N. 9 Pag- Il Libro del Mese Pescando nel tempo IngmarBergman, Lanterna ma- gica , Garzanti, Milano 1987, ed. orig. 1987, trad. dallo svedese di Fulvio Ferrari, pp. 263, Lit. 22.000. Raramente la pubblicazione di un libro di memorie è stata preceduta da tanto clamore: si sono raggiunti prezzi da capogiro alle aste interna- zionali per la cessione dei diritti e singoli capitoli sono stati ceduti a quotidiani di vari paesi per la pubbli- cazione anticipata. Il volume è usci- to contemporaneamente nella ver- sione originale svedese, in quella da- nese e in quella norvegese, dopo atte- se che si erano fatte febbrili, e adesso appare, a poche settimane di distan- za, la versione italiana, nell'intelli- gente traduzione di Fulvio Ferrari, pubblicata da Garzanti nella collana dei Saggi Blu. Bisogna ammettere che, dopo tante aspettative, era quasi inevitabile che si insinuasse nel po- tenziale lettore un senso di timore: veniva cioè spontaneo chiedersi se il libro veramente ne fosse all'altezza, oppure se il tutto non si riducesse ad una campagna pubblicitaria ben condotta, come spesso accade, da chi intende sfruttare abilmente la noto- rietà di un autore. Ebbene, dopo la lettura svanisce ogni dubbio e timo- re: Lanterna magica è un libro che rivela come le doti di Ingmar Berg- man narratore non siano da meno ai quelle del cineasta e del regista. Compone le sue niemorie con la stessa padronanza dei mezzi espressi- vi che gli conosciamo nella produ- zione cinematografica e nelle regie teatrali, e in questo caso, adottando una tecnica narrativa improntata ad un ritmo e ad una scelta di tagli che ricordano i suoi films ed il loro lin- guaggio, garantisce sempre un eleva- to livello letterario. Non segue un ordine cronologico ma sfrutta abil- mente una tecnica a incastro, direi quasi di assemblaggio, un raffinato montaggio con frequenti ellissi e sal- ti temporali, integrato da un sapien- te impiego del presente storico. La struttura del libro risulta alquanto peculiare, Bergman si è concesso la libertà di pescare nel tempo spazian- do sui propri ricordi al di là delle costrizioni temporali, facendo un uso squisitamente cinematografico di analessi e di prolessi. Il volume si apre con alcune se- quenze dell'infanzia, e il lettore vie- ne subito a trovarsi a contatto con il rigido ambiente della casa del pasto- re luterano, dove Bergman vive l'e- sperienza traumatizzante della nasci- ta della sorella. Punto focale è l'amo- re per la madre, un amore che para- gona a quello di un cane, accolto purtroppo dal suo oggetto con in- quietudine se non con irritazione, talvolta con fredda ironia. Il regista di Merete Kjoller Ritzu verrà a sapere molti anni più tardi che l'atteggiamento era stato sugge- rito alla madre da un celebre pedia- tra che le aveva consigliato di respin- gere con fermezza nel figlio ogni morboso tentativo di intimità. Berg- man rimase segnato per tutta la vita dal disperato bisogno d'amore e di tenerezza mai soddisfatto, tanto è vero che tra i numerosi temi e moti- vi del libro spicca quello del bisogno d'amore frustrato. Così come rimase segnato dai traumi provocati dalla rigida educazione, tipica di certi am- bienti luterani scandinavi e basata quasi esclusivamente sui concetti di peccato, senso di colpa, confessione, punizione, perdono. Essa può forse Ingmar venduto al circo La famiglia aveva una benefattrice arciricca di nome zia Anna. Ci invitava a feste per bam- bini con giochi di prestigio e altri divertimenti, a Natale faceva sempre regali costosi e intensa- mente desiderati e ogni primavera ci portava alla prima del circo Schumann, al Djurgarden. L'avvenimento mi metteva in uno stato di feb- brile eccitazione: il tragitto in automobile con l'autista in uniforme della zia Anna, l'ingresso nell'enorme edificio di legno splendidamente il- luminato, i profumi misteriosi, l'ampio cappel- lo della zia, l'orchestra fragorosa, la magia dei preparativi, il ruggito delle belve dietro le tende rosse da cui uscivano i cavallerizzi. Una volta qualcuno sussurrò