N. 8 pag. 15 i Tra spettacolo e arte di Cesare Molinari Pierre Francastel, Guardare il teatro, Il Mulino, Bologna 1987, a cura di Fabrizio Cruciani, trad. dal francese di Brunella Torre- sin, pp. 240, Lit. 20.000. I saggi raccolti in questo volume sotto un titolo fuorviarne e incon- gruo sono stati scritti da Pierre Fran- castel tra il 1952 e il 1967, in un pe- riodo quindi successivo alla sua ope- ra forse di maggiore impegno Peintu- re et Société, che risale al 1951 (trad. it. Lo spazio figurativo dal Rinasci- mento al cubismo, Einaudi 1967). Del primo capitolo di Peinture et So- ciété, quello intitolato La nascita di uno spazio, alcuni saggi di Guardare il teatro possono essere per qualche verso considerati continuazione e complemento. Il primo e l'ultimo hanno carattere più squisitamente metodologico e teorico, l'uno ver- tendo sul ruolo e sul significato delle arti visive nel quadro generale di un'epoca e di una civiltà, mentre l'al- tro esamina il rapporto spaziale e co- municativo tra il pubblico e la scena. I rimanenti lavori hanno invece ca- rattere storico, anche se considera- zioni di ordine generale, teorico e filosofico si intrecciano fittamente con l'esposizione e l'interpretazione dei fatti e dei fenomeni: il tema quasi esclusivo (con un'unica, ma poco ri- levante eccezione) ne è l'arte italiana del Quattrocento vista nei suoi rap- porti con la cultura, la società e, be- ninteso, lo spettacolo. Ci sono inol- tre 16 schede (tratte proprio da Pein- ture et Société), commento ad altret- tante riproduzioni di opere partico- larmente significative, le quali però, in quanto materiale illustrativo, sa- rebbe proprio meglio che non ci fos- sero, tanto sono assurdamente inde- cifrabili. Sarà bene comunque incominciare proprio dall'ultimo saggio, perché è l'unico che ha per soggetto primario il teatro e perché il suo titolo (Il tea- tro è un'arte visiva?) richiama abba- stanza esplicitamente, ma senza ci- tarli, analoghi titoli di C.L. Rag- ghiami, risalenti peraltro agli anni tra il 1933 e il 1950. Francastel vi afferma appunto che il teatro è un'arte "fondamentalmente" visiva, in quanto non si dà senza la visualiz- zazione (ma la visualizzazione di qualcosa: il testo), ma soprattutto ri- prende e sviluppa una distinzione che era già apparsa occasionalmente più di una volta nel corso del libro, la distinzione fra teatro e spettacolo: il teatro è senza dubbio spettacolo, ma non lo esaurisce, e il rapporto qualitativo e quantitativo fra teatro e spettacolo va determinato e valutato storicamente. Si può dire anzi che il teatro, quale lo ha conosciuto l'età contemporanea, erigendolo quasi a ipostasi assoluta dell'idea stessa di teatro, composto di scena cubica e di sala all'italiana, è una creazione ab- bastanza recente: risale, per quanto riguarda la scena, ai primi anni del Cinquecento, ed è stato istituziona- lizzato, nella sua complessa integri- tà, nei due secoli successivi. Non sembra, quest'ultima, un'i- dea del tutto nuova, neppure per gli anni in cui scriveva Francastel. An- zi, era materia corrente della storio- grafia evoluzionista di origine positi- va, l'ammissione che nei secoli bui dell'alto Medioevo il teatro fosse scomparso dal quadro della civiltà occidentale, per riapparire poco pri- ma del Mille nel convento di San Gallo con i tropi del monaco Tutilo- ne — quasi una seconda nascita, che ripeteva la prima nella conche reli- giosa da cui il teatro avrebbe tratto origine (dionisiaca nell'antica Atene, cristiana nell'Europa medievale). Tuttavia la coincidenza è più appa- rente che reale: quegli storici allude- vano ad una presunta morte e resur- rezione del dramma; Francastel si ri- ferisce all'edificio teatrale, e in parti- colare alla scena. Ne consegue che per tutto il corso del basso Medioe- vo, e ancora nel Quattrocento, il rapporto fra teatro e spettacolo è de- cisamente squilibrato a vantaggio di quest'ultimo, ove nello spettacolo sono compresi cortei e processioni, feste folkloristiche e cortigiane, ta- bleaux vivants e le più diverse mani- dei Quattrocento, l'elaborazione di gran parte dei motivi che saranno assunti e sviluppati in termini figura- tivi dalla pittura proto-rinascimenta- le. In duplice ordine: tematico e og- gettuale. Nell'ordine tematico lo spettacolo allestisce