;N. 9 In libreria \A0 a\ ort»**** Gc-0 , rWCCO acW» «VCL à® 232 V3 Iss^ FrancoAngeli pag. 8 Dialetto, storia e geografia di Franco Brevini Delio Tessa, Vecchia Europa, a cura di Cristina Sacchi, premessa di Angelo Stella, Bompiani, Mila- no 1986, pp. 200, Lit. 20.000. toninoguerra,//t>Mggi0 ,poSt- faz. di Dante Isella, Maggioli, Ri- mini 1987, pp. 80, Lit. 12.000. Tolmino Baldassari, A l rivi d'é- ria, prefaz. di Franco Loi, Il Pon- te, Firenze 1987, pp. 88, Lit. 20.000. tute collaborazioni giornalistiche, la cui bibliografia è stata approntata da Dante Isella). "La vita d'ognuno è costituita da un'infinità di elementi staccati" pre- cisa l'autore nelle stesse pagine, di- mostrando come la disgregazione dell'orditura testuale da lui operata nasca dalla stessa percezione che egli aveva della realtà. Il cinema si presta- va forse come nessun altro genere, con la repentinità delle sue transizio- ni, a rappresentare questa frammen- "primavera noeuva" fascista, sugge- risce quel clima di desolazione e di morte ben noto al lettore di Tessa. Alla retorica ottimistica e muscolosa del regime, il poeta oppone la mise- ria di un'umanità provinciale, tor- mentata dal peccato dei sensi. Un clima fosco, in cui le cose e le perso- ne fluttuano perennemente avvolte in una simbolica nebbia, appena ri- schiarato a tratti da squarci di pateti- smo, in cui si impone una elementa- re pietà creaturale. E un feroce ri- Prose di guerra di Piero Del Giudice Vittorio Sereni, Senza l'onore delle armi, All'insegna del pesce d'oro, Milano 1987, pp. 83, Lit. 10.000 Vittorio Sereni, prima della sua scomparsa (10 febbraio 1983), aveva da alcuni anni raccol- to e licenziato per le stampe queste prose ora edite con il titolo Senza l'onore delle armi. E questo — tra l'altro — il terzo volume apparso postumo, dopo Gli immediati dintorni primi e secondi (Il Saggiatore, Milano 1983) e tutta l'o- pera in poesia — accompagnata dalle traduzio- ni da poeti stranieri — uscita in unico volume della collana Lo Specchio (Mondadori, 1986). Si sta, dunque, completando il quadro di riordino complessivo dell'opera di Sereni. Ciò permette una più calma riflessione; comparazioni con i suoi contemporanei (Sereni è nato a Luino nel 1913) e con l'oggi. Il lettore è particolarmente favorito, nel la- voro di messa in relazione, dagli interventi rac- colti in Senza l'onore delle armi. Essi riguarda- no tutti la grande prassi collettiva degli anni della seconda guerra mondiale. Per essere precisi queste prose di Sereni — per altro ben note nella strumentazione di poesia, di ricerca ed anche di pubblico dibattito dell'autore — narrano dei luoghi, dei fatti e delle circostanze della cattura del poeta, allora sottotenente dell'esercito, il 24 luglio '43 in Sicilia, nei pressi di Trapani; della sua prigionia nei campi alleati, in Nord-Africa, Algeria; del ritorno in patria e guerra finita; del ritomo infine — sui luoghi della cattura — dopo 'ventisei anni'. Da questa circostanza viene, tra l'altro, una sovrapposizione di grande suggestio- ne con un poeta carissimo alla generazione di Sereni — Costantino Kavafis — e con un suo mirabile testo, "Na meinei" ('Per rimanere'):... il suo fantasma/ ventisei anni ha valicato. E giunge,/ ora, per rimanere, in questi versi. L'aver raccolto in volume unico queste "pro- se di guerra", senza mediarle dentro le metafore che 'cattura' e 'prigionia' hanno notoriamente disseminato nella poesia e negli atteggiamenti concettuali di Sereni, permette di apprezzarne la strutturazione autonoma, il carattere asciut- to e determinato, il respiro narrativo, le