[INDICE ■■dei libri del mese■■ pag- // Libro elei Mese Disponibile ad altro di Giulio Schiavoni Esce postumo, soltanto ora, il ro- manzo di Furio Jesi L'ultima notte. E postuma era uscita nel 1982 un'ila- re e delicata "fiaba", scritta a Micene nel 1960, appartenente anch'essa al comune filone della letteratura vam- ! lirica, dal titolo La casa incantata A. Vallardi, Milano), innestata sulle giocose fantasmagorie e metamorfo- si prodottesi in "una notte" in cui gli oggetti del buffet prendono ad ani- marsi, riprendendo poi all'indomani le loro dimensioni normali, non sen- za però aver tenuto in serbo per l'imberbe e impavido protagonista preziosi "doni fatati", invisibili sì, ma utili nella vita. Jesi non si era fidato a pubblicarli in vita (senza peraltro rinunciare a dedicare all'argomento una coppia di interventi "seri" e documentarissi- mi da par suo: il saggio L'accusa del sangue, apparso nella rivista "Comu- nità", ottobre 1973, e quello che ha per titolo Neoclassicismo e vampiri- smo , apparso nella rivista "metapho- rein", novembre 1977-febbraio 1978), forse per tema che essi potes- sero non essere intesi nel giusto mo- do e che qualche incauto lettore po- tesse limitarsi a rincorrervi — in chiave neoromantica o magari new- gothic — una hoffmanniana atmosfe- ra da Fratelli di San Serapione, un clima da racconto "per una notte". Era già stata un'impresa non indiffe- rente parlare di "mito genuino" e di epifanie quasi archetipiche nei ro- venti tardi anni Sessanta (si pensi so- prattutto a Germania segreta, Miti nella cultura tedesca del Novecento, Silva, Milano 1967, e a Letteratura e mito, Einaudi, Torino 1968); figuria- moci poi parlare di Dracula e di "sangue e suolo". Quella preoccupazione di attende- re tempi più propizi gli fa, dunque, onore, e insieme fa risaltare un'atti- tudine costante di questo studioso falciato troppo presto dalla sorte nel giugno del 1980: il dar prova di po- tersi (e doversi) accostare senza pre- venzioni e preconcetti ideologici a qualsiasi cosa, e dunque anche a "queste cose", considerate prodotti di scarto o di poco conto, rispettan- do la regola a lui assai cara di non dare mai definizioni, formule prefis- sate una volta per tutte, dischiuden- do anche qui promettenti e incon- suete prospettive di ricerca. Già in una miscellanea di studi in onore di Furio Jesi apparsa qualche anno fa e contenente anche una esau- riente bibliografia dei suoi scritti dal 1956 al 1982 (.Risalire il Nilo. Mito, fiaba, allegoria, Sellerio, Palermo 1983) si evidenziava l'imbarazzo nel tentare una collocazione storiografi- ca di uno studioso dagli interessi tan- to vasti e nell'offrirne un ritratto convincente, visto che se ne potreb- bero dare diversi, i quali mostrano insofferenza a divenire il punto pro- spettico. Jesi è davvero passato fra noi come l'apparizione di qualcosa di inconsueto. Di origine ebraica, nato a Torino nel 1941, si spinse gio- vanissimo in giro per l'Europa per acquisire 'sul campo' un sapere che altri acquisiscono da sedentari, e ri- leggere in terra greca, tedesca, belga, i libri di Kerényi, di Pettazzoni, di Frobenius, di Propp, libri "che stri- dono", che "incidono la lavagna", anziché stare "dietro a pareti di libri chiusi a chiave". Conobbe così dal vivo luminari delle scienze antropo- logiche e archeologiche degli anni Cinquanta e Sessanta, da De Wit a Sigfried Gidion, a Pierre Gilbert e soprattutto Karoli Kerényi, incarna- zione dei 'grande studioso' onnivoro e autodidatta, che fu suo 'maestro' e quindi suo amico (l'interessante Briefwechsel [Carteggio] fra loro in- tercorso è in via di pubblicazione in Germania da parte dell'editore Stro- emfeld/Roter Stern, e in Italia sarà pubblicato dall'editore Marietti il prossimo anno). Alla "palude filologica" in cui — prendendo in parola Pound — aveva era quanto mai ampio: andava dall'a- nalisi del mito e della sua "sopravvi- venza" nella cultura moderna (Lette- ratura e mito, soprattutto, Torino 1968) allo studio della mistica ebrai- ca in area tedesca in rapporto all'illu- minismo (Mitologie intorno all'Illu- minismo, Edizioni di Comunità, Milano 1972); dall'attenzione riser- vata all'antropologia anche nelle sue versioni "limite", come nel caso di C. Castaneda, all'indagine della ma- nipolazione dei materiali mitologici da parte di certa cultura di destra (ad es. Germania segreta, Milano 1967; Il ta dell'Italia megalitica, Rizzoli, Mi- lano 1978). Né va dimenticata l'atti- vità traduttoria (specialmente Massa e potere di E. Canetti, Milano 1972). Nei venti anni delia sua frenetica