drammatica- mente, nella paraliturgia festiva e nelle processioni, come nei misteri, la narrazione evangelica e agiografi- ca: i pittori non si rivolgono quindi direttamente ai testi, ma ai testi in quanto già formalmente mediati dal- lo spettacolo; come d'altra parte gli spettacoli profani propongono al- l'arte figurativa visualizzazioni di nuovi riti paganeggianti. Nell'ordine oggettuale il ragiona- mento è forse più complesso: sull'i- Figlioccio di Pirandello di Angela De Lorenzis Paolo Puppa, La morte in scena: Rosso di San Secondo, Guida, Napoli 1986, pp. 191, Lit. 16.000. In occasione del centenario della nascita di Rosso di San Secondo, che fu uno degli esponen- ti più significativi del teatro italiano tra le due guerre, Paolo Puppa ripropone i testi di due commedie particolarmente rappresentative del- l'opera dello scrittore (Marionette, che passio- ne!, del 1918, e Lo spirito della morte, del 1929), introducendoli con un ampio saggio in cui ripercorre l'intero itinerario artistico del drammaturgo. Stimato da Pirandello, che rappresenta per lui una sorta di padrino letterario, Rosso di San Secondo risponde al prototipo dell'artista senza radici che stabilitosi in un primo tempo a Ro- ma compie lunghi viaggi per l'Europa e vive per molti anni in Germania sviluppando uno stile di scrittura particolarissimo che rimarrà forte- mente impregnato dagli umori di oltre confine. Attraverso numerose provocazioni e sollecita- zioni sorrette da una copiosa rete di note biblio- grafiche Puppa individua lucidamente gli ele- menti di contaminazione con le avanguardie storiche che permettono di riportare i temi e le figure di Rosso di San Secondo al più vasto clima europeo: dalla tradizione neogotica di fi- ne Ottocento al futurismo, dai reciproci sottili scambi con l'opera dello stesso Pirandello fino alle determinanti suggestioni dell'espressioni- smo tedesco e alla tardiva, ma estremamente precisa, influenza esercitata sulla parte più seni- le della sua produzione dalle direttive dell'ideo- logia fascista. In questa prospettiva Marionette, che pas- sione! e Lo spirito della morte costituiscono i due punti di riferimento essenziali per com- prendere lo sviluppo dello stile drammaturgico di Rosso di San Secondo. Mentre nella prima commedia, che impone l'autore trentunenne al- l'attenzione del pubblico italiano, le contraddi-, zioni irrisolte e le dilacerazioni tra coppie anti- tetiche quali passione-saggezza, morte-riso pene- trano la scrittura scenica e animano ancora la dialettica indispensabile alla sopravvivenza del- la dinamica teatrale, avvicinandosi all'epoca della stesura dello Spirito della morte Rosso di San Secondo si allontana dalla solidità delle forme oggettive e si rifugia in un mondo di figure spettrali, in cui la dimensione allucinato- ria si fa scudo contro la materia che sembra dissolversi nelle nebbie e nei crepuscoli delle sce- ne surreali. Il Personaggio, già ridotto a mera etichetta in Marionette, che passione!, dove peraltro si suicida simbolicamente in scena, assi- ste nello Spirito della morte alla definitiva pol- verizzazione dell'Altro e la sua solitudine deli- rante diventa metafora di un'inquietante ri- nuncia alla comunicazione e dell'impossibilità della drammaturgia di basarsi sul dialogo. Que- sta commedia rappresenta così una sorta di spartiacque simbolico rispetto all'opera successi- va di Rosso di San Secondo che, condizionata dall'ideologia del regime, è tesa verso una nuo- va, artificiale apertura a paesaggi più limpidi ed edificanti ed al ricupero consolatorio dei miti di una classicità rivisitata. dell'avere tra spettacolo e arte figura- tiva, né di un rovesciamento (del re- sto già preventivamente effettuato da Emile Màle) delle tesi del Kernod- le (From art to theatre, 1944), anche se certe forzature e perfino certi ab- bagli (il raggio della stella scambiato per l'asta di sostegno di una nuvola nell'Adorazione dei Magi del Mante- gna) possono farlo credere. Si tratta invece di riconoscere nello spettaco- lo un piano di realtà "intermedia" e già organizzata culturalmente, che si propone allo sguardo del pittore, il quale la interpreta figurativamente così come interpreta la realtà percet- tiva e naturale, poiché il realismo non consiste nella riproduzione di una presunta oggettività, ma nella