ne lirica, maturata nelle regioni no- vecentesche più impervie e verticali (Espriu, Trakl), segnando un caso li- mite nel panorama dialettale non soltanto romagnolo. Gli oggetti si irrigidiscono in una sorta eli steno- grafia interiore, diventando segni quasi araldici, mentre lo scenario, frequentemente nebbioso o inverna- le, si popola di ombre che premono da un altro tempo. Il tema pascola- no dei morti si carica in questo dia- lettale di significati che vanno oltre la sfera psicologica, fino a divenire allegoria della memoria, della tradi- zione, delle radici. Imprevedibil- mente, dietro la selezione lirica, ri- compaiono spessori epici, che per- mettono di valutare più corretta- mente l'insistente evocazione di quel "respìr d'un ètar temp", consegnato alla magica apparizione delle nevi di un'infanzia contadina. Il dialetto con il suo scarto lingui- stico rappresenta lo strumento più funzionale a questa rivendicazione di una differenza. Colpisce la ricerca di musicalità e armonia (Baldassari predilige l'endecasillabo e il novena- rio, soprattutto con accento di quar- ta, escludendo ì'enjambement e mol- tiplicando all'interno del verso le fi- gure del ritorno), che contrasta sin- golarmente con la tessitura di questa ruvida parlata — ben lontana dal san- tarcangiolese con le sue morbide dit- tongazioni — alludendo ad una con- dizione di felice compiutezza, irre- parabilmente perduta dal soggetto consegnato alla labilità (Ombra d'Iu- rta si intitolerà il prossimo libro di Baldassari) dell'esistenza. Vorrei ancora segnalare al lettore, che per ragioni anagrafiche non potè accedere alla prima edizione del 1945 (ma più volte ristampata suc- cessivamente), l'Antologia dei poeti napoletani curata da Alberto Consi- glio. Il volume, benché aperto anche ai reperti più antichi, privilegia giu- stamente quel momento della storia letteraria partenopea tra ottocento e novecento, in cui sorse intorno a Di Giacomo e a Russo una attiva scuola poetica. L'introduzione del curatore risulta molto utile per l'approfondi- mento dei problemi antropologici, storici e urbanistici della città, meno per l'analisi di quelli strettamente letterari. In particolare meriterebbe forse di essere affrontata con nuove strumentazioni una questione decisi- va come lo slabbramento della tradi- zione letteraria in direzione del can- zonettismo e del folclore registratosi nel dopoguerra, questione che po- trebbe utilmente essere fatta intera- gire con l'assenza a tutt'oggi di una forte personalità poetica napoletana paragonabile ai Loi, ai Baldini o ai Pierro. Il problema delle letturature regio- nali, almeno a partire dalla tesi divul- gata da Croce nel 1936, secondo la quale non sarebbe il caso di parlare di storia d'Italia anteriormente al processo unitario risorgimentale, si è venuto imponendo alla storiogra- fia letteraria e certamente la riabilita- zione dei dialettali avvenuta nel do- poguerra deve qualcosa a questo nuovo atteggiamento ermeneutico. La prospettiva regionalista sembra ormai matura anche per la scuola, come dimostrerebbe la recente colla- na Letteratura delle regioni d'Italia. Storia e testi diretta da Pietro Gibelli- ni e Gianni Oliva e pubblicata dal- l'Editrice La Scuola di Brescia. Alcu- ni mesi fa aveva visto la luce il volu- me dedicato alla Svizzera Italiana curato da Giovanni Orelli, che usci- va a non lunga distanza dalla raccol- ta dialettale dello scrittore della Val- le Leventina (Gottardo). In prece- denza erano apparse le monografie sull'Abruzzo, sulla Calabria e sulla Puglia. Ultimo in ordine di tempo ecco il testo sul Piemonte e la Valle d'Aosta, curato da un giovane stu- dioso già noto per le sue ricerche nel campo della letteratura subalpina: Giovanni Tesio. Strutturato in due sezioni, un profilo e un'antologia commentata, il volume si propone di andare oltre lo stereotipo di una regione adagiata nel suo ordinato grigiore e perciò impermeabile alla poesia, attraverso la moltiplicazione dei piani di lettura e la ricerca, anche nei massimi, di episodi