Inedito La mia poetica di Octavio Paz L'unica caratteristica comune a tutti i poemi consiste nel fat- to che essi sono opere, prodotti umani, come i quadri dei pittori e le sedie dei carpentieri. Ma i poemi sono opere in una maniera molto particolare: non esiste tra di loro questa relazione di filia- zione così palpabile come tra gli utensili. Tecnica e creazione, utensile e poema sono realtà distinte. La tecnica è procedimento e ha valore nella misura della sua efficacia, cioè nella misura in cui è un procedimento suscettibile di applicazione ripetuta: il suo valore dura finché non nasce un nuovo procedimento. La tecnica è ripetizione che si perfeziona o si degrada; è eredità e cambiamento: il fucile sostituisce l'arco. L'Eneide non sostitui- sce l'Odissea. Ogni poema è un oggetto unico, creato da una "tecnica" che muore nel momento stesso della creazione. La co- siddetta "tecnica poetica" non si può trasmettere, perché non è fatta di ricette ma di invenzioni che non servono che al loro creatore. E vero che lo stile — inteso come maniera comune di un gruppo di artisti o di un'epoca — confina con la tecnica, tan- to nel senso di eredità e cambiamento quanto nel fatto di essere un procedimento collettivo. Lo stile è il punto di partenza di ogni sforzo creativo; e, proprio per questo, ogni artista aspira a trascendere questo stile comune e storico. Quando un poeta rag- giunge uno stile, una maniera, smette di essere poeta e si tra- sforma in costruttore di artefatti letterari. Definire Góngora poeta barocco può essere vero dal punto di vista della storia let- teraria, ma non lo è se si vuole penetrare nella sua poesia, che è sempre qualcosa di più. E vero che i poemi del cordovese costi- tuiscono il più alto esempio dello stile barocco, ma non sarà ec- cessivo dimenticare che le forme espressive caratteristiche di Góngora — ciò che ora chiamiamo il suo stile — non furono pri- ma nient'altro che invenzioni, creazioni verbali inedite e che so- lamente dopo si convertirono in procedimenti, formule e ricet- te? Il poeta utilizza, adatta o imita il contenuto comune della sua epoca — e cioè, lo stile del suo tempo —, ma trasforma tutti questi materiali e realizza un'opera unica. Le migliori immagini di Góngora — come ha mostrato mirabilmen'te Dàmaso Alonso — nascono proprio dalla sua capacità di trasformare il linguag- gio letterario dei suoi predecessori e dei suoi contemporanei. A volte, è vero, il poeta è vinto dallo stile. (Uno stile che mai è suo, ma del suo tempo: il poeta non ha stile). L'immagine mancata, allora, diviene bene comune, un bottino per i futuri storici e fi- lologi. Con queste pietre ed altre simili si costruiscono questi edifici che la storia chiama stili artistici. Non voglio negare l'esistenza degli stili. Non affermo neppu- re che il poeta crea dal nulla. Come tutti i poeti, Góngora si affi- da ad un linguaggio. Questo linguaggio era qualcosa di più preci- so e radicale della lingua parlata: un linguaggio letterario, uno stile. Ma il poeta di Cordova trascende questo linguaggio. Più esattamente: lo risolve in atti poetici irripetibili: immagini, co- lori, ritmi, visioni: poemi. Góngora trascende lo stile barocco; Garcilaso, quello toscano; Rubén Dario, quello modernista. Il poeta si alimenta di stili. Senza di loro, non ci sarebbero poemi. Gli stili nascono, crescono e muoiono. I poemi restano e ognuno di loro costituisce un'unità autosufficiente, un esemplare isola- to, che non si ripeterà mai più. Il carattere irripetibile e unico del poema è comune ad altre opere: quadri, sculture, sonate, danze, monumenti. Ad ognuna di loro si può applicare la distinzione che esiste fra poema e utensile, stile e creazione. Per Aristotele anche la pittura, la scultura, la musica e la danza sono forme poetiche, come la tra- gedia e l'epica. Ecco perché parlando dell'assenza di caratteri morali nella poesia dei suoi contemporanei, egli cita come esem- pio di questa carenza il pittore Zeusi e non un poeta tragico. In effetti, al di là delle differenze che separano un quadro da un in- no, una sinfonia da una tragedia, esistje in ognuno di loro un ele- mento creatore che li fa gravitare nello stesso universo. Una te- la, una scultura, una danza sono, alla loro maniera, poemi. E questa maniera non è molto diversa da quella del poema fatto di parole. La diversità delle arti non impedisce la loro unità. Piut- tosto, la sottolinea. Le differenze tra parola, suono