N. 2 pag. 10 ! Un libro «thick» di Guido Almansi Gianni Borgna, Storia della canzone italiana, prefazione di Tullio De Mauro, Laterza, Bari 1985, pp. 340, Lit. 38.000. Il libro di Gianni Borgna affronta un argomento di importanza capita-le nella storia della nostra nazione. Anzi, si potrebbe dire che non esiste un altro fenomeno culturale il quale abbia una influenza così capillare sulla formazione dell'italiano come la canzone. Ci possono essere degli italiani che non hanno mai letto un libro, e forse mai visto un quadro: ma certamente non esiste persona che non abbia mai sentito una canzone, o addirittura che non abbia canticchiato un motivetto almeno una volta in vita sua. Ho sempre pensato che uno studio della canzone italiana (argomento negletto da tutti i lati: sociologico, musicologico, metrico-letterario, linguistico, eccetera) fosse una necessita impellente nella nostra editoria. Da qui la delusione del libro di Borgna che è clamorosamente inadeguato al soggetto. Ci sono in questo volume informazioni vuoi curiose (la parola jazz entra nel linguaggio italiano come jaz con una sola zeta nel 1920, e viene poi definita "musica afro-demo-pluto-giudo-masso-epilettoide"), vuoi affascinanti (sulle evoluzioni redazionali delle parole dell'inno fascista, Giovinezza; o sugli elementi protofemministi del Canto delle donne fasciste). E per me c'è stato un momento di genuina rivelazione: quando ho scoperto che Adagio, Biagio, del 1930, una canzone che conoscevo sin dalla mia infanzia innocente, è basata su un doublé entendre osceno. Ma certo, come mi era potuta sfuggire questa connotazione, data anche l'affinità con la splendida lirica di Polnareff, "Tout doucement le matin et pas trop vite le soir, / Il ne faut pas me bousculer si vous voulez que je vous aime". C'è anche una pagina del libro di Borgna in cui mi sono trovato in entusiastico accordo con l'autore, il quale afferma che Natale Codogotto, in arte Natalino Otto, con i suoi atteggiamenti esterofili, rappresentò per una parte dell'Italia ciò che Vittorini e Pavese furono nel ca npo letterario. Io andrei ancor» >>;ù in là: il cantante di Mister . iraru e di Mamma voglio anch'io tuta fidanzata è stato uno dei nostri padri spirituali, anche per noi che leggevamo Hemingway e Faulk-ner (vorrei chiederlo ai coetanei Umberto Eco e Alberto Arbasino, che sospetto conoscere ancora a me- moria tutto il repertorio di Natalino). Ma qui finiscono le poche gioie del volume (il quale ha anche una bibliografia, una discografia e un sistema di indici ipertrofici ma niente affatto convincenti) e incominciano le molte pecche. Sorvoliamo sul primo capitolo circa le origini della canzone italiana, e ai pochi disastrosi accenni a generi paralleli, come l'operetta (i riferimenti a Offenbach sono degni del Corriere dei Piccoli), dove forse Bor- gna non ha la necessaria competenza; e passiamo al periodo che lo riguarda più da vicino, dopo la prima-guerra mondiale. Roberto Leydi sulle colonne di Tuttolibri ha accusato l'autore di non prestare nessuna attenzione all'elemento musicale delle canzoni; ma io lo accuserei con uguale diritto di non prestare nessuna attenzione all'elemento linguistico o letterario. Certo, da bravo studioso moderno con, immagino, la preparazione sociologica del caso, Borgna riconosce un codice linguistico quando gli se ne presenta uno davanti al naso; e denuncia le parole della Leggenda del Piave (con espressioni quali 'tripudiar', 'onta', 'piano aprico') come auliche e imbevute di retorica; o sottolinea la pastorelleria di Reginella campagnola: ma più in là non si va. Posto di fronte a versi di sublime demenza, e perciò affascinanti nella loro assurdità, come quelli di Creola di Ripp, cantata da Daniele Serra ("La lussuria passa come un vento turbinante / ed i cuori squassa quella raffica fragrante", versi che farebbero la delizia di qualsiasi analista del linguaggio con un senso dell'ironia), Borgna non ha niente da dire. Di fronte a una adorabile canzone da mentecatto come Ma le gambe di Bracchi e D'Anzi,-del.1938 ("Saran belli gli occhi neri / saran belli gli occhi blu / ma le gambe, ma le gambe / sono belle ancor di più"), Borgna commenta stolidamente: Indagine sul giallo di Paola Lagossi Il punto su: Il romanzo poliziesco, a cura di Giuseppe Petronio, Laterza, Roma-Bari 