N rINDICE ^■DEI LIBRI DEL MESE^BI Trinomio imperfetto di Luisa Mangoni Norberto Bobbio, Profilo ideologico del Novecento, in Storia della Letteratura italiana, diretta da Emilio Cecchi e Natalino Sapegno, Il Novecento, I, n. ed. Garzanti, Milano 1987, pp. 9-176. Nell'arco di due anni Norberto Bobbio ha riproposto, con ampliamenti e modifiche, per due volte il suo Profilo ideologico del Novecento apparso in prima edizione nella Storia della Letteratura italiana Garzanti nel 1969: come libro a sè nel 1986 per la Storica Einaudi, nel 1987 nella nuova edizione della Storia della Letteratura italiana Garzanti. Una evidente sottolineatura che per un Bobbio non può essere attribuita ad operazioni editoriali, ma che manifestamente sta ad indicare un nodo su cui continuare, per aggiunte successive, ad attirare l'attenzione. Rispetto al testo del 1969, quello ei-naudiano presentava, fra le aggiunte più consistenti e significative, una parte dedicata ai cattolici (pp. 19-35), e soprattutto una prefazione e una densa postfazione nelle quali venivano scandite le periodizzazioni ideali secondo cui il discorso di Bobbio si articolava. I tre ventenni della storia d'Italia — l'età giolittiana, il fascismo, la repubblica — con le rispettive scansioni interne, erano presentati come un ciclo che vedeva l'età liberale (1900-1911) congiungersi ai "primordi" della repubblica (1953-1968): "l'ultimo decennio si riallaccia al primo, ovvero: dalla prima alla seconda rivoluzione industriale; dal primo al secondo tentativo di allargare la partecipazione popolare al potere politico; dal primo al secondo tentativo di spostare lievemente e gradatamente il centro del sistema a sinistra per ristabilire un equilibrio turbato" (Einaudi, p.4). In una sintesi, le periodizzazioni sono decisive; e non a caso nella postfazione del 1986 Bobbio scriveva: "una delle ragioni, o non-ragio-ni, per cui questo mio Profilo esce come libro a sé dopo tanti anni è da cercare nell'idea che mi era venuta, e poi avevo abbandonata, di completarlo con un capitolo che proseguisse la storia della ideologia italiana sino al (...) 1968. Questo nuovo capitolo avevo intenzione di intitolarlo, La libertà inutile" (Einaudi, p. 179). Il capitolo non scritto figura adesso nei due paragrafi finali della nuova edizione Garzanti, La democrazia alla prova e Verso una nuova repubblica? (pp. 150-176). Il nodo su cui con tutta evidenza insiste la riflessione di Bobbio è quello di fornire una chiave di lettura dell'ultimo trentennio della storia italiana, non senza riconoscimenti di errori, ripensamenti (Einaudi, pp. 179-180), disillusioni, e l'ammissione conclusiva che, nonostante tutto, quella "libertà"inutile non era stata (Einaudi, p. 183). Sulla base di questo filo di discorso appare oggi relativamente produttivo riprendere la discussione sul periodo fascista. E certamente problematico non ribadire la perplessità sull'interpretazione di Bobbio nel merito, ma essa si è ormai solidificata in uno schema che, nella nuova edizione Garzanti, risulta ancora più esplicito: "la Resistenza (...) non fu una palingenesi. Non occorsero molti mesi (...) per accorgersi che il fascismo (...) era stato una lunga parentesi, chiusa la quale la storia sarebbe cominciata più o meno al punto in cui la parentesi era stata aperta (...) La Resistenza non fu una rivoluzione e tanto meno la tanto attesa rivoluzione italiana: rappre- sentò puramente e semplicemente la fine violenta del fascismo e servì a costruire più rapidamente il ponte tra l'età postfascista e l'età prefascista, a ristabilire la continuità tra l'Italia di ieri e quella di domani" (p. 139). È naturale, quindi, lo scarso interesse di Bobbio ad approfondire un fascismo inteso come concrezione comunque transitoria della storia italiana, conformemente, del resto, a quanto aveva ritenuto "il maestro nella buona e nella cattiva sorte, amato e respinto, Benedetto Croce" (Einaudi, p. 183). Ma il nesso fra il primo decennio del secolo e la "democrazia alla prova" diviene così la chiave interpretativa per eccellenza di Bobbio nella contesa "per l'egemonia sull'intera società tra le forze socialiste (...) e le forze cattoliche", che il fascismo aveva interrotto ma che riprendeva all'indomani della seconda guerra mondiale. Continuava a risultare perdente quel nucleo liberal-demo-cratico espresso da Luigi Einaudi e Gaetano Salvemini anteriormente alla prima guerra mondiale e rappresentato dopo il fascismo, nella sua breve storia, dal Partito d'Azione. Nonostante gli "effetti fecondi" (p. 155) dell'ammodernamento culturale seguito alla caduta del nazionalismo, nonostante "il rimescolamento e rinnovamento delle idee" (p. 140) che caratterizzano la rigogliosa stagione intellettuale all'indomani della Resistenza, lo schema tripartito delineatosi nell'età giolittiana e riemerso con la Resistenza (p. 