Il Libro del Mese Le famiglie, i movimenti, le tre Italie Paul Ginsborg, Storia d'Italia dal dopoguerra a oggi, Società e politica 1943-1988, Einaudi, Torino 1989, pp. XII-622, Lit 40.000. Di fronte a una sintesi del quaran- tennio repubblicano come quella proposta da Paul Ginsborg viene in primo luogo da domandarsi perché in una impresa analoga non si sia cimen- tata la storiografia italiana. La rispo- sta va probabilmente cercata nel pre- giudizio evidentemente assai duro a morire contro le sintesi: lo condivi- dono sia — e sono la maggioranza — i cultori del monografismo esaspera- to, dove la quantità delle fonti inedi- te fa premio sullo spessore interpre- tativo, sia i sostenitori di un approc- cio più aggiornato e scientifico, che guardano con condiscendenza ai la- vori di alta divulgazione. Il risultato è che le sintesi, quando non sono di tipo manualistico, vengono conside- rate terreno di riserva dei giornalisti. Una sintesi storica sull'Italia re- pubblicana non può naturalmente non riflettere le caratteristiche della produzione esistente, che è perfino ridondante per gli anni quaranta e i primissimi anni cinquanta e poco più che inesistente per i decenni succes- sivi. Basta un'occhiata all'apparato di note della ricerca di Ginsborg per rendersene conto: i lavori degli stori- ci praticamente scompaiono nel se- condo volume e vengono sostituiti dalle analisi degli scienziati sociali. I pregi di una sintesi non vanno cercati nell'utilizzo di fonti docu- mentarie nuove ma nella sistemazio- ne critica in quelle esistenti e nella persuasività del taglio interpretati- vo. Ginsborg esibisce al riguardo le qualità migliori della tradizione sto- riografica anglosassone: informazio- ne ineccepibile, equilibrio, leggibili- tà, attitudine a sciogliere i nodi più complessi moltiplicando i punti di vi- sta e tuttavia non rinunciando mai ad esprimere con chiarezza il proprio giudizio. Colpisce soprattutto la ric- chezza della letteratura esaminata; ed è davvero un peccato che il libro possieda un'utile appendice statisti- ca ma manchi di una bibliografia, che sarebbe stata uno strumento di lavo- ro prezioso. Ma Ginsborg non è sol- tanto un italianista di prim'ordine — va almeno ricordato il volume su Da- niele Manin e il '48 — è uno studioso che conosce e ha vissuto l'Italia in modo culturalmente e politicamente partecipe. Deriva da questa frequen- tazione l'impianto gramsciano che sorregge implicitamente la sua lettu- ra della società italiana del dopoguer- ra, aggiornato e contaminato con i contributi più significativi prodotti della cultura storica, sociologica, an- tropologica della sinistra nel periodo. Nuovo è comunque il tentativo di dare rilievo centrale non ai dati della vicenda politica in senso stretto — che pure ricevono un'attenzione rile- vante — ma agli aspetti sociali che caratterizzano la "grande trasforma- zione" del paese, che Ginsborg assu- me come "vera protagonista" della sua ricostruzione. Nuova è la centra- lità che riceve il rapporto tra famiglia e società. Nuova è infine, per il do- poguerra italiano, l'utilizzazione sto- riografica dello schema di Arnaldo Bagnasco sulle "tre Italie" per ana- lizzare le differenze negli sviluppi re- gionali a preferenza della divisione tradizionale tra Nord e Sud. Il capitolo sul "miracolo economi- co" è naturalmente il cuore del libro: non solo per la descrizione puntuale delle sue origini, dei suoi costi e dei suoi effetti ma perché illustra la na- tura del processo di modernizzazione tipico dell'Italia, nel quale conflui- scono tendenze e continuità di più lungo periodo. Per Ginsborg si è trattato di una "rivoluzione sociale" di cui sono state protagoniste le gran- di masse che hanno scardinato la struttura preesistente degli insedia- menti territoriali, anche se i flussi di Nicola Gallerano cente, con maggiori ambizioni e un impianto più sofisticato, da Carlo Tullio Altan. In primo luogo perché il ruolo della famiglia è per Ginsborg ambivalente-, a seconda dei contesti e delle classi prese in considerazione, la famiglia gioca sul versante del- l'allargamento della solidarietà o vi- ceversa su quello della chiusura e dei Tutti a casa di riforma. La storia del dopoguerra dimostra al contrario secondo Gin- sborg che le riforme sono state all'or- dine del giorno soltanto quando pro- poste dall'iniziativa organizzata dei diversi soggetti sociali. E avvenuto una prima volta nel 1943-1948; una seconda negli anni sessanta, nella fa- se del centro-sinistra; una terza tra il di Paul Ginsborg Quello che segue è un estratto dal libro di Paul Ginsborg Storia d'Italia dal dopoguerra a oggi, Einaudi, pp. 559-560. Se concentriamo ulteriormente lo sguardo sul- la famiglia stessa, possiamo rilevare come siano