fjN. 4 pag- Majors contro Botha di Roberto Silvestri Grido di libertà è un film Universa! Non è però inspiegabile il finanzia- mento di una major statunitense (e dunque la partecipazione di una parte delle multinazionali) a un film desta- bilizzante il regime razzista di Preto- ria. I capitali Usa stanno abbandonan- do le banche di Città del Capo e Pre- toria. Tutte le filiali sudafricane delle imprese nordamericane vengono chiuse. Perfino qualche film (per esempio quelli di Woody Alien) si vergogna di spillar soldi al pubblico afrikaner, anche se adesso molti cine- matografi sono "per tutti" (ricattati dai distributori Usa che minacciano l'embargo di tutti i film, anche quelli di Stallone e Chuck Norris). Gli Stati Uniti, sospinti dalla loro minoranza nera in ascesa (tanto da trovare in Jesse Jackson un candidato presidenziale niente affatto materas- so) dicono basta all'unico regime al mondo che le infamità, invece di farle solamente, ha anche la spudoratezza di scriverle, a caratteri d'oro, sulla car- ta costituzionale. In questo simile al nazismo ("il lavoro rende liberi") per l'arroganza: e si schiavizza, nel corpo e nello spirito, non una minoranza ma una maggioranza schiacciante, per quanto raffinata, colta, tollerante e swing: i neri, i "colorati", gli asiatici, gli indiani, gli ebrei... E mentre euro- pei e giapponesi, italiani in particola- re, come sciacalli vanno a firmare pat- ti d'acciaio con il rand e con il diaman- te, pagati profumatamente per pub- blicizzare un regime perfetto nei suoi metodi di sfruttamento e di "profitto facile", gli statunitensi, gli europei dell'est e del nord e altri paesi civili della terra vedono più in là del pro- prio naso. Ed ecco che un inglese, un sir, Ri- chard Attenborough, colto, antifasci- sta e anti Thatcher, di provato corag- gio, cineasta capace di affreschi pos- senti e incapace di retorica, incappa nei libri di Donald Woods. Finalmen- te ha la possibilità di non fare sul Su- dafrica un film piagnisteo (o veleno del botteghino). E neppure un film per soli militanti (troppo pochi ancora nelle statistiche del box office). E nep- pure un film che non dia fastidio a Botha, che infatti non lo farà vedere a nessuno, così specifico nell'accusa, co- sì gonfio di realtà. Non la biografia di un leader politico ormai fuori della storia (come Gandhi), ma la storia di una amicizia tra un intellettuale suda- fricano "liberal" e un intellettuale ne- ro ancora più affascinante di lui, che riesce a convertirlo. Biko ha infatti la forza di un santo- ne, ha la cultura, la sensibilità, l'hu- ntor e la forza rivoluzionaria di un Cri- sto. Morirà pressoché crocifisso e per il tradimento di un Giuda. Apparirà la prima volta come Gesù nei film di Hollywood, nascosto dai rami di un albero, il volto oscurato ma, dietro, un'aureola di luce. E Woods sarà, co- me scrive Philip French sull'Obser- ver, un misto di Pietro e Paolo e, quando si travestirà da prete per la fu- ga in Lesotho, sembrerà a tutti il suo vestito più vero. E la forza politica e commerciale di questo film è lì; e subi- to, non a caso, ha attirato i soldi del- l'Universal (anche se la produzione è Marble Arch, cioè Attenborough). Anglo-americani gli altri collaborato- ri, più o meno tutti coinvolti in Gan- dhi (il produttore Terence Clegg, lo sceneggiatore John Briley, il direttore della fotografia Ronnie Taylor) e le star, Kevin Kline (che, si dice, restitui- sce un Woods più posato, meno estro- verso, bohémien e fantasioso) e Denzel Washington, che già fece Malcom X a teatro, ed è perfetto come rivoluzio- nario dotato di quel certo non so che di religioso che dette tanta popolarità a Biko e probabilmente lo condannò a morte. Questo respiro sacro permette al film molti miracoli. Girato in Zimba- bwe e nel Kenia (per gli esterni) sem- bra credibilmente realizzato "nei luo- ghi stessi dell'azione". Le scene di massa, il funerale, i vari massacri e le imprese della polizia di Kruger (anche se messe in flashback non sempre ordi- nati) funzionano. Anche la lingua, il dialetto è vero. E addirittura i partico- lari, la luce, il giardino di famiglia (ba- sterebbe confrontare con la produzio- ne sudafricana indipendente My coun- try my hat di David Bensusan, per re- gh è lieto di pubblicare la descrizione delle automobili del sir: "Ho visto la sua Rolls Royce Comiche verde oliva, proprio accanto alla Mercedes argen- tata di Lady Attenborough"). O anco- ra Nicholas Ashford che infastidito dalla forza magnetico-egemonica del Biko dello schermo cerca di mettere i puntini sulle