;N. 9 pag. 34 Egoisti razionali di Fabio Ranchetti Bruna Ingrao, Giorgio Israel, La mano invisibile. L'e- quilibrio economico nella storia della scienza, Laterza, Roma-Bari 1987, pp. 381, Lit. 33.000. Che milioni di individui spinti unicamente dai loro interessi privati, incontrandosi nel mercato e reagen- do soltanto ai prezzi che lì si stabili- scono, riescano a raggiungere una ordinata allocazione nelle risorse economiche, un "equilibrio econo- mico generale", sulla cui base si fon- da la società civile, era una convin- zione diffusa già nella metà del Sette- cento. Ma era un risultato ritenuto quasi magico, per la cui spiegazione Adam Smith ricorreva alla metafora della "mano invisibile": la mano in- visibile di Giove conduce ciascun in- dividuo — "senza che lo sappia, sen- za che lo voglia" — a realizzare uno stato di equilibrio generale, che è, nello stesso tempo, un ottimo socia- le. La teoria dell'equilibrio economi- co generale nasce, e si sviluppa, pro- prio con l'intento di fornire una spiegazione scientifica di come si de- terminano i prezzi e l'equilibrio in un sistema interdipendente di mer- cati in cui viga la libera concorrenza. "Scientifica" ha qui un significato del tutto preciso e determinato: è scien- tifica una spiegazione che impieghi il metodo e il linguaggio, e quindi ac- quisisce il rigore, della matematica. Di questo tentativo di elaborare una teoria rigorosa del mercato e dell'e- quilibrio il libro di Ingrao e Israel è la storia, storia che affonda le sue radici nel progetto illuministico di matematizzazione della scienza so- ciale, ma che propriamente inizia con Walras, nella seconda metà del- l'Ottocento. Walras fu infatti il pri- mo ad avere, con assoluta consape- AA.VV. NOVITÀ CONTRO IL TRADIMENTO DEL CONCILIO Dove va la Chiesa cattolica? a cura di H. Kiing e N. Greinacher pp. 416, L. 27.000, «Nostro Tempo» n. 44 Un «libro bianco» dei migliori nomi del catto- licesimo mondiale contro l'attuale linea di re- staurazione della Curia romana. Una risposta al Rapporto sulla tede di J. Ratzinger, Un li- bro che svela retroscena noti solo agli «ad- detti ai lavori» EDUARD SCHWEIZER LO SPIRITO SANTO Collana «Piccola Biblioteca Teologica» PAOLO RICCA ALLE RADICI DELLA FEDE Meditazioni e studi biblici ANONIMO LA VERITÀ DEI GIORNALI Collana «Dossier», introd. di G. Girardet IL SOMMARIO DELLA S. SCRITTURA e L'ORDINARIO DEI CRISTIANI a cura di Cesare Bianco Collana «Testi della Riforma» L. SCH0TTR0FF, W. STEGEMANN GESÙ DI NAZARETH SPERANZA DEI POVERI «Piccola Collana Moderna» W. MARXSEN I EPISTOLA Al TESSALONICESI «Parola per l'uomo d'oggi» _ mm editrice Claudiana Via Pr. Tommaso 1 - 10125 Torino C.C p. 20780102 volezza, assimilato l'economia poli- tica pura (il cui problema centrale è appunto la determinazione dei prez- zi e dell'equilibrio) alle scienze fisi- co-matematiche e, perciò, il primo ad avere individuato i problemi eco- nomico-matematici che costituiran- no da allora in poi il nucleo fonda- mentale della teoria. Tae nucleo consiste nel proposito di dimostrare, per via matematica, tre cose: 1) che esiste uno stato di equilibrio economico, ovvero uno l'economia verso l'equilibrio, "oc- corre ammettere che le forze del mercato sono incapaci di condurre il mercato stesso in equilibrio e che la 'mano invisibile' di Smith si agita, come Sisifo, attorno all'equilibrio (pur esistente) senza che i suoi sforzi riescano a collocarvi il sistema eco- nomico". (Non è difficile vedere co- me tale risultato negativo distrugga alla radice il fondamento teorico di ogni concezione che affidi alle virtù intrinseche del mercato il compito di "aggiustare" gli squilibri che in es- so si manifestano). L'incapacità della teoria dell'equi- librio economico generale