meno fre- quentati. Dal Della Valle al Tesauro, da Denina al Di Breme e al Pellico, vediamo così comporsi una sorta di controcanto piemontese, una linea anticonformistica, che dimostra co- me il paesaggio regionale sia più mosso di quanto solitamente si cre- da. Eppure, malgrado queste generose eccezioni, che contribuiscono in- te non ha mai prodotto alcun poe- ta". Mi sembra significativo che la sola poesia maturata nella "vecchia, grigia, bigotta, disadorna città" cara a Thovez sia quella crepuscolare. Le cose cambieranno e in modo radica- le soltanto quando cambierà il qua- dro di riferimento, quando la Tori- no dei salotti kitsch, di Giacosa e di De Amicis (peraltro con tanto di sot- tosuolo esotico-truculento a cura della coppia Salgari-Invernizio) si trasformerà, per usare ancora le pa- role di Gobetti, "in un centro di grande iniziativa industriale": in so- stanza, quando dalla regione si passe- rà davvero alla nazione. La rivincita sarà a questo punto brillantissima. Basta scorrere l'indice di Tesio: Gio- astrattamente valutativo di queste considerazioni. Del resto mostrare le difficoltà e i limiti legati ad una situazione geografica, linguistica e politica è uno degli obiettivi non se- condari di una storiografia, che non si accontenti di identificare la tradi- zione letteraria nell'immagine dei nostri autori schierati in Parnaso. Merito di Tesio, al di là dell'opina- bilità delle solite omissioni (pensia- mo, tanto per fare dei nomi, a Einau- di o alla Guglielminetti o a una dia- lettale contemporanea come la Do- rato, alla quale l'autore ha probabil- mente riservato uno spazio in un'al- tra antologia sul novecento in verna- colo cui sta lavorando) e talvolta di una certa imprecisione o sfocatura di Cromwell, sul dibattito sulla formazione della decisione ed il voto a Putney. Per Sereni basterà citare la sua prima raccolta di poesie, Frontie- ra Sin qui nella ipotesi che il lettore di queste prose di guerra sereniane, possa essere tra quelli direttamente interessati perché contemporaneo ai fatti indicati e narrati; oppure della genera- zione successiva, quindi destinatario di raccon- ti, descrizioni di fatti, fors'anche testimone in- fantile di qualche memoria. Ma se dei più giova- ni si tratta? Se a loro si parla? Può oggi un ventenne addirittura concepire che la vita può essere messa a disposizione di forme e di conte- nuti collettivi? Può immaginare che vite ed an- ni si sono retti sulla 'possibilità', sulla immagi- ne mitica delle cose? La cattura e la prigionia vengono vissute da Sereni soprattutto quale separazione ed amputa- zione, quale negazione della partecipazione. Al- la pag.40 del presente volume egli chiaramente scrive: "...Altri nomi filtravano un po' per vol- ta, sigle di enti misteriosi per noi, C.V.L., C.L.N., Divisioni Garibaldi, C.L.N.A.I., e infi- ne, per me e per qualche altro perché pochi era- no i milanesi in quel campo, la luce di qualche nome noto o caro o familiare... Antonio Banfi, Elio Vittorini... sembrerà incredibile, ma la ve- ra demoralizzazione giungeva con quei nomi e quanto più noti, o cari e familiari, l'udirli acco- stati ad altri, per niente noti o a quelle sigle uscite da una realtà non condivisa e non vissuta da noi, tanto più ci escludeva da quell'ora, ci confinava in un angolo morto della storia. [Campo di Fedala - Casablanca ] Di questa negata 'passione civile' ed occasio- ne della passione civile, la vita e l'opera di Sere- ni furono — è noto — profìcuamente segnate. È questo uno dei temi attorno a cui più si arrovel- la e lavora la sua passione critica, la sua con- traddizione così nostra, lo "spasimo per ogni volta che si fosse trattato di scegliere... tra solitu- dine e partecipazione". Tanta maggiore consa- pevolezza a lui ne è venuta — in generale ed anche qui, in queste pagine, prima di tutto in quelle già citate a titolo Ventisei — del fatto che nelle successioni generazionali non di smemora- tezza si tratta, di indolenze, ma di veri e violen- ti collassi di riferimento. Così scomparsi