i: tutta la sua filosofia Bi- ko l'avrebbe pressoché copiata da Ro- bert Sobukwe, il fondatore del Pan Africanist Congress, "che era perfino più carismatico di lui". Lo scrive il 28 novembre su lndependent e non si ca- pisce il motivo della insoddisfazione di Ashford per Cry freedom (che è a proposito il titolo di un altro film, ma forse, visto che è nigeriano, Hollywo- od non se ne preoccupa). A meno che nella non-violenza, al massacro fisico e culturale di un popolo. Steve Biko, quando conobbe Wo- ods, era stato messo al bando: cioè era "imprigionato" nella sua casa, al di fuori dei familiari stretti non poteva ricevere che una persona alla volta; il suo nome non doveva essere citato dai mass-media; non gli era permesso scri- vere nulla, nemmeno un diario; gli era proibito frequentare strutture cultu- rali, produttive o dì stampa; non gli era possibile viaggiare oltre la zona nella quale si doveva risiedere, che di solito è racchiusa nelle poche miglia quadrate del distretto in cui si vive. Steve Biko, che prosegue clandesti- namente la sua attività sovversiva, tro- vato "fuori ZQna", viene arrestato il 6 Dallo schermo in libreria Sono tre i libri usciti in Italia in occasione del lancio di Grido di libertà. Si tratta innanzitutto di due lavori biografici di Donald Woods, che so- no alla base del kolossal. Biko, tutta la storia del leader nero ucciso dalla polizia di Pretoria, uscì in Gran Bretagna nel 1978 (Paddington Press), ed è stato tradotto a cura di Sperling & Kupfer (422 pagine, 22.700 lire). E molto più di un omaggio al dirigente di Coscienza Nera. Lavorando sulla vi- ta, le opere e l'assassinio del suo compatriota e amico Steve Biko, il "liberal" Woods comprende i limiti del suo approccio paternalista e la profonda umanità e tolleranza del gruppo politico che guidò la rivolta di Soweto e che lui aveva, prima del '77, considerato fanatico e settario. Inoltre il lavoro è una dura requisitoria contro il governo razzista e il partito nazionalista da 40 anni al potere. Del 1980 è invece Asking for trouble (Victor Gollancz Ldt. Londra) ora uscito in traduzione italiana a cura di Frassinelli (388 pagine, 19.700 lire) che è, come spiega il titolo, In cerca di guai, la storia della fuga di Donald e Wendy Woods e dei loro cinque figli dal lager dorato sudafricano alla dignitosa povertà in un sobborgo di Londra. Woods mette così in salvo il manoscritto di Biko e riesce a pubblicarlo, perchè il mondo sappia. Il terzo volume che fiancheggia il film è Grido di libertà, un romanzo scritto dallo statunitense John Briley (Longanesi, 18.000 lire). Briley ha fatto una frittata dei due libri precedenti e del suo copione di Cry Freedom. Quando infatti Atten- borough si decise a girare questo film contro Pre- toria pensò subito allo sceneggiatore di Gandhi (e, oggi, di un musical su Martin Luther King): "E un vero bastardo - spiegò a Woods - fa la prima don- na e non è un tipo raccomandabile, ma scrive che è una meraviglia". Sulla lavorazione di Grido di libertà esistono due "interpretazioni". Sir Ri- chard Attenborough ha curato un lussuoso album a colori, con 129 foto del film: Cry Freedom-A pictorial record (1987, The Bodley Head Lon- don, sterline 20). Nella prefazione del libro il ci- neasta inglese racconta i retroscena della produ- zione e i suoi colloqui con la vedova di Biko, Ntsi- ki, e Winnie Mandela, per avere consigli e autoriz- zazioni. Il giornalista sudafricano Donald Woods ha invece raccontato la sua versione in Filming with Attenborough (1987, Penguin, sterline 7.97) compresi gli antefatti (le major che, pur interessa- te ai suoi libri, pretendevano "sostanziale autono- mia in fase di sceneggiatura" e, invece, la serietà di Attenborough, fin dal primo incontro, dopo il sì, nell'agosto del 1983), le litigate con Jack Briley, troppo tentato di appiattire Biko come martire non violento e l'appoggio totale alla filosofia e agli obiettivi del film: raccontare la conversione di una famiglia bianca sudafricana attraverso l'ami- cizia con un gruppo di attivisti neri; e convincere i paesi occidentali della necessità di isolare Preto- ria moralmente e economicamente. Gli scritti più importanti di Stephen Biko so- no raccolti in I write what I like (1979, Heine- mann Educational Books, Londra, 160 pag. 1.77 sterline), una antologia curata dal pastore anglica- no Aelred Stubbs, amico di Biko fin dalla metà degli anni '60. Il libro comprende interviste, atti processuali, un documento inviato da Biko al se- natore statunitense Dick Clark e gli articoli pub- blicati