che un leone era comparso in un'apertura oscura al di sotto della cupola, i clown erano fuori di sé spaventosi, io mi assopii per l'emozione e mi risvegliai a una musica meravigliosa: una giovane donna vestita di bianco cavalcava un colossale stallone nero. Fui preso d'amore per la giovane donna. La inclusi nei giochi della mia fantasia e la chia- mai Esmeralda (forse si chiamava così). I miei sogni fecero poi un passo troppo rischioso nella realtà quando confidai al mio compagno di banco, Nisse, sotto giuramento di tacere, che i miei genitori mi avevano venduto al circo Schumann, che presto sarebbero venuti a por- tarmi via dalla casa e dalla scuola e mi avrebbe- ro insegnato a fare l'acrobata insieme a Esme- ralda. che era considerata la donna più bella del mondo. Il giorno successivo la mia fantasia era propalata e profanata. La mia maestra ritenne la faccenda di tale gravità che scrisse una lettera indignata alla mamma. Ne seguì un terribile processo. Fui messo con le spalle al muro, umiliato e svergo- gnato sia a casa che a scuola. Cinquantanni più tardi chiesi alla mamma se ricordava l'episodio della vendita al circo. Lo ricordava benissimo. Domandai allora perché nessuno aveva riso o aveva provato tenerezza per tanta fantasia e audacia. Ci si sarebbe potu- to anche chiedere come mai un bambino di sette anni desiderava lasciare la propria casa per esse- re venduto a un circo. La mamma rispose che già in molte altre occasioni lei e papà si erano preoccupati per la mia abitudine alla menzogna e per le mie fantasie. Spinta dall'ansia, la mam- ma aveva consultato il celebre pediatra. Questi aveva sottolineato quanto fosse importante per un bambino imparare per tempo a distinguere fantasia e realtà. Visto che ora ci si trovava davanti a una flagrante e sfrontata bugia, biso- gnava punirla esemplarmente. Per parte mia, mi vendicai del mio ex amico inseguendolo con il temperino di mio fratello per tutto il cortile della scuola. Quando una maestra si mise in mezzo cercai di ammazzarla. Fui sospeso da scuola e ricevetti un sacco di botte. Più tardi il falso amico fu colpito dalla poliomelite e morì, il che mi riempì di gioia. La classe ebbe, come era uso, una vacanza di tre settimane e tutto fu dimenticato. (da Ingmar Bergman, Lanterna Magica, pp. 15-16) v» Economia, politica, sviluppo La Facoltà di Scienze Politiche dell'Università di Torino ha deliberato di conferire la laurea honoris causa in Scienze Politiche ad una delle figure più illustri delle scienze sociali contemporanee, il prof. Albert O. Hirschman, dell'lnstitute for Advanced Study, di Princeton. In occasione del conferimento, che avrà luogo il 12 novembre 1987, la Facoltà di Scienze Politiche ed il Dipartimento di Scienze Sociali organizzano un convegno sul tema: Economia, politica, sviluppo, che si terrà presso l'Aula Magna dell'Università di Torino nei giorni 13-14 novembre 1987, con il seguente PROGRAMMA Venerdì 13 Novembre Mattino "I problemi dello sviluppo fra economia e politica" prof. M. Carmagnani (Torino); prof. T. Cozzi (Torino); prof. A. Quadrio-Curzio (Milano, Cattolica) Pomeriggio "Potenza nazionale ed economia Internazionale" prof. P. F. Asso (Firenze); prof. M. De Cecco (Istituto Universitario Europeo, Firenze); prof. A. Glnzburg (Modena) Sabato 14 novembre Mattino "Razionalità, passioni, interessi: a) i fondamenti del comportamento individuale in condizioni di scarsità" prof. A. Pizzorno (I.U.E., Firenze/Harvard); prof. S. Zamagni (Bologna) prof. M. Egidi (Torino) Pomeriggio "Razionalità, passioni, interessi: b) mercati e gerarchie" prof. A. Bagnasco (Torino); prof. G. Beccattini (Firenze); prof. L. Meldolesi (Napoli) "Conclusioni generali" prof. A. O. Hirschman apparire inverosimile ad un lettore italiano, ma tutt'altro che sconosciu- ta nei paesi scandinavi. Colpe e pec- cati che andavano dal farsi la pipi addosso, a voli di fantasia considerati sfrontate bugie. Le punizioni, che dovevano essere seguite da un bacio alla mano punitrice del padre, erano qualcosa di ovvio, mai