1985, pp. 206, Lit. 13.000. Fare il punto sul romanzo poliziesco significa per Giuseppe Petronio interrogarsi, come lettore e come critico, sulla fortuna di un genere la cui evoluzione si stende quasi tutta sotto i nostri occhi, sbaraccando nel contempo l'apparato che la scienza della letteratura ha edificato intomo alla cosiddetta "paraletteratura". Quest'ultimo impegno, affrontato già nell'introduzione a Letteratura di massa. Letteratura di consumo (Laterza, 1979), è qui circoscritto e teso alla ridefinizione e alla riabilitazione letteraria di un tipo di romanzo che esige parametri nuovi da parte del critico che voglia comprenderne l'enorme diffusione e la sempre rinnovata vitalità. Prima di presentare un'accurata, anche se non del tutto inedita, antologia di Poetiche e Interpretazioni del romanzo poliziesco, firmate da scrittori e critici del genere, Petronio fornisce nella sua vivace e brillante introduzione gli strumenti metodologici necessari per giungere a un nuovo approccio della questione — che cos'è diventato, che cosa è oggi il giallo? — che superi e risolva come falso problema l'antinomia letteratura-paraletteratura. Il suo intento è quello di recuperare, attraverso una concezione dinamica e onnicomprensiva della letteratura (intesa come "attività letteraria"), la paraletteratura, qui specificatamente il romanzo poliziesco; esclusa aprioristicamente dai manuali, essa è stata campo di indagine per sociologi e psicologi, che hanno finito con l'avallarne con i loro studi proprio i caratteri di separatezza che si devono eliminare per studiarla, fornendo un'ulteriore giustificazione dello status quo. Così le analisi condotte a partire dagli anni Sessanta sul romanzo poliziesco e sul romanzo popolare da Tzvetan Todorov, da Jean Tortel e dai loro seguaci (i "todorovini e tortellini nostrani", pag. 13) ne hanno delineato tipologie costanti e caratteristiche strutturali ripetitive, presupponendo e concludendo che non di letteratura appunto si stava parlando. Allora non si tratta solo di risolvere un fittizio problema di etichette e di aggiornare definizioni, ma di operare una revisione di schemi che paiono connaturati alla scienza della letteratura e che portano con sé cieche e fuorviami valutazioni pregiudiziali, sottese come sono da una concezione dai connotati classisti di letteratura "alta"e letteratura "bassa". Il discorso di Petronio pertanto procede seguendo le vicende storiche del romanzo poliziesco e della critica che lo ha accompagnato, senza scrivere una storia del genere in questione, ma soprattutto senza perdere di vista l'orizzonte entro cui esso è andato via via collocandosi, mostrando duttilità nei suoi schemi e ricettività alle sollecitazioni dei tempi. Definito il romanzo poliziesco mediante le sue caratteristiche costan-ti (crimine, indagine, soluzione), ma non così rigide da non consentire un pressocché infinito numero di varianti, una prima osservazione di rilievo constata che tra gli elementi caratterizzanti è il terzo — la soluzione — ad aver subito la trasformazione più profonda dal tempo di E.A. Poe e Conan Doyle a quello di Dùrren-matt e Sciascia: tale trasformazione ha impresso una svolta radicale al genere, introducendovi le inquietanti prospettive di un romanzo "aper-to". La compresenza e l'avvicendarsi di costanti ■■H —— La cometa di Halley annuncia l'arrivo del 2° numero di SEAGREEN scienza /società /istituzioni/economia /fantascienza /storia /arte musica / letteratura/poesia. La rivista più lucida di fine secolo intuita da: Giampiero Alloisio /Jean Baudrillard / Paolo Brunetti / Giovanni Cammelli Giuseppe Cannata / Giorgio Celli / Nino Filasti) / Gian Marco Montesano / Roberto Monti Amedeo Piperno / Paolo Pozzi / Stefano Saviotti / Tommaso Sorrentino / Francesco Spisso Giorgio Vernizzi Hanno dichiarato: Dal 20 febbraio in tutte le librerie Feltrinelli a lire 8.000 o richiedendola alla redazione, via Bellombra 1, 40136 Bologna. Numeri arretrati lire 13.000. "una canzone nella quale si inneggia finalmente alla donna in tutta la sua fisicità". A me sembra invece che la parcellizzazione del corpo femminile e l'equivalenza insensata fra l'erotismo patente delle gambe e l'erotismo latente degli occhi sia una negazione della fisicità. Che il critico vada a persuadere una femminista sui meriti di questo