IN. 9 pag. 31 Idei libri delmeseI Sul linguaggio della politica Paola Desideri, Il potere della parola. Il linguaggio politico di Bettino Craxi, intr. di Mario Me- dici, Marsilio ed., Padova 1987, pp.X-173, Lit. 20.000. Murray Edelman, Gli usi sim- bolici della politica, a cura di Giorgio Fedel, Guida ed., Napo- li 1987, ed. orig. 1964, trad. dal- l'americano di Rosanna Foglia Manzillo e Antonella Piazza, pp.265, Lit. 22.000. Gilberto Tinacci Mannelli, Enrico Cheli, L'immagine del potere. Comportamenti, atteggia- menti e strategie d'immagine dei leader politici italiani, Franco Angeli, Milano 1986, pp.204, Lit. 19.000. Piero Trupla, Logica e linguag- gio della politica, intr. di G. Ur- bani, Franco Angeli, Milano 1986, pp.290, Lit. 24.000. Le caratteristiche espressive della sfera politica (linguaggio verbale e non verbale, immagini e simboli, riti e miti) appaiono recentemente ogget- to in Italia e non solo qui, di vivace interesse. Studiosi del discorso politi- co in generale e dei discorsi dei politi- ci in particolare sembrano andare alla ricerca di una chiave per comprende- re il contenuto della politica parten- do dalla sua forma espressiva: dimmi come lo dici e ti dirò che cosa dici. Risalendo lungo questa china non è difficile imbattersi nell'opera del po- litologo americano contemporaneo (è nato nel 1919) Murray Edelman, docente di scienze politiche nell'uni- versità del Wisconsin, divenuto fa- moso grazie a due testi: The Symbolic Uses of Politics, del 1964, e Politics as Symbolic Action, del 1971. La fama degli scritti di Edelman, che a lettura ultimata può apparire ingiustificata, si può in parte spiegare col carattere di rottura della sua analisi: al modello di spiegazione AeW'homo rationalis che conosce i propri obiettivi e inte- ressi politici, cerca di soddisfarli e pla- ca la propria insoddisfazione quando gli scopi vengono raggiunti, Edelman propone di sostituire il modello del- l'homo symbolicus, che percepisce la situazione solo attraverso i simboli che lo investono, reagisce in termini emozionali e si placa solo se rassicura- to da nuovi simboli e stereotipi. Non è vero — scrive il "costitutivista" Edelman—richiamandosi a Mead ma tacendo curiosamente di Lippman — che gli uomini vedono gli eventi e le situazioni politiche e ad essi reagisco- no valutandoli, ma è vero al contrario che gli uomini percepiscono gli even- ti attraverso simboli (Lippman avreb- be detto stereotipi) e agli stimoli pro- vocati da tali fonti simboliche reagi- scono. Non si può negare a Edelman il me- rito di aver messo in discussione la tendenza a interpretare il processo politico esclusivamente in termini di razionalità. Lo mette in rilievo il cu- ratore dell'edizione italiana, Giorgio Fedel, in una lunga e dotta introdu- zione della quale mi permetto di non condividere gli entusiasmi sulle ma- gnifiche e progressive sorti della scienza politica, preferendo ripetere con Bertrand de Jouvenel: "Dieu sait si la science politique est peu avan- cée!". Eppure non basta l'aver punta- to il dito sulle categorizzazioni laten- ti e soggettive degli aspetti non razio- nali della politica per parlare di usi simbolici. La debolezza della costru- zione di Edelman sta infatti proprio nella sua definizione di simbolo. O meglio nella sua non-definizione, di Francesca Rigotti giacché un libro che si propone "to discover the symbolic processes that tie officials to their followings and that underlie politicai claims, politi- cai quiescience, and the winning of benefits" (cito dall'ed. originale a cau- sa delle molte imprecisioni della tra- duzione italiana), non chiarisce poi mai che cosa abbia ad intendersi per processo simbolico o per simbolo, non solo, ma non impiega due volte tali termini in modo coerente. Ad un comune denominatore troppo som- mario per spiegare alcunché vengono fatti forzosamente soggiacere oggetti e concetti dei più disparati, chiamati chissà