intervenuti, in ciascuna delle «tre Italie», signifi-. cativi mutamenti nella sua struttura e nelle sue dinamiche. La famiglia in Italia, come ovunque in Europa, ha continuato a contrarsi: all'epoca del censimento del 1981 la media era quella di tre membri per famiglia, una media che arrivava al 2,8 nel Nord-Est e saliva al 3,3 nel Sud. Il 45,7 per cento delle famiglie italiane aveva nel 1981 due o tre componenti, il 17,8 per cento ne aveva uno solo, mentre i nuclei di cinque o più persone sono scesi dal 21,5 del 1971 al 14,9 per cento del 1981. Le famiglie estese sono anch 'esse diminuite, dal 16,9 del 1971 all'11,2 per cento di dieci anni dopo. In Italia il tasso di natalità è sceso in misura avvertibile. Dopo il picco di na- scite raggiunto nel 1964 con 1.032.000 neonati, si è gradualmente arrivati ai 552.000 nuovi nati del 1987, la cifra più bassa tra tutti i maggiori paesi europei. Anche se le famiglie italiane stanno diventan- do più piccole e più «nucleari», molte recenti ri- cerche hanno sottolineato il persistere di forti le- gami parentali. Il fenomeno dell'abbandono de- gli anziani, già osservato da Pizzomo a Rho nel 1959, non sembra essersi generalizzato. Anche nei contesti urbani i nonni italiani partecipano in misura notevole alla cura dei nipoti; non appe- na la generazione più vecchia è minacciata dalla debolezza o dalle malattie, essa riceve spesso una considerevole quantità di attenzione e di assi- stenza, soprattutto da parte delle figlie e delle lo- ro famiglie. Anche altri parenti, inoltre, sono fre- quentemente coinvolti nella vita della famiglia. Negli anni '70 e '80, la crescita del reddito del- la maggioranza delle famiglie italiane è stata così marcata che Giuseppe De Rita ha potuto parlare di una pietra miliare nella storia della famiglia italiana. È sicuramente vero che la famiglia ita- liana ha oggi più successo che non nel passato in tutte le sue attività economiche: come luogo di produzione del reddito, di risparmio e accumula- zione, ma anche come esempio di lavoro e im- prenditorialità. Nello stesso tempo, è dal periodo della guerra che i giovani italiani non sono orien- tati in senso così familiare come adesso. Il deside- rio di autonomia della maggior parte dei giovani del Nord urbano e la parziale sfida all'istituzio- ne-famiglia dei tardi anni '60 e dei primi '70 han- no lasciato il posto a un nuovo attaccamento al- l'unità familiare. I ragazzi continuano a rimane- re a casa fino all'età adulta ed oltre, mentre la fa- miglia tende ormai a strutturarsi in modo tale da produrre reddito e soddisfare i propri bisogni at- traverso l'attività di tutti i suoi membri. Due in- dagini condotte sui giovani tra i quindici e i ven- tiquattro anni, pubblicate nel 1984 e nel 1988, hanno mostrato che tutti i settori della gioventù italiana hanno comunque messo in testa alla pro- pria scala di valori la famiglia. L'impegno socia- le e religioso e l'attività politica risultano invece all'ultimo posto. H migratori e gli spostamenti di popo- lazione sono stati una costante della storia sociale del paese; e hanno cam- biato irreversibilmente i connotati e i valori della società italiana. Peculia- re di questo processo di modernizza- zione, dai caratteri di accentuata spontaneità, è la natura privatìstica e individualistica dei valori che ne ven- gono esaltati, con particolare riferi- mento ai soggetti che ne saranno i maggiori e più convinti beneficiari: i ceti medi. A differenza che altrove la modernizzazione degli anni sessanta non si tradusse però nel successo di un progetto di integrazione sociale, come dimostrò l'emergere di un con- flitto durissimo nelle fabbriche. Discende da questa attenzione agli aspetti sociali del dopoguerra ita- liano U rilievo che assume il nesso fa- miglia-società. Incorrerrebbe tutta- via in un grosso fraintendimento chi leggesse l'insistenza sulla famiglia e i suoi valori come un banale appiatti- mento della vicenda italiana sulla vecchia tesi del "familismo amorale" cara a Banfield e rinnovata più di re- vantaggi individuali. Ginsborg è sta- to buon lettore di ricerche come quelle della Piselli sull'emigrazione meridionale e di Donaldo e Turnatu- ri sui movimenti degli anni ottanta: questi ultimi hanno non a caso parla- to dell'esistenza di "familismi mora- li". In secondo luogo perché la fami- glia non è assunta come un microco- smo passivo che subisce o frena la trasformazione ma come soggetto at- tivo del mutamento. Un mutamento anch'esso contraddittorio, il cui ap- prodo è una modernizzazione econo- mica e sociale senza modernizzazio- ne politica. Due tesi complementari sostanzia- no infatti l'assunto politico dell'inte- ro lavoro: l'impossibilità dellè rifor- me ma insieme l'impossibilità di