inneggiamento. A Borgna sfugge totalmente il fascino pericoloso di ciò che è stupido, che è parte integrante del nostro rapporto con la canzone. Non mi riferisco alle canzoncine del Trio Lescano o di Silvana Fioresi, che Borgna qualifica come 'nonsense songs': L'uccellino della radio, Evviva la torre di Pisa, Pippo non lo sa o Ciccio formaggio, canzoni che esibiscono la loro insensatezza e possono solo essere lette come canzoni beatamente stupide. No, penso invece alle canzoni serie o semiserie che nascondono sotto la patina di rispettabilità della sensatezza un meraviglioso tesoro di idiozia, che è quello a cui veramente attingiamo quando diciamo, per esempio, che "ci piace" Grazie dei fior o Tu, musica divina. Cosa vuol dire "ci piace"? Ci sarà bene una differenza fra il modo in cui "ci piace" Mare-chiare e il modo in cui "ci piace" Un'ora sola ti vorrei. Borgna registra l'indice di ascolto della collettività e l'indice di gradimento dell'individuo come se fossero dei dati assoluti da inserire sulla doppia colonna del dare e dell'avere, mentre si tratta di indici altamente sofisticati e in costante dipendenza dal registro dell'ironia. Temo che mi sia capitato di dire che "adoro" Conosci mia cugina, o Anna, Carla e Lilla: due canzoni formative per la mia educazione intellettuale e sentimentale; ma non mi passerebbe nemmeno per il capo affermare che queste due canzoni sono "belle". Le adoro perché sono così adorabilmente brutte e stupide. Io sono disposto a rinunciare a molte sublimi esperienze estetiche per il piacere di ricordare — o di canticchiare — Ba-ba-baciami piccina, ma so anche prendere il necessario distacco da quella strepitosa idiozia. Borgna non è né uno storico né un critico né un esteta della canzone, ma un ragioniere con il segreto vizietto di molti ragionieri: il sentimentalismo e il basso romanticismo. Non si può negare però all'autore della Storia della canzone italiana di essere imbevuto dello stile di quelle canzoni: il suo linguaggio critico è affine a quello del suo soggetto, irto come è di cliché, di frasi fatte, di improvvise scivolate nella palude dell'implausibile poetico. Di canzoni, "una più bella dell'altra", "ce n'è per tutti i gusti", scritte da un ragazzo a cui "non mancava la stoffa", e così "in men che non si dica" il cantautore "non se lo fece dire due volte" e "immortala figure e luoghi" della sua città. Questo centone di citazioni borgniane è abbastanza rappresentativo dello stile dell'autore; anzi, 'emblematico', o 'paradigmatico', per adoperare due aggettivi favoriti dal nostro. Quando non si voglia arrivare alla squisitezza del 'metalinguistico': Quando la radio di Prato e Morbelli e Quando canta Ra-bagliati di Galdieri e D'Anzi sono splendidi esempi di "canzone metalinguistica" (in questo caso, il "Chi son"? di Rofoldo nella Bohème è decisamente esistenzialista). Come i testi delle canzoni insensate che fanno parte della sua ricerca, anche la prosa di Borgna ha dei momenti memorabili, come nel passo in cui la frangetta di Juliette Greco "le copriva quasi interamente il volto" (per questo era soprannominata 'donna spinone'), o nella pagina in cui il Trio di Renato Carosone "comincia a interessare gli appassionati di musica, tanto che in breve deve trasformarsi in Quartetto" ("Quando amplierete vo tre petit orchestre?" è la celebre battuta della moglie di un ambasciatore, che intratteneva in una sede diplomatica un quartetto d'archi). Ma per arrivare alle supreme delizie di questo volume bisogna affrontare l'area della poesia, specialmente laddove lo spirito poetico del cantante si unisce a quello del critico. Eh sì, senza la Poesia non si arriva mai alla perfezione della cattiva scrittura. Avremo così il ritornello di Chiove "che è come un pallido raggio di sole in mezzo alle nuvole piovose", In cerca di te come "sintesi della condizione umana", mentre i versi di Claudio Baglioni "conferiscono uno spessore metafisico alla banalità della vita quotidiana"; e, per confermare questa travolgente illuminazione critica, Borgna cita alcuni di questi versi: "Cos'è che mi spezza il cuore tra canzoni e amore / e che mi fa cantare e amare sempre più /, perché domani sia migliore perché domani tu / strada facendo vedrai". Lo diceva Borgna che erano metafisicamente "spessi" (in inglese, "thick"). □