strabiliante attività, che aveva la sua radice teorica nella fiducia granitica circa la ricchezza dell'intellettuale purché questi sapesse volere "secon- do il proprio cuore", Furio Jesi ha apportato un profondo rinnova- mento nella critica, affascinando specialmente gli studiosi non dispo- nibili ad appagarsi di verità confezio- nate, ma inclini a cercare fra le righe ■t "ismi" e delle codificazioni, possiamo ascriverlo a ciò che chiamiamo, ancora un po' provviso- riamente e con scarti da area ad area, storia delle idee; con il rifiuto parallelo (per omessa attenzione, non per polemica diretta) dei proce- dimenti di formalizzazione e di quelli d'analisi psicologica (sintomatiche, in rapporto con l'ini- ziazione kerenyiana, le divergenze da Jung); e con un uso molto moderato, caso per caso, di principi marxisti. Più propriamente, però, si deve riconoscere che Jesi s'avvalse di strumenti teorici solo al fine di compensare, di stabilizzare una condotta di navigazione che i molteplici condizionamenti esterni, e più ancora la sua somma ricettività, ad ogni momento compro- mettevano. E che la sua vocazione autentica rimase sempre quella di provocare di continuo la propria intelligenza a drastici auto-da-fé, consumati come riscatto, all'esito di ciascuna tappa della ricerca, del quantum di libertà criti- ca necessario a proseguirla. Questo serve a spie- gare perché, maturata la stagione di sistemazio- ni più solide, Jesi facesse precedere circostanziati esperimenti d'interpretazione ('Germania se- greta, nel 1967) alle sintesi di Letteratura e mito (1968). E anche a spiegare l'adozione, dopo d'allora prevalente, dell'area tedesca, come di quella in cui con più virulenza la formazione e la proliferazione dei miti s'erano manifestate in tutta la terribile ambiguità degli esiti politici. Coerentemente, doppiando il difficile '68, la bibliografia di Jesi, giornalista avverso all'elita- rio elzeviro, si infittì di contributi alla discus- sione politico-culturale. Se alcuni, alla distanza, appaiono indeboliti dal tema contingente, o ad- dirittura pretestuoso, nell'insieme si tratta d'u- na produzione di livello inconsueto per il gene- re, che riflette, dal più onesto dei punti prospet- tici, le traversie di una sinistra laica, affaticata "compagna di strada" dei partiti. All'interno d'essa, e in altri testi più articolati, colpiscono oggi specialmente certe prese di posizione, com- prensibilmente ardue, sugli errori politici del sionismo (a Jesi ne vennero, come ad "ebreo antisemita", rampogne ingiustificate). Tale ten- sione ideologica sarebbe approdata, più tardi, ad un vero e proprio tentativo di sistemazione storiografica dei materiali riguardanti la speci- fica strumentalizzazione politica della specula- zione e pseudospeculazione circa l'irrazionale. Ecco, allora, significativo per lo squilibrio tra la pregnanza dell'analisi delle fonti ottocentesche o primo-novecentesche del fenomeno (costante- mente suscettibili di lettura divaricata, in quanto messaggi di liberazione oppure di intol- leranza) e il ridotto interesse alla portata socio- politica esclusiva delle degenerazioni fasciste e postfasciste, un libro come Cultura di destra, imbarazzato e dolente, di delusa chiusura verso gli ingannevoli engagement. Ormai Jesi, matu- rato alla scrittura sino a non più arrestare il premere della creatività, si collocava frontal- mente in rapporto al testo, e nella pagina sua ed altrui cercava corrispondenze totali. Interpre- tando Rilke narratore per la via di occulti mo- tivi alchimistici, sarebbe arrivato a fare di se stesso, camminatore inquieto della metropoli, inventore inesauribile di "impressioni", un al- tro Malte Laurids Brigge. Era un ritratto con- sunto e quasi spettrale, che la nostra memoria tende, oggi, a caricare di presentimenti. Ma ben più sicuro ritratto, splendido di contraddizioni, aveva già dato di sé l'ideologo, collocando "in- torno all'illuminismo", come suona Usuo titolo più nitido, miti e mitologie. Era, e rimane, il volto fermo di un difensore della ragione, asse- diata dal non conosciuto e dal vietato. Ma non della ragione malata di presunzione e d'aggres- sività, non della ragione protesa a sottrarre nuove province al non ancora egemonizzato; bensì, della ragione che resiste alle lusinghe di standardizzazioni e di conformismi incalzanti sotto spoglie fallaci. Una ragione definibile qua- le disponibilità, nei casi stringenti, alla confuta- zione, e meglio all'autoconfutazione, su cui tracciare la barriera ogni volta estrema. Una proposta, insomma, di coraggio. e a tramutare