di pro- durre una analisi soddisfacente della stabilità, e quindi di dimostrare che tuiscono il nucleo: esistenza e unici- tà dell'equilibrio (questa è la strada percorsa con particolare determina- zione e coerenza da Debreu negli ul- timi trent'anni). In realtà resterebbe una terza possibile posizione, che non viene considerata da Ingrao e Israel, uscendo dai limiti del loro la- voro: respingere in toto la costruzio- ne walrasiana, in quanto incapace di dar conto dei fenomeni centrali della realtà capitalistica (fu questa la stra- da storicamente seguita da Keynes, per il quale la teoria di Walras era "little better than nonsense", e poi dai keynesiani di Cambridge). Ingrao e Israel argomentano che, da un lato, non è possibile eliminare la questione della stabilità, in quanto Modelli di razionalità di Paolo Legrenzi Luciano Gallino, L'attore sociale: biologia, cultura e intelligenza artificiale, Einaudi, To- rino 1987, pp. XIV-227, Lit. 24.000. Questo libro raccoglie una serie di saggi che Gallino ha pubblicato negli ultimi cinque anni nelle sedi più diverse. Si spiegano così alcune ridondanze che comunque non infastidiscono mai il lettore. La raccolta è organizzata in tre parti. Nella prima si illustra l'assenza nelle scienze sociali italiane di una teoria dell'attore sociale e si danno ragioni di tale assenza. Nella seconda parte Gallino parla del suo modello, o meglio, del suo punto di vista, che risente so- prattutto della tradizione di ricerca a cavallo tra psicologia cognitivista e intelligenza artifi- ciale. La terza ed ultima parte, molto interes- sante, vede Gallino "applicare" il suo punto di vista a problematiche come l'evoluzione dei si- stemi sociali e tecnologici. L'assenza di una teoria dell'attore sociale proprio in un periodo di grande sviluppo delle scienze sociali stesse si spiega facilmente: a molti è parso che tale modello fosse inutile se non fuorviarne. Al contrario era molto più sempli- ce riuscire a scoprire regolarità di comporta- mento nella gente senza indagarne i motivi. Bastava mettere in relazione determinate ca- ratteristiche (demografiche, anagrafiche, socio- logiche e/o psicologiche) di un gruppo di persone con il comportamento "medio" del gruppo e scoprire eventali correlazioni. Così facendo si può scoprire, ad esempio, che le recensioni scritte in ambienti culturali ristretti, come quello ita- liano, tendono in media ad essere meno "criti- che" di quelle scritte in ambienti più ampi, co- me quello della cultura anglosassone. Perché questo avvenga, cosa cioè passi per la testa dei recensori appartenenti ai due gruppi è qualcosa che non ci interessa: la "mente" dei recensori va considerata come una "scatola nera". È questa propriamente l'impostazione della scuola psico- logica chiamata "comportamentismo", dall'en- fasi appunto data al comportamento esterno (ri- spetto ai contenuti mentali). Ma, più in genera- le, questa è la prospettiva che il neopositivismo, dominante nei paesi anglosassoni, offriva come previlegiata agli scienziati sociali. Si spiega così l'assenza di un modello dell'attore sociale. Li- mitandosi al più ristretto orizzonte italiano si scoprono altre giustificazioni per tale assenza. Faceva infatti comodo ai modelli dell'attore so- ciale impliciti nella tradizione cattolica ed in quella marxista: la prima ne aveva uno suo (e non amava concorrenti), alla seconda andava bene che non ce ne fosse neanche uno. Circa una ventina di anni fa ci si cominciò ad accorgere che l'impostazione neopositivista, per quanto apparentemente elegante, invece di risolvere i problemi li eliminava. Incomincia- vano inoltre a lavorare gli studiosi di quella che sarebbe stata chiamata "intelligenza artificia- le", coloro cioè che cercavano di