolo edificio a due piani fuori terra), dà idea della sua pertinenza propositiva (p.159); cosi la scala del Palazzo De Algemeene, del 1905, è occasione per un disegno da manuale (p.169): e an- cora la villa Roland Holst (p.171), in cui il richiamo a Margherita Kropol- ler è evidente; fino a quella minima sala di lettura per la Oosterspeeltuin (p.177), alla quale va tutto l'affetto dei miei ricordi personali nel senso che, pur non conoscendola, pare che io l'abbia, nella memoria, frequenta- ta per anni, fra scuola e studio. Purtroppo la composizione a sche- de non facilita la concentrazione verso qualche opera d'eccezionale importanza, come la Holland House di Londra del 1914-16 (p.217), che rimane, a mio avviso, il vero capola- voro di Berlage, negli anni della ma- turità.