felici tentazioni da romanzo. Permette il paragone con altre opere di narrativa, o altro narratore — certo dispiegato — quale Beppe Fenoglio. Di- spiacerà a chi voglia continuare di Vittorio Se- reni l'interpretazione 'sentimentale' ed 'esile' o a chi tiene Fenoglio nel localismo, ma di tutta evidenza è lo scambio tra questi testi ed il ro- manzo Primavera di bellezza. Qui, anche, lo scioglimento dell'esercito 'senza l'onore delle ar- mi' l'8 settembre del '43 — gli abiti civili ecc. — e poi il protagonismo nella Resistenza, là dove in Sereni la cattura ed il purgatorio del campo di prigionia. Nell'uno e nell'altro molto di più di cronache del Destino ora compatte, ora diva- ricate: l'idea ed il mito — in una generazione — della democrazia, il bisogno di lei e desiderio sino a disporre, a questo fine, anche la vita. La forma' della democrazia non ricalcata secondo i modelli disponibili nell'occidente, ma intuita attraverso la storia e la letteratura occidentali (angloamericana, nel caso) contro le miserie au- tarchiche. Per Fenoglio vanno ricordati — oltre ovviamente, al suo bilinguismo — : Una que- stione privata, nonché le sue applicazioni di studio e fiction sull'esercito riformato di Alberto Consiglio (a cura di), Antologia dei poeti napoletani, Mondadori, Milano 1986, pp. 528, Lit. 28.000. Giovanni Tesio, Piemonte. Val- le d'Aosta, Editrice La Scuola, Brescia 1987, pp. 376, Lit. 19.000. "Osservò l'autore che l'arte cine- matografica per la sua grande mobi- lità e per gli arditissimi voli che essa sola consente, si avvicina ben più al- la lirica che alla drammatica". Que- ste parole, ospitate nelle pagine per il futuro regista, ci propongono un ele- mento di raccordo tra l'opera poeti- ca del milanese Delio Tessa, recente- mente riproposta da Einaudi per le cure di Dante Isella, e le sceneggiatu- re cinematografiche, che egli ap- prontò dietro le suggestioni esercita- te dal nuovo mezzo: Vecchia Europa e Uomini maledetti-Cinema visione, quest'ultima tuttora inedita (ma si rammentino anche gli interessi criti- ci di Tessa verso il cinema, con ripe- tarietà della esperienza, il suo pro- porsi per rapidi accenni, per visioni discontinue, come avviene appunto nei testi del miglior Tessa. Il cinema potè apparire non a torto all'autore come la più fedele "esecuzione" di quelle poesie, che peraltro, con il lo- ro rinviare oltre la pagina, attraverso una perentoria sonorità (da utiliz- zarsi come una partitura — si vedano le pagine per il dicitore) e intensifica- zione del dato visivo, richiamano tanto sovente la forma della sceneg- giatura. Siamo nel 1932. Il poeta milanese ha concluso la sua prima raccolta, l'unica che vedrà alla luce lui viven- te, L'è el dì di mort, alegher!, apparsa nel luglio da Mondadori. Probabil- mente in quella stessa estate matura rapidamente il progetto di Vecchia Europa, definitivamente siglato il 14 settembre 1932, data dell'introdu- zione per il regista (direi più Bres- son, con il suo cattolicesimo, oscura- mente carnale e morboso, che Clair o Carnè). Il titolo Vecchia Europa, allusivamente polemico verso la tratto di un'epoca stagnante, chiusa entro la polarità borghese della chie- sa e del postribolo, nella quale non c'è spazio per l'innocenza. La Roset- ta tessiana non è neppure più un'ani- ma offesa e scandalizzata come era la Ninetta del Verzee. Scende in silen- zio, quasi convinta, anche se piena di orrore, verso l'abiezione. E sulla to- talità di quel dramma dice molto la chiusa del libro ("Qui pover besti! // L'intelligenza de qui besti. // Quand se dis i besti"), in cui un resi- duo