messe in di- scussione, parte di una logica accet- tazione. Bergman stesso individua proprio in questo sistema gerarchico a porte chiuse la causa della propria ingenua adolescenziale sensibilità di fronte alle sirene del nazismo (ben presto sconfessato però, come sap- piamo. Dispiace, a questo proposito, vedere pubblicati come anteprima, con grande rilievo nelle pagine cul- turali di uno dei più autorevoli quo- tidiani italiani, proprio estratti solo da questo capitolo, del tutto estrapo- lati dal resto e dallo spirito dell'ope- ra. Per di più, l'anonimo redatore di quest'operazione "culturale", per meglio presentare il libro al lettore italiano, lo intitola "...Così amai Adolf"!): non avendo mai sentito parlare di libertà ne conosceva ancor meno il sapore. Possiamo aggiunge- re che probabilmente si trova qui la radice anche del successivo disimpe- gno politico di cui Bergman stesso si rammarica. Mal assortiti come cop- pia, i genitori appaiono entrambi perfezionisti angosciati, perseguitati dal senso di inadeguadezza dinnanzi ad ambizioni eccessive, costretti dal rispetto per le convenzioni a recitare con una ferrea autodisciplina la par- te che era stata loro assegnata nella vita e cioè quella della famiglia di un pastore luterano la cui casa doveva essere trasparente e aperta a tutti. Come se non bastasse, vivevano un rapporto degno di un dramma di Strindberg, in una perenne este- nuante crisi. La casa d'infanzia appare domina- ta da un cupo perbenismo e da un'austerità borghese soffocante, da un gelo spaventoso e da una quoti- dianità fatta solo di doveri e di sensi di colpa, priva di affetto: "Ma l'amo- re? Lo so, non adoperiamo questi termini nella nostra famiglia. Papà parla dell'Amore di Dio in chiesa. Ma a casa? E noi? Come facevamo con i nostri cuori lacerati, con l'odio soffocato?" (p. 258) e Bergman arriva infine all'amara constatazione che "la nostra famiglia era formata da persone di buona volontà schiacciate da un'eredità di pretese eccessive, cattiva coscienza e senso di colpa", (p. 263). Alla fine del libro giunge ad una certa serenità e comprensione nei confronti dei genitori, placa il suo rancore riconoscendo come la loro stessa vita fossa stata un disa- stro. Nel quadro cupo dell'infanzia, vi sono rari sprazzi di luce e fra le pagine più belle del libro figura, col- locato nel penultimo capitolo, lo schizzo che rappresenta una gita do- menicale in bicicletta con il padre nel paesaggio estivo svedese. La composizione, come si è detto, non segue un percorso cronologico e i primi ricordi dell'infanzia vengono seguiti da una sequenza della morte della madre e quindi da due scene che raffigurano il maturo regista al lavoro. La prima rappresenta le vi- cende dell'allestimento, costellato di ogni immaginabile difficoltà, della quarta versione bergmaniana del So- gno del 1986 con una mal celata delu- sione del risultato definitivo. Berg- man, traendo lo spunto dal giorno della prova generale, quando si ten- ne anche la prima riunione per la messinscena di Amleto, sostiene di aver avvertito a questo punto i primi segni della vecchiaia come impedi- mento nel lavoro creativo. Si chiede se per lui ormai sia giunto il momen- to di smettere e andarsene. Mi sia consentito a questo riguardo, dopo il memorabile Amleto cui ho assistito a Firenze nel gennaio scorso, esprime- re al grande Bergman la più sincera gratitudine per non aver ceduto a quell'impulso! Dai capitoli della formazione e della graduale maturazione artistica che si compie dagli inizi degli anni '40, partendo dalla gavetta come "ne- gro dei manoscritti" fino a diventare direttore del Teatro Nazionale, emerge come l'uomo Bergman ri- manga fondamentalmente lo stesso: insicuro, non si fida di nessuno, non ama nessuno e di nessuno ha biso- gno. La vita privata si trasforma im- mancabilmente in un disastro che riesce a sopportare solo buttandosi a capofitto nel lavoro. Verso la metà degli anni '50 si trova già con tre divorzi alle spalle e con tre nidiate di figli da mantenere. Leggendo Lanter-