i materiali da loro in- quisiti in altrettante esche e pretesti per raggiungere un sapere meno ba- nale e, insieme, privo di privilegio: per aprirsi e restare disponibili ad altro, a tutto l'altro che rimane an- cora da esplorare, da conoscere, da fare. Un afflato enciclopedico parla nei saggi e nei lavori di Jesi (non è un caso che egli abbia offerto collabora- zioni decisive al Dizionario Enciclo- pedico UTET, da giovanissimo, e al- l'Enciclopedia Europea Garzanti, nell'ultimo periodo), un afflato che tuttavia contrasta con la sfiducia nel- le grandi 'sistematiche' nutrita dal- l'autore. In tutti gli anni della sua attività è come se egli abbia mirato a condensare e a bruciare tutto il pos- sibile, a far ardere le proprie passioni culturali alla fiamma del commento testuale e del racconto, estinguendo in essa le scorie della propria sogget- tività e individualità e aprendosi un varco alla propria morte. Il suo peculiare metodo critico- saggistico (secondo un saggismo av- venturiero di sapore assai benjami- niano) gli ha consentito l'analisi di vere e proprie aree culturali in cui egli vide agire funebri rituali e mito- logie collettive di cui colse le stratifi- cazioni culturali lontane, esperienze "pericolose", al limite della colpevo- lezza morale: la colpevolezza — da parte dei cultori della "tenebra" — nel conferire il predominio a zone oscure della psiche, del passato o del cosiddetto mito rispetto alla "co- scienza"; o perlomeno la responsabi- lità — da parte di un'elite intellettua- le che si fosse ritenuta depositaria di accessi privilegiati alla verità — di aver allestito per il potere, sia pure in buona fede, strutture ideologiche capaci — all'occorrenza — di alber- gare "feticci" inseparabili dalla mor- te, qualora esse fossero divenute ope- ranti in mano alla destra politica. È perciò comprensibile che, in tut- te le sue scorribande saggistiche in- torno all'esoterico, Jesi abbia sem- pre resistito alla tentazione di fissare in una formula che cosa egli inten- desse o riteneva si dovesse intendere per "enigma" o per "mito". Ha rite- nuto doveroso mantenersi a distanza rispetto alla sostanza di quell'"invisi- bile" (o impartecipabile) che agisce entro il euscio protettivo e forse vuoto del segreto, manifestandosi nei testi e nei momenti storici da lui indagati, limitandosi a interpretare il funzionare del "qualcosa" che sem- bra continuare ad affascinare ancor sempre l'uomo, senza con questo smettere di potersi tramutare (per mano dell'uomo) in strumento di barbarie anziché di liberazione. finto di infangarsi fra i 15 e i 24 anni per far accettare a riviste autorevoli del mondo accademico ("Aegyptus", "Journal of Near Eastern Studies", "Chronique d'Égypte") i propri scritti di egittologia e archeologia che lo avevano rivelato una sorta di enfant prodige, Jesi aveva poi ben presto lasciato subentrare un impe- gno più scoperto (parallelo alle sue scelte di militanza politica, intorno al '68, come sindacalista prima, e co- me pamphletista poi, nell'area della "nuova sinistra" torinese) interve- nendo con tutta una serie di saggi sulla cultura mitteleuropea fra Sette e Novecento nel suo amplissimo ed enigmatico patrimonio di miti e sim- boli riletti criticamente, nelle riviste "Comunità" e "Nuova corrente". Più tardi, a 35 anni, era divenuto ordinario di Lingua e Letteratura te- desca per meriti scientifici, prima al- l'Università di Palermo e quindi a quella di Genova, città in cui si è spento tragicamente all'età di 39 an- ni. Il ventaglio degli interessi di Jesi mito, ISEDI, Milano 1973, e Monda- dori, Milano 1980; Cultura di destra. Il linguaggio delle idee senza parole. Neofascismo sacro e profano, Garzan- ti, Milano 1979); dallo studio di quel filone "notturno" che i tedeschi non han mai cessato di coltivare a partire dall'illuminismo, dal pietismo e dal romanticismo e che spesso ha dato origine a una vera e propria religio mortis (saggio su Pavese quale prefa- zione a La bella estate, Torino 1966; Germania segreta, cit.) allo studio della "ripresa" del mito in termini umanistici e non soltanto deforman- ti {Materiali mitologici. Mito e antro- pologia nella cultura mitteleuropea, Einaudi, Torino 1979; Thomas Mann, La Nuova Italia, Firenze 1972); dall'interessamento per il lin- guaggio alchemico-esoterico (soprat- tutto nello splendido Esoterismo e linguaggio mitologico. Studi su Rai- ner Maria Rilke, D'Anna, Messina- Firenze 1976, e nella monografia Ri- lke, La Nuova Italia, Firenze 1971) all'indagine dell'universo megalitico {Il linguaggio delle pietre. Alla scoper-