perché simboli, e che sarebbe troppo lungo enumerare, di cui l'uni- ca cosa che conta, per Edelman, è il carattere di strutturale falsità. Di con- seguenza, i fenomeni che ammantano la politica di idealità e giustizia ma che di fatto nascondono pratiche di favo- reggiamento di gruppi già avvantag- giati, vanno a suo parere demistifica- te. Una posizione insomma molto vi- cina a quella di George Orwell, che definiva la politica una massa di men- zogne, sotterfugi e stupidità, e la lin- gua della politica una specie di inchio- stro per mascherare tale cumulo di nefandezze. Mentre c'è chi si accanisce contro le oscurità, i sofismi e le lampanti con- traddizioni del lessico dei politici (quando mai potranno "convergere" due parallele? eppure Moro, sfidando la geometria euclidea, fece di questa espressione uno dei suoi cavalli ai bat- taglia), c'è chi invece cerca di salvare la situazione proponendo di applica- re alla politica un'altra logica, ad essa confacente. È il tentativo che perse- gue Piero Trupia nel suo bel libro alla seconda edizione. Trupia lavora alla Confindustria, dove si occupa di pro- blemi istituzionali e di investimenti agevolati. Quando venne incaricato delle relazioni esterne della Confin- dustria, questo eclettico personaggio, che ogni cinque anni cerca di cambia- re settore di attività, si mise a leggere intensamente testi politici, e per ca- pirne le modalità espressive pensò be- ne di elaborare una sua ermeneutica personale. E nato così Logica e linguaggio della politica, che si basa su alcuni assunti chiari e distinti che potremmo riassu- mere nel seguente modo: 1) non si può capire il linguaggio della politica se non si conosce il politico; 2) la logi- ca è uno strumento, e come gli stru- menti destinati ai vari usi sono diver- si, così le logiche sono e devono essere diverse. In particolare, la logica più adatta al discorso politico sara la logi- ca costruttivista, che oltre a non te- mere la contraddizione si adatta age- volmente al carattere dinamico e pro- gettuale del procedere politico. Messa in discussione la concezione riduttiva della retorica politica che ne faceva manipolazione e mascheramento bie- co, si attribuisce invece, proprio al- l'impiego dei topoi più frequenti — metafore, ossimori, analogie, simboli ecc.—una precisa volontà di comuni- care più chiaramente col pubblico e di sintonizzarsi con efficacia con il mondo dei destinatari dei messaggi politici. Le argomentazioni di Trupia, soli- damente costruite attorno ad alcune tesi fondamentali e arricchite da parti divulgative che non nuocciono nep- pure agli addetti ai lavori, si indeboli- scono quando si viene a definire il po- litico cercandone quel "qualcosa", quasi l'essenza, che lo caratterizza. Il quid del politico viene infatti enuclea- to, seguendo fedelmente il Cari Sch- mitt del Concetto del politico, nel cri- terio di lotta per la sovranità insieme a quello di amico-nemico. Ridotti a funzione secondaria i criteri di pro- gettualità-gestione e di comando-ob- Dedienza, soppresso l'aspetto della politica come attività di governo, de- stituito di autonomia il modello della politica in termini di interesse in quanto esclusivo, (si dice) dell'econo- mia, il politico di Trupia si presenta esclusivamente come lotta per l'ac- quisizione del potere e per una diver- sa attribuzione della sovranità. Tan- t'è che dove non è possibile mutare l'assetto del potere, come nelle mo- narchie assolute o nei regimi totalita- ri, non ci sarebbe politica, nè ci sareb- be politica nell'esercizio normale del potere governativo. Ciò pare ridurre il linguaggio della politica al puro les- sico esortativo, tagliandone fuori gli stili giuridico, legislativo e ammini- strativo; e soprattutto limitarlo allo stile della prassi politica, mentre ri- mane aperto l'interessante interroga- tivo se analoghi criteri potrebbero spostarsi anche allo stile della teoria e della trattatistica. Lo