N. 10 pag. 7 Il fantastico critico di Carlo Pagetti 9 fu Rosemary Jackson, Il fantasti- co. La letteratura della trasgressio- ne, Tullio Pironti, Napoli 1986, ed. orig. 1981, trad. dall'inglese e cura di Rosario Berardi, pp. XVI - 206, Lit. 25.000. Qualche anno fa diceva North- rop Frye in un'intervista pubblica- ta anche in Italia: "Penso che il fan- tastico sia uno sviluppo abbastanza recente nelle arti, e che prima del nostro secolo non avesse che un'esi- stenza marginale. La sua crescente influenza ha molto a che fare con il 'desiderio' di creare un mondo nuovo". L'attenzione rivolta dalla critica alla letteratura fantastica è certamente dovuta anche alla cre- scente influenza di Frye, come si è potuto vedere anche nel recente convegno dedicato al grande critico canadese che è stato organizzato da Agostino Lombardo presso l'Uni- versità La Sapienza di Roma. In parte ricollegandosi alla visione let- teraria di uno scrittore semidimen- ticato come C. S. Lewis, Frye pro- pone, in alternativa ad altri modelli di tradizione, un suo percorso lette- rario che parte dalla Faerie Queene di Spenser e dalla Tempest di Shake- speare, prende in considerazione Lewis Carroll e MacDonald, e ;iunge fino a Tolkien e alla science- ction contemporanea. Nel suo Fantasy. The Lìterature of Subversion curato con notevole competenza da Rosario Berardi, Rosemary Jackson non menziona mai esplicitamente Frye, da cui mo- stra di dissentire, quando colloca il "fantastico" in una zona intermedia tra "meraviglioso" e "mimetico", relega Tolkien e la sua tradizione (come anche la fantascienza) nell'a- rea più circoscritta e rassicurante del meraviglioso e cerca invece di stabilire una "relazionalità negati- va" tra "fantastico" e "reale": "Ten- tando di trasformare le relazioni tra l'immaginario ed il simbolico, il fantastico scava il 'reale', svelando la sua assenza, il suo 'grande Altro', la sua parte inespressa e invisibile" (p. 173 dell'edizione italiana). D'al- tra parte, quando la Jackson sostie- ne che "è forse più utile definire il fantastico come un modo (mode) letterario piuttosto che un genere" (p. 30), essa rifiuta anche formule troppo rigorosamente delimitanti e attinge sia all'approccio critico di Frye, sia a una serie di posizioni che individuano un'area dell'imma- ginario all'interno di ogni narrazio- ne cosidetta realistica. In un certo qual modo, come la concezione del "fantastico" della Jackson si colloca a metà strada tra "meraviglioso" e "mimetico", così il suo metodo cri- tico localizza uno spazio interme- dio tra gli studi della letteratura fantastica, o fantasy, in quanto ge- nere fondato su formule prestabili- te; e quelli dedicati al romance (so- prattutto nell'area anglo-americana) e all'immaginario (soprattutto nel- l'area francese, dove il termine ima- ginaire trova il suo uso più esteso). Non v'è dubbio che il punto di partenza della Jackson sia ì'Intro- duction a la litterature fantastique di Tzvetan Todorov (1970) tradotto nel 1973 in inglese come The Fanta- stic: A Structural Approach to a Lite- rary Geme, anche se poi la Jackson sottolinea che il critico franco-bul- garo non tiene nel dovuto conto "le implicazioni sociali e politiche delle forme letterarie", ma, soprat- tutto, gli rimprovera di rifiutare "le teorie freudiane perché inadeguate o irrilevanti quando affrontano il discorso del fantastico" (p. 5). In questa prospettiva, la Jackson non avrebbe probabilmente concordato neppure con la rigorosa imposta- zione semiologica d'un testo uscito praticamente assieme al suo, A Rhe- toric of the Unreal (Cambridge U. P., 1981) di Christine Brooke-Ro- se. Pur senza giungere ad affermazio- ni semplicistiche, appare evidente che il carattere sovversivo del fanta- stico, in opposizione alla dominan- te letteraria del realismo 'borghese', ha stimolato la critica femminile. Non a caso, la Jackson raggiunge nell'universo fantastico" {Il