bloccare, almeno fino agli anni ottan- ta, il protagonismo sociale. Questa duplice impossibilità non viene argo- mentata, come nella pubblicistica più corriva, imputando alla pressione disordinata e "sovversiva" dal bas- so, nemica della "modernità", la mancata realizzazione degli obiettivi 1968 e la metà degli anni settanta. In tutti e tre questi casi le iniziative di lotta e di trasformazione non hanno ottenuto uno sbocco politico adegua- to. Come scrive Ginsborg: "Se c'è un tema nella storia politica italiana del dopoguerra che si ripropone qua- si ossessivamente, è proprio quello della necessità delle riforme e del- l'incapacità di attuarle" (p. 64). Ma Ginsborg non si è limitato a sostituire l'antica tesi delle occasioni rivoluzionarie mancate con quella delle occasioni riformiste perdute, che sarebbe tesi altrettanto povera sul versante analitico. Gli stessi tre casi indicati vengono analizzati con grande equilibrio; e le responsabilità del fallimento distribuite nella con- sapevolezza piena dei rapporti di for- za effettivi. Così, nell'esaminare i ri- sultati della crisi del 1943-1945 Gin- sborg riconosce l'inferiorità del mo- vimento operaio rispetto al fronte capitalista"; mentre nello spiegare le cause del mancato successo sul terre- no politico del ciclo di lotte che si apre con il Sessantotto mette l'accen- to sul fatto che quel movimento, che propugnava "l'anticapitalismo, il collettivismo e l'egualitarismo" e combatteva "l'autorità e il consumi- smo eccessivo", era in diretto con- flitto con il percorso della moderniz- zazione italiana, che esaltava valori esattamente contrari. Solo per gli an- ni sessanta il giudizio chiama in cau- sa pesantemente le timidezze e le in- capacità dei governi e della classe po- litica che non sono in grado neppure di realizzare quelle che Ginsborg de- finisce riforme "correttive". Il ridimensionamento di alcune fi- gure di leaders politici — da Togliat- ti a Nenni, da Moro a Berlinguer — è certamente uno dei risultati della ri- cerca di Ginsborg. Risultato tanto più apprezzabile in quanto contrasta opportunamente, e con efficacia, le tendenze apologetiche delle rispetti- ve pubblicistiche e storiografie di partito. Ma Ginsborg è storico trop- po fine per ridurre la vicenda italiana agli opportunismi degli uomini di go- verno o ai "tradimenti" dei capi del- l'opposizione. Dalle sue pagine paca- te emergono con chiarezza la natura aspra dello scontro sociale che attra- versò la storia del dopoguerra; e i successi, le battute d'arresto e le sconfitte dei movimenti di opposi- zione, fino alla più recente che appa- rentemente segna la fine del "caso italiano". C'è una testimonianza di questa sconfitta, che parla per così dire da sola: quella (1980) del delega- to Fiat Giovanni Falcone, alla vigilia del licenziamento, che per l'ultima volta si rivolge ai suoi compagni del consiglio di fabbrica — interrotto e invitato a concludere, con rara sensi- bilità, da un leader sindacale — e ha la piena consapevolezza, e lo dice, che "si chiude un'epoca" (pp. 544- 545). Ma il passaggio a una riconsidera- zione storica del nostro recente pas- sato è avvenuto solo per metà. Lo schema domanda (sociale) mancata risposta (politica) è troppo semplice e troppo linearmente applicato. La centralità assegnata alla dimensione sociale, se non approda a un'impro- babile giudizio di "innocenza", ten- de a far coincidere il protagonismo dei diversi soggetti con l'opposizione e la lotta. La stessa attenzione al ruo- lo della famiglia e alla sua ambivalen- za non sempre riesce a cogliere che l'ambivalenza è davvero intrinseca e che le famiglie spesso giocano con- temporaneamente sul terreno della so- lidarietà e su quello dell'individuali- smo. Queste riserve si applicano me- no al capitolo sul "miracolo econo- mico" dove il processo di modernizzazione viene analizzato, come abbiamo visto, nei termini di una "rivoluzione sociale" che non è la stessa cosa dell'opposizione e della lotta. Né va dimenticato il contribu- to che Ginsborg porta a una valuta- zione critica della capacità della De- mocrazia Cristiana di organizzare il consenso proprio sui lavori emersi nel corso di quel processo di moder- nizzazione: la sua paradossale abilità, già avviata nel decennio degasperiano, nel conciliare cattolicesimo, america- nismo e fordismo. Ma queste acute os- servazioni non riescono a diventare la chiave interpretativa centrale proprio a causa della pervasività dello schema appositivo società/politica. Nonostante queste riserve — che segnalano soprattutto l'arretratezza della ricerca italiana — la sintesi di Ginsborg si muove nella direzione giusta e consegna alla storiografia del dopoguerra un lavoro che è assai più che un ottimo punto di partenza.