convergenza interpretativa di una determinata epoca o di un determi- nato gruppo sociale. All'allestimen- to di questa realtà intermedia hanno concorso nel Quattrocento non sol- tanto volontà artistiche, ma altresì volontà ideologiche e politiche. In particolare nella Firenze del Magni- fico Lorenzo c'è stato un grande sforzo per costituire questo piano dello spettacolo a livello popolare non più sulla base della ritualità pa- raliturgica cristiana, ma invece sulla base di una nuova ritualità neo-paga- na: le feste di maggio, alla cui rivisi- tazione e rifondazione concorsero, a livello letterario, le canzoni del Poli- ziano e dello stesso Lorenzo, costi- tuirono l'epicentro di questo sforzo, che, se fosse riuscito e se avesse dura- to, avrebbe potuto sviluppare l'ispi- razione popolare e liberale del Rina- scimento, a scapito di quella aristo- cratica e autoritaria, che finì per trionfare e che trovò la sua espressio- ne teatrale nella scenografia prospet- tica serliana e nel teatro al chiuso. A queste feste guardò tra gli altri Botti- celli, dandone una magica interpre- tazione pittorica nella Primavera. Una cosa deve essere chiara: que- sto libro non è un libro di storia del teatro, né di metodologia dello spet- tacolo. E non perché l'attenzione concessa al teatro e allo spettacolo sia di poca rilevanza, tutt'altro; ma perche il punto di vista che l'autore assume in tutti i saggi che lo costitui- scono (tranne l'ultimo), il piano del- lo spettacolo, non vi è intermedio tra la realtà percettiva e la figurazio- ne in forza di una struttura oggetti- va, ma semplicemente per il fatto che l'autore assume il punto di vista degli artisti figurativi. Avesse assun- to quello degli allestitori di spettaco- li il piano intermedio sarebbe stato costituito dalle arti plastiche, attra- verso cui gli allestitori hanno pure, certamente, guardato alla realta. Né si tratta di un errore o di scarsa dut- tilità, ma di una scelta precisa e re- sponsabile. festazioni civili e religiose. Quest'i- dea, ricavata in gran parte dall'anali- si delle ponderose ricerche del D'Ancona, e che avrebbe potuto es- sere approfondita ed estesa sulla base di altre, non meno miracolose ricer- che come quella del Chambers (Me- dioeval Stage, 1901), è uno dei più validi e importanti puntelli dei saggi di carattere storico. Essa è forse per- seguita con un eccesso di coerenza, proprio perché basata sull'identifica- zione di teatro e scena cubica all'ita- liana: si finisce per non distinguere più fra le manifestazioni spettacolari ricordate sopra e le Sacre Rappresen- tazioni (o i Misteri), che invece non possono essere esiliate dal territorio del teatro propriamente detto, se non in forza di una definizione trop- po storicamente limitata. Ma per il discorso di Francastel questa distin- zione può anche non essere conside- rata decisiva. La tesi centrale del suo ragionamento storico è infatti che nell'area dello spettacolo (o del tea- tro più lo spettacolo, se si preferisce) ha luogo, nel corso del Medioevo e dea di oggetto Francastel è ritornato spesso nel corso della sua opera, e soprattutto in Art et technique, 1956 (L'arte e la civiltà moderna, Feltri- nelli 1959), dove discute a lungo del- l'arte industriale e quindi dei suoi prodotti appunto oggettuali. Distin- gue, anche se in modo non sistemati- co, tra oggetto materiale, oggetto plastico, oggetto figurativo e oggetto di civiltà, attribuendo a quest'ultimo il significato più ampio. Nel Medioe- vo e nei primo Rinascimento lo spet- tacolo crea tutta una serie di oggetti di civiltà, dalle mansiones scenografi- che dei Misteri, che permettono la duplice visione esterno-interno, agli accessori come le nuvole, le mandor- le, gli stendardi e via dicendo. Tutti questi oggetti vengono, con varie funzioni, assunti dall'arte pittorica e ridotti a oggetti figurativi, perdendo il loro valore utilitario per accentua- re quello più squisitamente simboli- co. Essi formano un sistema al di fuori del quale il loro significato non è più comprensibile. Non si tratta semplicemente del conto del dare e 1=1_ EDIZIONI I.AVQRQI Leo Marx LA MACCHINA NEL GIARDINO Tecnologia e ideale pastorale in America Un'analisi ormai classica del conflitto tra valori dell'industrializzazione e mito dell'America «giar- dino». EDIZIONI LAVORO