nella newsletter mensile "Scrivo ciò che vo- glio" da Biko, presidente dell'untone degli studen- ti neri, Saso. Gli argomenti sono il ruolo e i limiti del pensiero liberal, la cultura africana, gli errori di Butbelezi e Matanzima, l'immagine cbe hanno di sè i bambini neri, ecc... (r.s.) I_I spirare la "stessa aria"). Anche i seg- menti narrativi, i generi utilizzati, la ritmica interiore sono talmente okay che diventa stupefacente e misterioso che un perfetto prodotto gonfio di senso e spettacolo come questo abbia avuto meno interesse critico, per esempio, de La mia Africa. Ed è stato interessante, in questo senso, lo smor- zamento di Grido di libertà compiuto coscientemente e incoscientemente dai mass media occidentali. Attraver- so recensioni snob, pettegolezzi, in- terventi di "africanisti", interviste sforbiciate ad altri amici di Biko, frasi estrapolate di Peter Jones, l'avvocato che fu arrestato assieme a Steve e che sul Sunday Times di Londra (29 no- vembre) viene presentato solo come il migliore amico di Biko, interessato so- lo a sparlare di Attenborough ("Non mi ha chiesto di collaborare al suo progetto, anzi mi ha detto che sarebbe stato un non senso lavorare a stretto contatto di gomito"). Oppure l'Obser- ver di Londra del 22 novembre che, dovendo scegliere un pezzo del libro di Woods da Filming with Attenborou- non sia l'idea per fare un film su So- bukwe... Lo scrittore e giornalista sudafrica- no Donald Woods, che compirà 55 anni a dicembre, vive oggi in una casa alla periferia di Londra con la moglie Wendy (anche lei giornalista) e con i sei figli. Indirizzo e numero di telefo- no sono segreti, date le continue mi- nacce, ufficiali e non, delle autorità sudafricane. Nato nel Transkei e cre- sciuto in un ambiente conservatore e "naturalmente" razzista, Donald Wo- ods studiò legge a Città del Capo e poi imparò il giornalismo in Gran Breta- gna, Canada e Stati Uniti. Rientrato in Sudafrica nel 1960, divenne 5 anni più tardi redattore capo e poi diretto- re del Daily Dispach, un quotidiano "liberal" di Città del Capo. Nel '75 co- nobbe Stephen Biko, leader del Black Consciousness Movement, un'orga- nizzazione con la quale Woods aveva spesso polemizzato per le sue posizio- ni radicali e estremiste. Ne divenne amico e comprese meglio perché, per opporsi alla pratica razzista dell'apar- theid, non era più possibile assistere, CASA CITTÀ TERRITORIO Roberto A. Bobbio L'ULTIMA CITTÀ DELL'OCCIDENTE Dai «canyons» di New York alla monumentale Washington, a Chi- cago, a New Orleans fino a Los An- geles, un'esplorazione stimolante del fenomeno urbano americano nei suoi risvolti sociali e culturali Ingacy Sachs I NUOVI CAMPI DELLA PIANIFICAZIONE a cura di Maurizio Fraboni In contrasto con il modello «economicista-tecnocratico», una nuova concezione della pianifica- zione basata su un diverso rappor- to uomo-natura. LA COSTRUZIONE DELL'UTOPIA Architettura e urbanistica nell'Italia fascista a cura di Giulio Ernesti L'influsso dell'ideologia fascista sull'architettura italiana che in quel periodo continua a far riferimento a correnti teoriche e gusti in voga nel resto d'Europa. settembre 1977. Muore il 12 settem- bre. Donald Woods scopre il cadave- re, riesce a fotografarne le ecchimosi. Scrive il libro, viene bandito anch'e- gli. E scappa. La polizia (e poi un tri- bunale compiacente) parleranno di "suicidio in seguito a sciopero della fa- me". È la prima e ultima volta che il mi- nistro afrikaner di polizia userà questa assurda formula per coprire un omici- dio. E sono 81 i prigionieri politici as- sassinati nelle carceri di Pretoria dal 5 settembre 1963 (L. Ngule) fino al 26 marzo 1987 (B. Mashoke). I nomi di tutti questi morti precedono i titoli di coda del film di sir Richard Attenbo- rough Grido di libertà. È il momento più commovente del film perché si è consapevoli che, al di là dei grandi uo- mini che - si dice - fanno la storia e le opere (Biko, Attenborough, Woods, Kruger, il ministro di polizia sudafri- cano), quando i morti anonimi e senza protettori sono ricordati, riemergono dal buio e inchiodano i colpevoli, una pagina infamante della storia umana sta davvero per finire. Gerald R Blomeyer Barbara Tietze LA CASA È COME UN ALBERO L'autocostruzione: un modo diver- so di farsi la casa I programmi di autocostruzione di vecchi edifici berlinesi del 1984 e le altre esperienze nel resto del mondo. Reinhard Bentmann Michael Muller UNO PROPRIO PARADISO La villa architettura di dominio Uno studio sulla genesi storica e culturale della villa EDIZIONI LAVORO