Pag- Il Libro del Mese Documenti, non sogni Le Corbusier 1910-65 di Claudio Vicentini Nei confronti delle sue regie teatra- li Bergman è quasi spietato. Non ce n'è una tra tutte quelle che rievoca nella Lanterna magica di cui si dica proprio soddisfatto: a cominciare dalla messa in scena del Sogno di Strindberg che lo impegna ancora, per la quarta volta, a Stoccolma nel 1986, e per la quarta volta lo lascia scontento, e tuttavia con l'intenzio- ne mezzo entusiasta e mezzo dispera- ta di tentare ancora. Ma il compito del regista per Bergman qual è? Le sue indicazioni sembrano a prima vi- sta sorprendentemente pedanti e ri- sapute. Innanzi tutto il rispetto per il testo. Se ha commesso alcune intem- peranze nei tempi della gioventù, quando considerava le parole dell'au- tore appunto come "parole", da ta- gliare, fondere o riadattare con alle- gra spensieratezza, oggi giudica un simile procedimento poco più che una ragazzata. E tutte le audacie regi- stiche che osserva tra lo spaventato e il divertito sui palcoscenici tedeschi in anni abbastanza recenti, quando lavora al Residenztheater di Monaco durante l'esilio fiscale dalla Svezia, gli appaiono forme di una "totale ne- vrosi". Possono se mai avere una sola giustificazione: ai poveri registi dei teatri comunali, costretti a rappre- sentare più volte sempre gli stessi classici ai fronte a un pubblico che continua fedelmente a rivederli non resta altra via per distinguersi che quella della franca impudenza. Del resto, condannata ogni solu- zione clamorosamente provocatoria e ripudiata anche la più tranquilla abitudine di risolvere con tagli e mo- difiche le contraddizioni e le difficol- tà che ogni testo presenta, il regista, spiega Bergman, deve cominciare con un paziente lavoro di riflessione a tavolino per preparare un libro di regia che definisca in ogni dettaglio il progetto della messa in scena. All'ini- zio delle prove tutti gli istanti della rappresentazione devono già essere chiari. Gli attori possono così opera- re dentro la precisa rete di indicazio- ni che il regista ha predisposto: il messaggio della recitazione diventa semplice e diretto, e la scena può raggiungere una precisione assoluta, da cui ogni oscurità di sentimenti e intenzioni viene inesorabilmente bandita. E vero, aggiunge Bergman, che i diversi messaggi proiettati dalla recitazione sul pubblico nel corso di una scena possono poi apparire con- traddittori, ma ciò deve essere un ri- sultato intenzionale, attentamente studiato per creare un effetto di "ste- reofonia" capace di schiudere le pro- dondità segrete del testo. Il regista, mentre mantiene un ri- goroso controllo sull'intero procedi- mento di lavoro, deve fare attenzio- ne soprattutto a se stesso, evitando di proiettare sull'opera le sue complica- zioni interiori. Nula, secondo Berg- man, è tanto pericoloso quanto ma- terializzare sulla scena il proprio caos psicologico, e ridurre le prove a "una terapia privata per il regista e per gli attori". I materiali emotivi del regista possono essere utilizzati solo come chiavi per penetrare il testo e suggeri- re agli attori le corrette impostazio- ni. Ma sempre escludendo, al di là delle apparenze, una partecipazione personale autentica e immediata. La professione del regista consiste uni- camente "nell'amministrare testi e tempi di lavoro". La prova teatrale non è che "un'operazione eseguita in uno spazio attrezzato allo scopo". Questo è appunto quanto Bergman vorrebbe farci credere. Ma all'im- provviso il quadro si rovescia, ed emerge l'altra dimensione, dove sta il segreto della sua maestria registica. Come i messaggi univoci e precisi che l'attore recitando proietta sul pubblico finiscono poi con il sovrap- porsi e contraddirsi a vicenda crean- do un effetto "stereofonico" di pro- fondità insondabile, cosi il compassa- to rispetto del testo e la fredda meto- dicità di lavoro sono soltanto stra- le, meditato e consapevole del pro- cesso creativo. Ogni particolare, per quanto è possibile, deve essere stabi- lito