n. 6 rlNDICF pas11 ■Idei libri del meseBH Parole d'inverno di Francesco Rognoni Wallace Stevens, Il mondo co- me meditazione, Acquario - Guanda, Palermo 1986, trad. dal- l'inglese a cura di Massimo Baci- galupo, pp. 244, Lit. 22.000. A più di trent'anni dalla scelta di versi che ne aveva fatto Renato Pog- gioli, Wallace Stevens, secondo a nessun poeta americano del Nove- cento, ritorna nelle librerie italiane. Per un caso felice, Il mondo come meditazione ricorda Mattino domeni- cale ed altre poesie (Einaudi, 1954). Lo ricorda nel formato, nell'elegan- za sobria della copertina non illu- strata, nelle fitte pagine di annota- zioni con cui entrambi si concludo- no. Sullo scaffale i due libri restano a fianco quasi appartenessero alla stes- sa collana. Stevens certo non avreb- be mancato di notare e compiacersi di tale continuità. Infatti non solo era soddisfattissimo delle traduzioni ("ho un libro che sta per essere pub- blicato a Roma," scriveva in una let- tera, "e questa è un'emozione abba- stanza grande per qualsiasi poeta") ma, come più spesso si possono per- mettere i letterati non di professio- ne, era bibliofilo e coltivava il gusto del libro come oggetto da collezio- ne. Al senso della materialità del libro, e insieme all'assoluto scorporarsi del suo autore, allude una poesia famo- sa, Il pianeta sul tavolo : "Ariel era contento di avere scritto le sue poe- sie./ Erano di un tempo ricordato/ O di cose viste che gli erano piaciu- te" (109). Il "pianeta" è dunque, mol- to letteralmente, il volume ai Collec- ted Poems, dove per la prima volta il componimento apparve, e pubblica- to nel 1954, a un anno dalla morte del poeta. Sembra trattarsi di uno sguardo retrospettivo di serenità me- ravigliosa, ma di quasi inquietante semplicità. Forse è bene ricordarsi che Ariel, lo spirito agli ordini di Prospero nella -Tempesta di Shake- speare, partecipa alla scena umana suo malgrado, forzato, o motivato solo da un'urgenza di ridissolversi nell'aria. Forse Stevens, approprian- dosi del suo nome, divide con lui non solo la celeste contentezza, ma anche, più nascostamente, certa im- plicita riluttanza a prendere forma, il senso costante di spiazzamento e lo slancio a librarsi al di là del piane- ta, a riessere aria, solamente. Radunando per la prima volta tut- te le poesie che Steven scrisse negli ultimi sei anni di vita (1950-55), Mas- simo Bacigalupo crea un volume nuovo, che s'aggiunge alle sei raccol- te dove s'organizza la produzione poetica stevensiana, da Harmonium (1923, quando Stevens, più che qua- rantenne e già affermato uomo d'af- fari, tardivamente esordì) a The Au- roras of Autumn (1950). E appunto queste del Mondo come meditazione sono "parole d'inverno" (117), quasi sempre recitate "al confine delle co- se" (75), quando "il vocabolario sfi- brato dell'estate / non dice più nien- te" (47). Eppure è proprio in questi modi ridotti e fin ascetici, di buio e di gelo, "agli antipodi della poesia", che Stevens sa scoprire "il grillo esti- vo che prende forma dal ghiaccio" (131). Nella tradizione romantica, dagli spots of time di Wordsworth ai "momenti privilegiati," già proustia- ni, di Pater, la poesia di Stevens cele- bra l'istante visionario contro uno sfondo desolato, l'epifania dell'"an- gelo della realtà, / visto un attimo affacciarsi sulla porta" (27). Si tratta della rivelazione d'"inaspettate gran- dezze" (73), "d'un possibile che è ar- rivato" (131); d'un'attenzione di- spersa che d'un tratto e come senza sforzo si fa comprensiva, "così co- me, quando scaliamo un monte, / il Vermont si combina d'improvviso" (183). Appoggiandosi a un vet, av- versativa breve ma fermissima ("Ep- pure l'assenza dell'immaginazione doveva / essa stessa essere immagina- ta", 37) o attraverso quelle che in un suo verso chiamò "le intricate eva- sioni del come", Stevens continua- mente svela "un mondo tutto diver- so ma uguale a quello quotidiano" (223). È necessario ricordare le quaranta pagine di note con cui il volume si chiude (e da cui ho preso l'ultima citazione): costituiscono il commen- to più completo ed articolato che la produzione finale di Stevens abbia, in qualsiasi lingua, ricevuto. Infine, mi sembra che Bacigalupo abbia fat- to benissimo a resistere alla tentazio- ne di chiudere questa raccolta di tra- duzioni impeccabili con quella che si suole ritenere l'ultima poesia com- piuta da Stevens, Del mero essere, vi- sione abbacinante della "palma al fi- ne della mente / ... al limite dello spazio" (191), componimento terri- bilmente concluso e conclusivo, sguardo definitivo ed inumano sulla soglia della morte. Ed abbia invece scelto di tradurre lo schema di un poemetto che Steven non ebbe il tempo di scrivere, restituendo que- ste poesie finali a "ciò che sta sempre iniziando perché parte / di ciò che sta sempre sempre di nuovo inizian- do" (103). no parte del processo di