di umanità sembra conservarsi soltanto nei gatti del portinaio. Il Tessa coglie acutamente il lega- me che la Chiesa cattolica istituisce, a differenza ad esempio di quanto accade nel protestantesimo, con la materia da una parte e la collettività dall'altra. E in tal senso giustamente raffigura la chiesa come una realtà, che, se affonda le sue radici nel mag- ma di un'epoca — il "mare furioso e limaccioso del mondo" dell'epigrafe tratta da Papini — fino ad invischiar- si in esso, resta peraltro un punto di riferimento vitale nelle tempeste del- la storia. Opera di una fosca bellez- za, restituitaci in un'edizione che potrà forse sollevare qualche margi- nale riserva filologica per quanto concerne talune interpretazioni del testo compiute nella traduzione, Vecchia Europa conferma una volta di più lo spessore del fenomeno Tes- sa, destinato a imporre più di una revisione all'immagine della lettera- tura tra le due guerre. Una ulteriore conferma della per- durante vitalità della poesia dialetta- le è offerta dal nuovo poema di To- nino Guerra, che dirò subito mi sembra il più felicemente risolto fra quelli che compongono la trilogia realizzata dal poeta di Santarcangelo a partire dal 1981 (le tappe preceden- ti sono II miele e La capanna). Quel- lo presentatoci da Guerra è ancora una volta un mondo di rovesciamen- ti simbolici: i due vecchi fanno ot- tantenni, in una stagione allusiva- mente autunnale, il loro viaggio di nozze; la vita più autentica, in armo- nia con le leggi naturali, sorge sulla rovina e sull'abbandono; il mare, le- gato allo stereotipo delle spiagge ro- magnole, diviene la meta di un viag- gio favoloso, ecc. Si impone nuova- mente quello che mi è accaduto di chiamare il lato "orientale" dell'ispi- razione di Guerra, il suo còte magi- co-fantastico. Allentatisi i vincoli di artificiosa necessità che governano l'organizzazione sociale, riaffiora in- tatta la meraviglia dell'esistenza, la sua dolce insensatezza, appunto il "miele" della vita. Di qui l'ambiguità del finale approdo al mare, insieme metafora della morte e della vita, in realtà meta di una quète attraverso cui i termini stessi di morte e vita perdono di significato, confonden- dosi nell'esperienza della partecipa- zione al tempo circolare che governa l'ordine naturale. Particolarmente felice, grazie an- che alla struttura aperta, picaresca, offerta dalla situazione del viaggio, il poema di Guerra è percorso dalla stessa passione per la tutela dei luo- ghi della civiltà contadina che ha ani- mato le battaglie condotte dal poeta, anche attraverso i suoi celebri mani- festi, sul territorio romagnolo. Il dia- letto appare a Guerra la lingua di quella diversa modalità dell'esisten- za elaborata dalla tradizione contadi- na, che il poeta, dietro la sollecita- zione di urgenze ben più pressanti della nostalgia, non si stanca di ricor- dare all'uomo urbano e industriale. L'unica eccezione al di fuori del centro di Santarcangelo, nello scena- rio di una poesia romagnola in cui sembra imperversare una modesta produzione vernacolare, è costituita dall'opera di Tolmino Baldassari, at- tivo in un dialetto di area ravegnana quale quello di Cervia. Con Al rivi d'èria ("le rive d'aria", con ottima prefazione di Franco Loi) Baldassari, confermando la qualità di un'ispira- zione che aveva già fornito buona testimonianza di sé ne La néva ("la neve", Forlì, Forum Quinta Genera- zione, 1982), ci ha dato la raccolta della sua maturità. Sviluppando ulte- riormente le tendenze operanti nella Néva, Baldassari si accosta sempre più ad una poesia di forte rarefazio-