prima dell'inizio delle riprese, riducendo al minimo lo spazio per l'improvvisazione che a Bergman ap- pare non solo nociva, ma addirittura paralizzante. La sceneggiatura, con- cepita preventivamente a tavolino, ni perfettamente compiute che aspi- rano ad una chiarezza univoca e cri- stallina, finiscono poi con l'ostacola- re il pieno accesso ai territori che, per definizione, si collocano sotto la no- stra coscienza consueta. Il documen- to prevale sul sogno e l'immagine filmica non riesce a riprodurre ade- guatamente i modi e i ritmi della di- Fra marketing e dialogo Le inchieste più utili per il marketing sono quelle che riguardano prevalentemente i non acquirenti, tendono cioè a conoscere chi e perché non acquista un determinato prodotto. Per i beni di mercato a stampa si trova normalmente più facile svolgere l'inchiesta soprattutto o esclu- sivamente fra gli acquirenti-lettori: si può infat- ti distribuire un questionario mediante la stessa rivista, lo stesso libro, lo stesso giornale. Questa differenza negli stili della ricerca marketing può sembrare minima ma è invece grande: una indagine sui propri lettori costrin- ge a qualcosa come un dialogo. E un dialogo da lontano, per spunti e per indizi, ma è pur sem- pre un dialogo. Lo è tanto più per una rivista come L'Indice che vive sul mercato e qui cerca la propria autosufficienza, ma non consiste cer- tamente in una impresa orientata al profitto. Per L'Indice interrogare i propri lettori (questionario inserito nel numero di maggio del 1987, cura e elaborazioni di Abacus, chiusura dello spoglio delle risposte il 12 giugno, discus- sione redazionale sui primi tabulati a metà lu- glio) ha significato non tanto poter conoscere le ragioni del proprio successo o i motivi e le zone di minor successo, quanto sottoporre a verifica la diffusione, la visibilità e la plausibilità pub blica di un proprio preciso programma editoria- le. Fra qualche numero presenteremo i dati al dettaglio (saremo anche forse in grado di con- frontare le preferenze dei lettori con la distribu- zione dello spazio della rivista fra i vari generi di pubblicistica, fra i vari temi, fra i vari oriz- zonti problematici), per ora indichiamo le no- stre prime direttrici di riflessione: 1) il numero dei rispondenti è stato percen- tualmente molto elevato: ca. 2500. Si tratta di una particolare sfera di pubblico, quella dei let- tori continuativi: secondo una nostra stima cir- ca un quarto dei lettori ad alta continuità (circa 1/8 del totale) ha preso la non banale cura di rispondere al questionario e di rispedirlo. La fedeltà nell'acquisto della rivista (che è fenome- no diffuso per gran parte dell'editoria periodica) assume nel nostro caso la valenza di un legame abbastanza profondo. Sembra dunque che L'In- dice, nonostante il suo programma di larghe aperture politico-culturali e la sua ostilità a op- zioni rigide per rigidi clan di lettori, abbia ugualmente guadagnato una base stabile di pub blico simpatetico e partecipante; 2) questa base che per quasi il 50% appartiene al mondo della scuola e di altre professioni di diffusione-produ- zione culturali, è prevalentemente maschile (77%): le lettrici hanno risposto di meno o sono effettivamente poco numerose? In quest'ultimo caso, perché? 3) L'Indice è uria, rivista non popo- lare, ma almeno nazionale: la sua base di letto- ri è per il 35% in Italia Nord-Ovest, per il 24% in Nord-Est, per il 26% in Centro Italia, per il 14% Sud e isole: comparativamente, il grado di equidistribuzione è elevato; 4) fra i rispondenti (lettori continuativi) L'Indice sembra più con- dizionare la selezione dei libri da acquistare che un incremento nella frequenza di acquisto: ma il 18% dichiara di essere stato sollecitato dalla nostra rivista a comprare più libri: forse abbia- mo due pubblici chiaramente distinti. In che cosa sono simili? 