e rifiu- tati concetti e nozioni di 'scambio', 'esperienza', 'cooperazione', 'solidarietà', 'partecipazione', 'passione' — in modo particolare 'civile' — evia dicendo. Soccorre l'ipotesi di una funzione della scrit- tura presente nell'autore — "che la cosa da dire sia in fondo o un momento o un luogo della propria esperienza (esistenza) da salvare" — che sembra assumere l'intero contraddirsi. Sinché c'è il libro, dunque. Ma subito, egli obietta: lo scrivere porta con sé l'indizio di una imperfe- zione, è una 'distorta emanazione di noi'; il prezzo della trasparenza è un incessante conflit- to con la selva delle parole. dubbiamente a dinamizzare il qua- dro, l'immagine del "genio" piemon- tese continua ad apparire irrimedia- bilmente consegnata all'esperienza di soffocante angustia propria di una regione periferica e marginale. Mi pare abbastanza significativo che tut- ti gli autori che avrebbero avuto un peso oltre i confini della piccola pa- tria abbiano potuto sorgere soltanto da due movimenti complementari: il rifiuto o l'estraniazione, la "spie- montesizzazione" dell'Alfieri o il dé- paysement — o, come recentemente notava Franco Contorbia, l'autose- questro debenedettiano — di Gozza- no. Del resto non fu forse Gobetti a scrivere in una pagina di Risorgimen- to senza eroi, che dispiacque all'O- modeo e che anche Tesio cita, che "il Piemonte ha sempre risolto i suoi problemi spirituali con una formula rigorosa: confinare le eresie all'este- ro"? Pochi anni prima dell'Alfieri, che avrebbe solo in parte invalidato la sua affermazione, il Baretti scrive- va da Londra (1767) che "il Piemon- litti, Gramsci, Gobetti, Augusto Monti, Carlo e Primo Levi, Soldati, Pavese, la Romano e la Ginzburg, Fenoglio, Calvino e Arpino. Questi caratteri della letteratura regionale spiegano anche la relativa modestia della produzione dialetta- le, riconosciuta anche da Tesio, che si limita infatti ai pochi nomi cano- nici. Se la conquista della propria opera è passata per lo scrittore pie- montese attraverso un'assunzione di distanza dall'ambiente, è inevitabile che quella letteratura che invece pro- prio quell'ambiente sceglieva quale osservatorio privilegiato, finisse con il risentire di molti limiti. Non vo- glio suggerire un'equazione troppo rigida, ma certo è che l'Alione non è Ruzante, né il Tana regge il confron- to con il Maggi, malgrado numerose affinità. Le cose non vanno meglio con il pur generoso Calvo e neppure con il simpatico, ma sostanzialmen- te modesto Pacotto. Mi sembra su- perfluo sottolineare il carattere me- ramente esplicativo, non certo msm I CLASSICI DI ECONOMIA: Assar Lindbeck L'INFLAZIONE Aspetti globali, internazionali e nazionali Introduzione e traduzione di Diego Piacentino p. XX-142, L. 12.000 Lawrence R. Klein LA TEORIA ECONOMICA DELL'OFFERTA E DELLA DOMANDA Traduzione e note introduttive di Federico Caffè p. XVI-214, L. 17.000 Robert E. Lucas Jr. STUDI SULLA TEORIA DEL CICLO ECONOMICO Traduzione di Giuseppina Malerba p. X-389, L. 26.000 giudizio, mi sembra l'equilibrio con il quale ha cercato di tratteggiare lo sviluppo di questa letteratura di bas- so profilo, in cui non mancano tut- tora ampie zone d'ombra. Malgrado i limiti che lo specialista potrà rico- noscervi, a cominciare dagli spazi ta- gliati in funzione dell'uso scolastico (forse un po' troppo ottimisticamen- te auspicato), opere come questa confermano una volta di più che, se il problema della storiografia — co- me ancora recentemente suggeriva Franco Brioschi — è oggi quello di moltiplicare le descrizioni, non di ri- nunciarvi, la descrizione geografica resta una delle prospettive più fecon- de e certamente costituisce un saluta- re antidoto a quella "storia monodi- rezionale" servita per troppe sbriga- tive liquidazioni aello storicismo. Harvey Armstrong Jim Taylor ECONOMIA E POLITICA REGIONALE Edizione italiana a cura di R. Brancati e F. B. Franciosi Traduzione a cura di G. Aquilina p. XXIX-481, L. 35.000 GIIIFTRi EDIIBRf-MfLJIHO VIA BUSTO ARSIZIO 40 TEL. (02) 3010106