fantasti- co: una isotopia della trasgressione in "Strumenti Critici", giugno 1981, p. 203). La traduzione del testo della Jack- son, assieme a quella di altre opere come II linguaggio della notte (Edi- tori Riuniti), in cui Ursula K. Le Guin ha raccolto saggi e introdu- zioni che si muovono tra fantasy e science-fiction, dovrebbe arricchire un dibattito che, in Italia, ha sem- pre dovuto fare i conti con perples- sità e limitazioni significative. La stessa Jackson, del resto, riferendosi a contesto più vasto, osserva che "un'implicita associazione del fanta- stico con il barbaro e il non-umano lo ha relegato ai margini della cul- Per guanto riguarda il nostro pae- se, può essere significativa la diffi- denza che ha a lungo perseguitato, nell'ambito accademico, un roman- ziere come Dickens, esempio per- fetto di quel "realismo fantastico" invocato dalla Jackson come il pro- dotto più significativo di un modo, appunto, di fare letteratura al di là di troppo rigorosi schemi formulai- ci. Ea e importante che la Jackson consideri di Dickens soprattutto Great Expectations, la cui centralità nel romanzo vittoriano e in tutta la narrativa ottocentesca è stata risco- perta anche da altri importanti stu- diosi, come Peter Brooks. Salvo che per qualche precursore, come Sergio Solmi, che raccolse i ULTIMO AVVISO Il prossimo numero de "L'Indice" sarà in edicola agli inizi di gennaio. 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Svuota il 'reale' del suo 'significa- to'. Cixous presenta la sua poca fa- miliarità non come una semplice ansia sessuale rimossa, ma come un racconto di un incontro con la morte, che è pura assenza" (p. 63; la Jackson parla di "a rehearsal of an encounter with death", cioè di una 'prova', in termini teatrali). Ancora prima dalla Jackson, Vita Fortunati e Giovanna Franci aveva- no messo in rilievo il legame tra "immaginario e inconscio", sulla base delle teorie freudiane, e tra scrittura fantastica e gioco {Il fanta- stico: la letteratura come sintomo, in "Quaderni di Filologia Germanica della Facoltà di Lettere dell'Univer- sità di Bologna", voi. 1, 1980). A sua volta, Rosalba Campra sottoli- nea "la nozione di 'scontro', di vio- lazione dell'ordine naturale, insita tura letteraria... l'arte fantastica è stata smorzata da una tradizione di critica letteraria interessata a soste- nere gli ideali della classe dominan- te piuttosto che a sovvertirli" (p. 166). Tuttavia, abbiamo già sottoli- neato che la pubblicazione del testo di Todorov ha provocato in Inghil- terra e in America una serie di ri- sposte che hanno dato corpo a un'adeguata discussione bibliografi- ca, già iniziata da S. C. Fredericks ("Problems of Fantasy", in Science- Fiction Studies, March 1978), e poi approfondita nei saggi compresi in The Aesthetics of Fantasy Lìterature and Art (University of Notre Da- me P., 1982), a cura di R. C. Schlo- bin, il quale, in un successivo inter- vento, The Scholarship of Incidence: The Unfortunate State of Fantasy Scholarship {Extrapolation, Winter 1984) lamentava la lacunosa cono- scenza delle fonti di molti giovani studiosi. (Ma questo, come si sa, è un discorso che riguarda un po' tutti i settori della ricerca lettera- ria). ^■LJ suoi "saggi sul fantastico"nell'affa- scinante volume Della favola, del viaggio e di altre cose (Ricciardi, 1971), o Elémire Zolla, autore della Storia del fantasticare (Bompiani, 1964) e primo estimatore di Tolkien in Italia, la nostra critica si è mossa con considerevole ritardo almeno fino agli anni '80. L'atten- zione rivolta a scrittori come Buz- zati e Calvino e la fama consolidata di Borges stanno avendo effetti be- nefici almeno nella ricostruzione di alcuni importanti percorsi letterari (Neuro Bonifazi, Teoria del fantasti- co e il racconto fantastico in Italia, Longo, 1982; Lucio D'Arcangelo, La letteratura fantastica in Argenti- na, "Itinerari", 1983), ma è ancora nel