far fare a delle speciali macchine, i computer, dei compiti fino ad allora eseguibili soltanto dall'uomo. Per far questo dovevano scrivere dei programmi in cui erano descritte in modo analitico le procedure seguite dall'uomo per risolvere un dato compito ed erano quindi costretti a capire quel che passa per la testa della gente impegnata in uno speci- fico compito. Osservare i comportamenti non serviva a molto: bisognava descrivere i processi dell'intelligenza naturale per creare quella arti- ficiale. Un po' alla volta questo modo di lavora- stato in cui, per ciascun bene o servi- zio, la domanda e l'offerta sono uguali (esistenza dell'equilibrio); 2) che tale stato è unico (unicità dell'e- quilibrio); e, infine, 3) che, quale che sia la situazione iniziale in cui si tro- vi l'economia, esistono delle forze di mercato (la "mano invisibile") capaci di condurre necessariamente il siste- ma economico allo stato di equili- brio (stabilità dell'equilibrio). Tesi fondamentale degli autori è che, mentre l'esistenza dell'equili- brio ha potuto essere dimostrata ne- gli anni Cinquanta di questo secolo da Arrow e Debreu in modo econo- micamente significativo, ciò non si è verificato per gli altri due problemi. Soltanto una parte del programma walrasiano ha dunque potuto essere realizzata. Particolarmente gravi so- no le conseguenze dei risultati nega- tivi in merito alla analisi della stabili- tà dell'equilibrio. Infatti, se non è possibile mostrare in modo soddisfa- cente come l'aggiustamento dei prezzi attraverso l'operare sponta- neo della concorrenza possa guidare l'economia può effettivamente rag- giungere l'equilibrio, va ricondotta in primo luogo alla sua natura so- stanzialmente statica. La nozione di equilibrio su cui si fonda la teoria e infatti, la rappresentazione di un equilibrio istantaneo, l'equilibrio che si ha in un dato istante di tempo. Tale nozione è, pertanto, inerente- mente incapace di descrivere l'evolu- zione dell'economia da un equilibrio all'altro, e quindi processi e fenome- ni economici che avvengono nel tempo e che sono essenzialmente connessi alla moneta, al capitale, al- l'interesse e al ciclo. Di fronte a tale difficoltà si posso- no assumere due diverse posizioni. La prima è quella di tentare di conci- liare lo schema statico di derivazione walrasiana con l'analisi dei processi economici dinamici, ovvero dei pro- cessi che si svolgono nel tempo. La seconda è quella di espungere dalla teoria dell'equilibrio economico ge- nerale l'aspetto dinamico, e quindi limitare la teoria alla dimostrazione dei primi due problemi che ne costi- essa è parte costitutiva del nucleo fondamentale della teoria, e dall'al- tro, non è stato possibile riconcilia- re, sulla base delle ipotesi che reggo- no la teoria, l'analisi dinamica con l'analisi statica. Se ciò è vero, allora esiste una contraddizione tra gli obiettivi della teoria, come sono de- finiti nel nucleo, e le conseguenze che si ricavano dalle ipotesi ai base. In altri termini, le ragioni ultime del fallimento del progetto complessivo walrasiano — "costituire l'economia politica pura come una scienza esat- ta" — vanno individuate in una ina- deguatezza o fragilità delle ipotesi di base. Sono queste che vanno dunque riconsiderate. In una lettera del 1901, il grande matematico Poincaré così scriveva a Walras: "Voi considerate gli uomini come infinitamente egoisti e infini- tamente lungimiranti. La prima ipo- tesi può essere accettata in prima ap- prossimazione, ma la seconda neces- siterebbe forse di alcune riserve". Ebbene, le difficoltà della teoria del- l'equilibrio economico generale na- scono proprio dall'avere assunto questa seconda ipotesi: su di essa si basa, infatti, la nozione di un equili- brio