151) ri- mane la direttrice della lettura che Bobbio fornisce della società e della cultura italiane ben al di là dei due periodi in questione. La partita "tra marxismo e pensiero cristiano" contrassegnava anche il faticoso percorso di "un'area laica dagli incerti confini" costretta "a battersi su due fronti", che tuttavia seppe essere una "terza forza": ovviamente non nel senso quantitativo, bensì in quello della "qualità e nell'influenza che esercitò non solo nel non lasciar cadere ma anzi nel rafforzare un sentire liberale e un impegno attivamente democratico" (pp. 158-159). A questo punto non si può fare a meno di segnalare la necessità di un distinguo, quello fra l'autorevole attestato di un proprio credo etico-politico personale — peraltro, è quasi superfluo sottolinearlo, del massi- mo rilievo — e la sua trasposizione sul piano della analisi e della sistemazione critica degli eventi, anche di quegli eventi sui generis che sono le ideologie, zona di incontro o di collisione della cultura e della politica. "A chi, incuriosito dal titolo di questo libro, mi domandasse; 'chi fur li maggior tui ?', rispondo subito: sono alcune delle persone da me conosciute e amate, verso le quali il mio debito di uomo è più grande": così Alessandro Galante Garrone ad apertura dell'introduzione a I miei maggiori (Garzanti, Milano 1984, p. 7). E alcuni dei nomi proposti sono gli stessi di Bobbio, che nel medesimo anno pubblicava, a completamento di quella "Italia civile" evoca- ta vent'anni addietro, Maestri e compagni: "i personaggi qui presentati — non a caso perché sono coloro cui va la mia simpatia — (...) rappresentano non solo un'altra Italia, ma anche un'altra Storia: una Storia che sinora non ha mai avuto piena attuazione" (Passigli, Firenze 1984, pp. 7-8). L'appello all'altra storia era un'intenzionale, appassionata, "militante" scelta di campo che voleva costituire e offrire un ancoraggio e una bussola. Ma trasferita da Bobbio in un discorso più oggettivo, complessivamente interpretativo della storia italiana più recente, questa "milizia" non denota difficolta di comprensione e collocazione degli eventi. In certo modo l'ideale punto di arrivo del discorso di Bobbio avrebbe potuto esser dato dai primi anni Sessanta, quando per diversi aspetti le vicende che nella Resistenza e con la Resistenza avevano avuto inizio, e di cui Bobbio dava comunque una spiegazione, si erano esaurite. Governo Tambroni da un lato, tentativo e fallimento del pro- getto riformista, variamente, alla La Malfa o alla Lombardi dall'altro, nel quale la "terza forza" si era proposta come governo del paese, potrebbero esser sistemati senza troppa difficoltà nello schema tripartito di Bobbio, anche in sintonia con l'umore disincantato che tanto spesso vi trapela. Ma i primi Sessanta aprivano anche, oltre che chiudere, un ciclo qualitativamente diverso rispetto al passato, e tale da attutire sensibilmente la portata esplicativa dello schema fondato sul trinomio storicamente dato (ma non più garantito) di marxismo. Cattolicesimo e liberalismo democratico. Bobbio sottolinea la diversità di cadenza fra la storia dei fatti da una parte e quella delle idee dall'altra periodizzando al 1963 e al centro-sinistra per la prima e al 1968 per la seconda. Ma questo scarto probabilmente contribuisce a non far emergere il progressivo maturare di un intreccio nuovo fra politica e cultura, sempre più caratterizzato, col tempo, aa traiettorie trasversali sul piano ideologico che a Bobbio non sfuggono (p. 169), ma che non riescono ad essere motivate dall'interno e quindi ad essere collocate, sistemate criticamente, nello schema a lui più congeniale. È verosimile allora che da rimettere in discussione sia proprio lo schema, a partire dagli anni Sessanta, a partire cioè da un decennio che registrò il nesso fra il momento italianodei suoi inizi e quello internazionale, mondiale, della sua fine, e con ciò un mutamento in atto di coordinate. Il trinomio marxismo-cattolicesimo-liberalismo democratico potrebbe assumere addirittura un significato opposto: quello di dar ancora conto di una storia politica e partitica e non più di quella delle ideologie. Una sorta di riprova di ciò la si ha, esemplificativamente, alla conclusione del saggio di Bobbio e in riferimento ai tempi correnti: è menzionato il noto saggio di Giorgio Ruffolo La qualità sociale, qualificato, anche se sulla base dello stesso autore, nei termini per Bobbio più riconoscibili di "socialismo liberale", senza che però di essi sia rimarcata quella trasversalità tematica ed ideologica di cui il saggio in questione era una delle possibili espressioni. Nel 1963 Italo Calvino, guardando alle nuove generazioni, si chiedeva con preoccupazione se avrebbero negato "che ci sia una direzione, un punto di partenza e dei punti di arrivo", e se in questo rifiuto "accomuneranno