e coiore hanno fatto dubitare dell'unità essenziale delle arti. Il poema è fatto di parole, esseri ambigui che se sono colore e suono sonò ugualmente significato; il quadro e la sonata sono composti di elementi più semplici: for- me, note e colori non significano nulla in sé. Le arti plastiche e sonore hanno origine dalla non-significazione; il poema, organi- co anfibio, dalla parola, essere significante. Questa distinzione mi sembra più sottile che vera. Anche colori e suoni hanno un senso. Non a caso i critici parlano di linguaggi musicali e plasti- ci. E prima che queste espressioni fossero usate dagli specialisti, il volgo conobbe e praticò il linguaggio dei colori, dei suoni e dei segni. Non è necessario, d'altra parte, ricordare le insegne, gli emblemi, i segnali acustici, i richiami ed altre forme di comuni- cazione non verbale che certi gruppi utilizzano. In ognuna di es- se il significato è inseparabile dalle sue qualità plastiche o sono- re. ... Le differenze tra la lingua parlata o scritta e gli altri mezzi d'espressione — plastici o musicali — sono molto profonde, ma non abbastanza da farci dimenticare che tutte sono, essenzial- mente, linguaggio: sistemi espressivi dotati di potere significan- te e capaci di comunicazione. Pittori, musicisti, architetti, scul- tori e altri artisti non usano come materiali da composizione ele- menti radicalmente diversi da quelli che usa il poeta. I loro lin- guaggi sono differenti, ma sono linguaggio. Ed è più facile tradurre i poemi aztechi nei loro equivalenti architettonici e plastici che in lingua spagnola. I testi tantrici o la poesia erotica Kavya parlano la stessa lingua delle sculture Konarak. Il lin- guaggio del Primero sueno di Sor Juana non è molto diverso da quello del Sagrario Metropolitano di México. La pittura surrea- lista è più vicina alla poesia di questo movimento che non alla pittura cubista. Affermare ch'e è impossibile sfuggire al senso, equivale al rin- chiudere tutte le opere — artistiche o tecniche — nell'universo livellatore della storia. Come scoprire un senso che non sia stori- co? Né per i materiali di cui sono fatte né per i loro significati le opere trascendono l'uomo. Tutte sono "un andare per" e "un andare verso" un uomo concreto, che a sua volta non raggiunge un significato se non all'interno di una storia precisa. Morale, fi- losofia, costumi, arti, tutto ciò che, infine, costituisce l'espres- sione di un determinato periodo, partecipa a ciò che noi chia- miamo stile. Ogni stile è storico, e ogni prodotto di un'epoca, dai suoi utensili più semplici sino alle sue opere disinteressate, è impregnato di storia, e cioè di stile. Ma queste affinità e questi legami nascondono differenze specifiche. E possibile scoprire, all'interno di uno stile, ciò che separa un poema da un trattato in versi, un quadro da un'illustrazione pedagogica, un mobile da una scultura/Questo elemento distintivo è la poesia. Solo essa può mostrarci la differenza fra creazione e stile, opera d'arte e utensile. ' 'Tre domande: esiste un dire poetico — il poema — irriducibile a ogni altro dire? Cosa dicono i poemi? Come si comunica il dire poetico?" Così si apre il saggio del 1956 L'arco e la lira in cui il premio Nobel 1990 per la letteratura, Octavio Paz, analizza le ra- gioni formali e ideali della sua opera di poeta. Da questo volume, per gentile concessione delle edizioni 11 melangolo di Genova, è tratto il brano che presentiamo. Nato a Città del Messico nel 1914, Paz è poeta, saggista letterario e politico, ideatore e direttore di riviste; sempre attivo sul piano del- l'impegno civile, è stato combattente repubblicano durante la guer- ra dì Spagna e, in seguito, diplomatico (si dimise nel 1968 dal- l'incarico di ambasciatore in India per protestare contro la sangui- nosa repressione dei movimenti studenteschi in patria). Il suo libro più recente è Hombres en su siglo (Barcelona 1990). In Italia II melangolo ha già pubblicato Congiunzioni e disgiunzioni (1984) e Ignoto a se stesso (1988) e ha in preparazione per i primi mesi del 1991 I figli del fango. Sono inoltre disponibili II labirinto della solitudine (Il Saggiatore, 1982), Vento cardinale e altre poesie (Mondadori, 1984), Una terra, quattro o cinque poesie (Garzanti, 1989). Al saggio Las trampas de la fe è ispirato il film Yo, la peor de todas, presentato quest'anno alla mostra del cinema di Venezia dalla regista argentina Maria Luisa Bemberg.