5) la letteratura (poesia e nar- rativa) sembra avere la stragrande maggioran- za delle preferenze; scarse le scelte di economia, politica, sociologia, scienze matematiche e natu- rali; a metà strada gli interessi per la storia. Il progetto editoriale de L'Indice si caratterizzò per una volontà di stare paritariamente su tutti questi orizzonti; i dati della ricerca ci dicono che qualcosa, nel dialogo latente fra redazione e lettori, è andato in direzione un po' diversa. Occorre o no un rimedio? (f.r.) menti che permettono alle angosce, ai fantasmi e agli interrogativi più segreti del regista di affiorare con pe- rentoria lucidità. La regia si rivela allora, secondo un'illuminante defi- nizione di Bergman, "una pedante amministrazione dell'indicibile", e il distaccato rigore dei procedimenti di lavoro è appunto predisposto per "tenere sotto controllo il tumulto in- cessante" che l'artista porta in sé. Di qui l'aspetto più suggestivo delle re- gie bergmaniane, che nei loro esiti migliori, sotto una superficie di pre- cisione cristallina dove ogni partico- lare è perfettamente chiarito e ogni sfumatura attentamente misurata, riescono a sollecitare le memorie e le tensioni nascoste e private dello spet- tatore. Questo vale ovviamente non solo per il teatro ma anche per il cinema, a cui Bergman attribuisce si- gnificativamente la duplice dimen- sione di "documento" e di "sogno". Il problema è appunto coniugare la precisione del primo con le capacità evocative del secondo, e ciò richiede da parte del regista un controllo tota- diventa perciò onnipotente. Contie- ne già tutto, perfino le scansioni del montaggio finale: si tratta solo di rea- lizzarla con lucida precisione di fron- te alla macchina da presa. Cosi, filtra- te dal controllo costante del regista che non dovrebbe mai abbandonarsi all'imprevisto e al caso, esperienze e visioni interiori possono depositarsi sulla pellicola, traducendosi in im- magini compiute e perfette. Ma qui emerge il limite del proce- dimento bergmaniano: limite che in fondo è il regista stesso a riconoscere pronunciando un generoso elogio di Tarkovskij, "il più grande di tutti", per la sua capacità di "muoversi con assoluta sicurezza nello spazio dei so- gni". Proprio lo spazio attorno a cui Bergman, come ci spiega nell'auto- biografia, si è ostinatamente aggirato nel corso di tutta la sua carriera re- standone però prevalentemente escluso. Solo qualche volta, avverte, "sono riuscito a intrufolarmi den- tro". Ciò perché il controllo rigoro- so e la consapevolezza totale del regi- sta, indispensabili per creare immagi- mensione onirica. La tensione di Bergman resta in parte irrisolta e la sua grandezza si situa altrove: non nella capacità di evocare i profili e le suggestioni delle visioni sotterranee, ma nel rendere in immagini, con la chiarezza appunto del documento, le esperienze cruciali della vita quoti- diana, traducendole in veri e propri reperti che sollecitano imperiosa- mente lo spettatore a decifrarne i si- gnificati nascosti. La mostra "Quarantanove ritrat- ti" di Tullio Pericoli, allestita da "L'Indice" prosegue il suo itinera- rio. Sarà a Modena, nei locali della Biblioteca di Quartiere San Lazza- ro — Via S. Giovanni Bosco 150 — dal 2 al 15 novembre, apertura 14,30 / 19 tutti i giorni feriali. Il giorno 9 alle ore 10 avrà luogo, nei locali della Biblioteca Civica di Modena, un incontro pubblico fra gli operatori delle biblioteche, Li- dia De Federicis e Riccardo Bello- fiore della redazione della nostra ri- vista. Enciclopedia delle PIANTE D'APPARTAMENTO ajjgStóD U 31 ROB HERWIG ENCICLOPEDIA DELLE PIANTE D'APPARTAMENTO 288 pagine, 925 illustrazioni 44 000 lire PEPI MERISIO DARIO ZANELLI EMILIA Paesaggi, 184 pagine 137 illustrazioni, 49 500 lire EMILIA Montagna PATRICK EDLINGER GERARD KOSICKI ROCK GAMES Arrampicate negli USA 160 pagine, 170 illustrazioni 48 000 lire STEFANO ARDITO ENRICO CAM ANNI RIFUGI E SENTIERI 64 escursioni facili per la scoperta delle montagne italiane 208 pagine, 174 illustrazioni, 64 cartine, 38 000 lire GIANCARLO CORBELLINI FRA VALTELLINA ED ENGADINA Natura cultura escursioni 208 pagine, 164 illustrazioni 32 000 lire Zanichelli