noi pure, noi appena più anziani di loro, come se già per loro fossimo entrati a far parte del paesaggio": era uno dei passi del percorso che, con il titolo esemplare di Una pietra sopra, Calvino presentava come possibile strumento di comprensione del suo personale punto di arrivo, cioè di un'"attitudi-ne di perplessità sistematica" verso il molteplice, il complicato, il relativo (Einaudi, Torino 1980, pp. 81 e VII). Salvo errori, il nome di Calvino non figura nel "profilo ideologico" di Bobbio: eppure, in un passaggio che compenetra gli anni Sessanta agli anni Ottanta, era una testimonianza preziosa della rinuncia a spiegare che non fosse rinuncia a comprendere. Si potrebbe dire che paradossalmente, alla luce anche delle ultime parti aggiuntevi, il Profilo di Bobbio è tanto più interessante quanto più è esplicitamente, senza remore e coraggiosamente tendenzioso. Tuttavia la postfazione nell'edizione Einaudi ci sembrava più ricca di implicazioni rispetto allo sforzo compiuto di neutralizzarne inquietudini e sottintese incertezze con un racconto esplicativo e diffuso, velando un po' quel ruolo di testimone critico e scomodo che tanto spesso e con tanti frutti Bobbio ha assunto di fronte alla fragile e imperfetta, ma tenacemente difesa, democrazia italiana. Scene e riquadri di Bice Mortara Garavelli Vincenzo Consolo, Il sorriso dell'ignoto marinaio, introduz. di Cesare Segre, Mondadori, Milano 1987, pp. 137, Lit. 10.000. Potenza della disattenzione. È passata quasi inosservata la recente riedizione mondadoriana (negli "Oscar oro ") del miglior libro di Consolo, uscito da Einaudi nel 1976 e ora corredato, nella sua nuova veste editoriale, da un'introduzione di Cesare Segre. La bellezza di una prova narrativa la cui ardua originalità spicca ancora, intatta, nel panorama letterario meritava bene la sagacia di un discorso critico esemplare qual è, appunto, quello di Segre. Che spiega le "soluzioni costruttive e linguistiche" di questo caleidoscopico romanzo come sviluppi di un concetto entrato in circolazione tra gli anni Sessanta e Settanta il collegamento tra i rapporti sociali e quelli linguistici, "nel senso che gli oppressi lo sono anche perché estranei al mezzo linguistico usato negli strati acculturati: perciò non possono esprimere le proprie ragioni, e nemmeno le proprie speranze e la propria disperazione". Nelle pagine introduttive troviamo esposte, preliminarmente, le notizie indispensabili sia sull'orditura storica del libro (le vicende siciliane nell'ultimo scorcio del regno borbonico fino allo sbarco di Garibaldi, i tentativi di rivoluzione liberale e le rivolte contadine, in particolare gli episodi sanguinosi di Alcàra Li Fusi, nel maggio del 1860) sia sui personaggi principali, realmente esistiti: il barone Enrico Pirajno di Mandralisca, studioso dei molluschi e collezionista di opere d'arte (nel museo Mandralisca di Cefalù si trova il "ritratto di ignoto" di Antonello da Messina, da cui il leit-motiv del romanzo) e l'avvocato Giovanni Interdonato, politico siciliano che ebbe parte attiva nei movi- menti antiborbonici e fu senatore del regno d'Italia nel 1865 (il marinaio sconosciuto, somigliante all'Ignoto di Antonello, che appare agli inizi del racconto). Il teorico specialista di strutture narrative ci fornisce un nitido sommario dei singoli capitoli e delle relative appendici: operazione opportu-nissima riguardo a un testo che, "nel suo complesso, più che narrare si sofferma su un numero ristretto di scene o riquadri". Imprevedibili in una struttura di romanzo, gli intarsi di documenti di varia fonte riportati testualmente ancorano alla verità storica la narrazione, sbrigliatamente creativa nell'impasto linguistico e nelle vorticose omissioni dei collegamenti tra l'uno e l'altro episodio o quadro. L'interpretazione del motivo "il sorriso dell'ignoto", la metafora della chiocciola assunta a modello esplicativo del racconto, la giunzione tra rapporti sociali e condizioni linguistiche sono solo alcuni degli spunti che raccomandano al lettore il saggio di Segre. Si aggiungano le analisi (applicabili anche alla produzione successiva di Consolo) che illuminano i meccanismi retorici del discorso, la sintassi e le cadenze della prosa, il lessico composito, "riuscita miscela di siciliano e italiano letterario", splendori barocchi e movenze popolari; e ciò che differenzia il preziosismo linguistico di Consolo da quello di scrittori, siciliani pure, come Pizzuto e D'Arrigo, cioè il trasformarsi del plurilinguismo (mescolanza e alternanza di linguaggi diversi: varietà di lingue e di dialetti e varietà di registri, colloquiali, plebei, sostenuti, colti ecc.) in plurivocità (coesistenza, intreccio e fusione della voce dell'autore con le voci dei personaggi; ne sono moduli stilistici tipici le varietà dello stile indiretto libero e del "monologo interiore").