settore anglo-americano, dove va ricordata l'attività pionieristica di Giorgio Spina, biografo di MacDonald, di cui ha tradotto Phantastes {Anodos, Rusconi, 1977), che lo studio della tradizione dei romance — da Poe a Lovecraft e al- la fantascienza — sembra stimolare un più largo impegno di giovani studiosi (Balestra, Marchetti, Palu- sci). E comunque difficile poter af- frontare il discorso sul fantastico senza una compiuta riflessione sul- la presenza di modelli mitici e ar- chetipici, e uno dei punti più con- troversi dell'analisi della Jackson consiste, probabilmente, nella li- quidazione troppo sbrigativa di Tolkien e della sua teoria della sub- creation — liquidazione che rischia di restituire a una sfera extra-lette- raria una parte importante della cultura novecentesca. Se è certa- mente stimolante segnalare che "le opere fantastiche degli ultimi due secoli sono chiari antecedenti dei testi modernisti, come Ulysses e Finnegans Wake di Joyce, con il loro compito di disintegrazione" (p. 21), il rischio però è quello di relegare nuovamente in un angoli- no oscuro una tradizione che si manifesta anche in altre forme. E vero che, nella seconda parte del suo denso volume, la Jackson passa in rassegna con grande disinvoltura — e con un eccesso di fretta dovu- to probabilmente al carattere sinte- tico della collana New Accents di Methuen — autori come Mary Shelley, MacDonald, Lovecraft e Peake, ma il pericolo di un appiat- timento di romanzieri assai distanti tra di loro su un unico parametro interpretativo non viene scongiura- to, anzi, è confermato da alcune troppo disinvolte analogie. Se è meritoria la rivalutazione della tri- logia di Gormenghast di Peake ad esempio, non troppo convincenti appaiono i riferimenti ad A lice in Wonderland di Lewis Carroll e alla Metamorfosi di Kafka (p. 156). Se è vero (ma è vero?) che "Peake rifiu- ta la nostalgia", a differenza di Tolkien, quando la Jackson affer- ma che "i suoi libri su Gormen- ghast possono essere interpretate {sic) come allegorie parziali degli orrori della seconda guerra mon- diale" (p. 157), essa sottolinea un generico elemento storico che è più che rintracciabile anche nel so- lo superficialmente arcadico uni- verso del Lord of the Ringsdi Tolkien. Né si capisce perché "la letteratura come irrealtà palese, co- me invenzione, come menzogna" sia "un'altra branca del fantastico moderno" {ibidem), applicabile, e ben a ragione, ai racconti di Bor- ges, ma non a Peake o allo stesso Tolkien, nella cui opera è avverti- bile una dimensione ironica e me- ta-narrativa dimenticata dai suoi troppo zelanti ammiratori, ma che non dovrebbe sfuggire a uno stu- dioso avvertito come la Jackson. Non a caso, la Jackson è costret- ta ad allargare le maglie della sua esemplificazione fino a comprende- re ogni forma di narrativa anti-mi- metica moderna, e a concludere con due autori americani fin trop- po noti e glorificati (Vonnegut e Pynchon). Assai più convincente è la studiosa inglese quando, nel suo ultimo capitolo, collega efficace- mente meccanismi culturali e pul- sioni psichiche cogliendone la ma- nifestazione letteraria proprio nella scrittura fantastica: "Introdurre il fantastico significa sostituire la fa- miliarità, l'agiatezza, das Heimlich, con lo straniamento, il disagio, il perturbante. Significa introdurre aree buie, di qualcosa completa- mente diverso e invisibile, gli spazi al di fuori della struttura limitativa dell"umano' e del 'reale', fuori del controllo del 'discorso' e della vi- sta" (p. 172). Ma forse il testo della Jackson è soprattutto interessante perché suggerisce un modello ese- getico utile, sebbene non partico- larmente sovversivo, quello che tie- ne in considerazione una interpre- tazione generale e storicamente do- cumentata del fenomeno ma non rinuncia alla ricostruzione di alcu- ne sue fasi e all'analisi specifica di singoli autori e testi significativi.