istantaneo, atemporale. Mante- nere tale ipotesi, e la nozione di equilibrio che ne consegue necessa- riamente, significa allora precludersi la possibilità di descrivere un proces- so economico "reale", che si svolge nel tempo, in cui si passa da una po- sizione di equilibrio ad un'altra e in cui gli individui non sanno che cosa accadrà nel futuro, ma sanno di non sapere che cosa accadrà. Esposti con estrema chiarezza i ri- sultati (matematicamente solidi ed economicamente significativi sul ter- reno dell'esistenza dell'equilibrio, matematicamente solidi ma econo- micamente poco significativi sul ter- reno dell'unicità dell'equilibrio, ma- tematicamente solidi ma economica- mente per nulla significativi sul ter- reno della stabilità) a cui hanno con- dotto gli sviluppi delle idee e intui- zioni originarie di Walras, e indivi- duata nella scelta delle ipotesi di base (in particolare in quella della perfet- ta preveggenza), la debolezza di fon- do di tutta la costruzione della teoria dell'equilibrio economico generale, Ingrao e Israel ci lasciano. Ci lascia- no, tuttavia, con un invito: a riconsi- derare la cima a fondo "il tema diffi- cilissimo e cruciale dei rapporti tra teoria e realtà empirica". Soltanto ta- le riconsiderazione permetterebbe, infatti, di rifondare su basi più solide la teoria della mano invisibile. È questa una conclusione, in un certo senso, inevitabile: come è no- to, ogni questione scientifica, se esa- minata a fondo, conduce necessaria- mente a porre una questione filosofi- ca. In verità, anche se il tema filoso- fico puro dei rapporti tra teoria e realtà empirica non è esplicitamente affrontato da Ingrao e Israel, tutto il loro libro è attraversato da un filo rosso che di quel tema è la specifica- zione sul terreno del pensiero econo- mico: ogni diverso momento dello sviluppo storico della teoria dell'e- quilibrio economico generale è con- siderato come un diverso modo di intendere e porre il rapporto tra la rappresentazione scientifica e il suo oggetto reale nell'esperienza — ossia, nel nostro caso, il mercato. Le diffi- coltà della teoria vengono pertanto ricondotte ad una tensione, mai ri- solta all'interno del programma walrasiano, tra visione generale e in- terpretazione dei fenomeni econo- mici reali da un lato, e metodi for- mali e legge matematica dall'altro. (Si noti che, non a caso, l'unica for- mulazione della teoria dell'equili- brio economico generale che sfugga a tale contraddizione è quella di De- breu, in cui è esplicitamente rescisso il legame tra la teoria e le sue inter- pretazioni e abbandonata definitiva- mente ogni pretesa di realismo). Coerentemente con questa imposta- zione, e qui va riconosciuto uno dei meriti maggiori del libro, vengono illustrate con particolare attenzione le diverse concezioni scientifiche en- tro il cui quadro, e in dipendenza da cui, si sono verificati gli sviluppi del- la teoria dell'equilibrio. In tal modo viene mostrato come ogni muta- mento del paradigma scientifico do- minante, ad esempio dalla fisica clas- sica alla modellistica matematica e quindi alla assiomatizzazione, in- fluenzi e modifichi gli aspetti forma- li e analitici della teoria, senza tutta- via modificarne il nucleo economi- co, che resta pertanto invariato da Walras ad oggi. Particolarmente feli- ci sono, a questo proposito, le pagi- ne dedicate alla ricostruzione degli scambi culturali tra i diversi ambien- ti scientifici e accademici, come ad esempio tra il Circolo di Vienna e la London School of Economics, non- ché all'esame dei rapporti col pensie- ro morale e politico — scambi e rap- porti che fanno della teoria dell'e- quilibrio economico generale un og- getto di studio assai complesso e, nello stesso tempo, così affascinante.