rivendicazione dei pre- mi letterari che non gli sono mai stati assegnati: com'è che lui, Burgess, che guadagna come scrit- tore - cineasta - giornalista - librettista - sceneg- giatore televisivo dieci volte più di Lawrence, non ha ancora avuto gli stessi riconoscimenti? C'è qualcosa di profondamente petty, uno scon- tro volgare come fra due bottegai, in questo confronto fra il critico-biografo e l'autore sotto esame: ma la volgarità, la meschinità è tutta dalla parte di Burgess. Una delle calamità che affliggono il viaggia- tore contemporaneo il quale ha l'occasione di frequentare le metropoli del mondo occidentale è che, dovunque si arrivi, Milano Parigi Londra New York, non appena si compra il giornale si legge nelle pagine culturali l'articolo di An- thony Burgess che si era già letto due settimane prima in un'altra città. La produzione indu- striale della scrittura di Burgess è colossale: si parla di venti-trenta articoli al mese, più due o tre libri all'anno, più sceneggiature spettacoli televisivi films traduzioni di libretti d'opera o di commedie; oltre alla sua abbondante produ- zione come compositore di brani musicali che fortunatamente non vengono quasi mai esegui- ti. Nessuno al mondo può seguire questo ritmo come lettore di Burgess: figurarsi come scrittore, se bisogna scrivere tutta questa massa di roba: che è quasi sempre priva di idee, come ci si potrebbe aspettare; e il libro su Lawrence, a parte le piccole meschinità di cui sopra, è quasi immune da qualsivoglia intervento dell'intelli- genza o dell'acume critico. Burgess, che aveva molti anni or sono scritto dei romanzi interessanti (per esempio, la serie di Enderby), è ormai diventato un supermarket multinazionale per lo smercio di banalità: una linea di montaggio in cui tutto è uguale a tutto, il romanzo è uguale al saggio è uguale al volu- me biografico è uguale al pettegolezzo da salot- to. Dire che il breve saggio di Lawrence A pro- posito dell'Amante di Lady Chatterley e "più divertente del libro stesso", può anche essere sconcertante come battuta di spirito nel salotto di uno dei registi a cui Burgess propina le sue sceneggiature: ma in un saggio critico su Law- rence fa solo digrignare i denti al lettore. Non prendere in considerazione i racconti, certo il genere letterario in cui Lawrence ha scritto le sue pagine più belle, perché Burgess stesso non ha "fatto una buona riuscita nel genere", e conside- ra "il racconto breve come un buon romanzo sprecato", è una dichiarazione vergognosa per un critico; e un pensiero idiota per uno scrittore (e pensare che Burgess ha scritto un libro anche su Hemingway, un altro scrittore che ha dato il meglio di sé nel racconto breve!). Ma vediamolo Burgess alla prova proprio come critico, e non come freddurista: per esem- pio, quando afferma, perentoriamente, che Donne innamorate "è uno dei dieci grandi ro- manzi del secolo" (a Burgess piacciono le cifre tonde: nella sua immensa produzione si può trovare anche un libro sui cento grandi roman- zi del secolo). Perché? "Perché, attraverso il peri- coloso gioco di congetture introspettive, Law- rence è arrivato a certe conclusioni sulle emo- zioni e le motivazioni umane che conducono uomini e donne più vicino alla natura... " Tutto qui? Secondo quale prospettiva critica si possono considerare queste banalità come un contributo alla critica di Lawrence? A chi giova questo miscuglio di considerazioni meschine, di volga- rità da basso giornalismo, di sbruffonaggini da scrittoraccio di successo e di sentimentalerie da sceneggiata napoletana (Burgess ha incontrato difficoltà a ricopiare certi versi "per via delle lacrime" che gli irrigavano il volto: perché que- sti versi "esprimono i desideri più semplici della terra" (sic))? non giova a Lawrence; non a Bur- gess; non al povero lettore. All'editore, forse? VN collana La quinta stagione Silvio M. Brondoni PUBBLICITÀ COLLETTIVA, NOTORIETÀ DI PRODOTTO E IMMAGINE DI MARCA p. viii-266 L. 23.000 Mario Alessandro Cattaneo CARLO GOLDONI E ALESSANDRO MANZONI Illuminismo e diritto penale p. 317, L. 22.000 Domenico Corradini Vittorio Benedetti Graziano Giovannini Franco Alberto Cappelletti HOMINUM CAUSA Il diritto nel suo esserci e nel suo farsi, p. XV-115, L. 10.000 Franco Invernici (a cura di) UNA CITTÀ NELLA STORIA DELL'ITALIA UNITA Classe politica e ideologie in Cremona nel cinquantennio 1875-1925 p. XXVII-414, L. 40.000 Paolo Liverani L'ASSISTENZA SOCIALE E I SUOI PRINCIPI LEGISLATIVI p. 340,L. 20.000 Peter Stein I FONDAMENTI DEL DIRITTO EUROPEO Profili sostanziali e processuali dell'evoluzione dei sistemi giuridici p. XIX-298, L. 20.000 Paolo Ridola DEMOCRAZIA PLURALISTICA E LIBERTÀ ASSOCIATIVE p. VIII-267, L. 20.000. THE STRIKE (Lo sciopero) p. XVI-554, L. 37.000 Bruno Veitorazzo GRAFOLOGIA GIUDIZIARIA E PERIZIA GRAFICA p. XV-322, L. 22.000 VIA BUSTO ARSIZIO 40 TEL. (02) 3010106