sforzo di individuare criteri di demarcazione del discorso politico che pervade il volume di Trupia è in- vece assente nel libro di Desideri sulla retorica craxiana. Ricercatrice all'u- niversità di Urbino e esponente italia- na di quei 'greimasiani' più realisti del re contro i quali si dirigono gli strali di Trupia, Paola Desideri svolge una serrata e spesso criptica analisi lingui- stica della prosa di Bettino Craxi, condotta attraverso la disamina di 275 proposizioni estratte dal corpus craxiano del ventennio 1965-85. Non è la prima volta che la linguista urbi- nate si cimenta col lessico dei politici italiani: ha scritto di Mussolini e di De Gasperi, ha inventariato in una rasse- gna bibliografica testi recenti sul di- scorso politico ed ha intenzione, in un futuro prossimo, di dedicarsi all'e- same della prosa morotea. Scelta feli- ce, giacché Moro è stato indubbia- mente uno dei politici più fecondi nella produzione di figure retoriche, dal già citato paradosso delle "conver- genze parallele" alle litoti della "non sfiducia" e della "non opposizione", fino al contorto e sino ad allora desue- to "accordo programmatico". La Desideri procede alternando ci- tazioni craxiane a note esplicative sue, conducendo il lettore verso una lettura diacronica del personaggio Craxi che ne esalta l'efficacia della pa- rola, la capacità cioè di conseguire scopi determinati tramite un discorso ad essi finalizzato. Le doti che Craxi medesimo si autoriconosce sono pe- raltro ben più sostanziose. Il ritratto da lui stesso affrescato è quello di un personaggio politico di temperamen- to calmo e risoluto, di indole fredda e decisa, coerente, discreto, dotato di senso della misura e rispettoso delle opinioni altrui; fornito di buona me- moria, fermezza, pervicacia; capace di ammettere i propri difetti, sempli- ce e naturale come un vero common man, di comportamento civile e composto, ragionevole e signorile (l'analisi si arresta al 1985). L'efficacia della parola craxiana è sottolineata dall'autricee nella pratica dell'autoci- tazione, che esalta la lungimiranza del parlante ("come avevo già detto"), nel ricorso a tratti colloquiali, pro- verbi e modi di dire che stimolano la partecipazione dell'uditorio, nell'im- piego ai metafore che potenziano la vitalità del discorso, quale la abusata metafora organicista dello stato mala- to che richiede una terapia adeguata (ovvero Craxi presidente del consi- glio), esplicitata anche nel bollettino medico dello scorso luglio che ripor- tava lo stato di salute del Psi: uno dei topoi prediletti della retorica politica d'ogni tempo, al quale in epoca recen- te si sono mostrati particolarmente affezionati Hitler, Mussolini, Olof Palme. C'è chi dice tuttavia che gli aspetti verbali del discorso politico non sono o non sono più cosi importanti, e che benpiù influente è l'immagine, il look del politico offerto attraverso aspetti non verbali: tono della voce, gestuali- tà, sguardo, abbiglianiento, colorito o taglio dei capelli. E la tesi dei due sociologi Gilberto Tinacci Mannelli e Enrico Cheli che hanno svolto una ricerca sul campo sui leaders dei prin- cipali partiti italiani. Sovrastimando (spero) l'incidenza del telecomizio sulla formazione dell'opinione dei votanti e sostenendo che le apparizio- ni televisive costituiscono per l'elet- tore l'unica fonte di informazioni di- rette sui segretari dei partiti, gli autori tracciano i profili stilistici dei segreta- ri stessi. Naturale, semplice, dimesso, flessibile, poco incline al sorriso lo stile di De Mita; vivace, appassionato, sarcastico, affabile, colloquiale, estro- verso, quello di Natta. Creativo e de- ciso, efficace e affidabile sarebbe infi- ne lo stile di Craxi, cui viene ricono- sciuto dal "test associativo" un alto quoziente di attività e abilità, forza, competenza e modernità, accanto al- la più elevata componente di presun- zione e a una buona fetta di antipatia.