n "LINDICFpag 11 ■■dei libri del meseBI H poema innominato di Alessandro Serpieri William Wordsworth, Il preludio, a cura di Massimo Bacigalupo, Mon- dadori, Milano 1990, testo inglese a fronte, pp. 524, Lit 16.000. Giunge finalmente anche al letto- re italiano una delle opere più signifi- cative del romanticismo, pubblicata con un ritardo di mezzo secolo anche in patria e praticamente sconosciuta da noi nella sua interezza. Si tratta della redazione del 1805, corredata di una interessante introduzione e, purtroppo, di scarse note informati- ve. La traduzione, impegno formida- bile data la mole, è condotta con agi- lità discorsiva, ma spesso sacrifica lo spessore dell'originale e talvolta pre- senta errori interpretativi anche vi- stosi, come quando svisa il senso dei vv. 291-94 del primo libro a proposi- to del ricordo infantile del fiume Derwent che scorreva dietro la casa del poeta: "Oh, many a time have I, a five years' child, / A naked boy, in one delightful rill, / A little millrace severed from his stream, / Made one long bathing of a summer's day" non può essere reso con "Molte volte, avrò avuto cinque anni, / traevo, nu- do bambino, un ruscelletto, / una de- viazione dalla sua corrente; / facevo di un giorno d'estate un solo bagno", perché, ovviamente, non è il bambi- no che "trae" incongruamente il ru- scello, ma è il ruscello, la roggia, che "è separato" dalla corrente principa- le del fiume. Il poema è una "divina autobio- grafia", come lo definì Coleridge che l'aveva indirettamente ispirato e a cui esso era dedicato, un'autobiogra- fia della mente, singolarissimo Bildungsroman in versi e allo stesso tempo Kunstlerroman, "un poema sulla mia educazione poetica" nelle parole dello stesso Wordsworth. Ed è un poema, per così dire, nato per sbaglio, scritto in un'attesa. Nella primavera del 1798, l'anno in cui ve- niva pubblicata la prima edizione delle rivoluzionarie Lyrical Ballads, i due poeti avevano concepito l'idea che toccasse a uno dei due, a Words- worth, l'impegno di scrivere un gran- de poema filosofico riguardo all'uo- mo, alla natura e alla società, secon- do le nuove coordinate di quel dram- matico scorcio di secolo, segnato dalla rivoluzione francese, prima esaltato da grandi speranze e poi tur- bato da ancora più grandi delusioni. Avrebbe dovuto intitolarsi The Re- cluse, indicando immediatamente il punto di vista del nuovissimo poeta romantico, che si è recluso appunto, staccandosi dal già degradato mondo urbano e soprattutto dagli inganni della storia, per guardare la realtà da un livello più alto, atemporale, a con- tatto con una natura riscoperta se- condo valenze sublimi nella scia di Burke o di Rousseau. Coleridge in- calza l'amico affinché si immerga nell'impresa, e la dedichi a "coloro che, in seguito al completo fallimen- to della Rivoluzione Francese, hanno abbandonato ogni speranza di mi- glioramento dell'umanità, e stanno affondando in un egoismo quasi epi- cureo, mascherandolo sotto i bei no- mi di sentimento patriottico [questo significa domestic attachment e non 'affetto domestico' come traduce Ba- cigalupo] e di disprezzo per philo- sophes visionari" (lettera del settem- bre 1799). Nell'autunno del 1798, Words- worth è in Germania con la sorella Dorothy, e cerca di avviare quel poe- ma, ma non ci riesce. Proprio da que- sto fallimento nasce il primo Prelude, una versione in due parti, in cui il poeta, interrogandosi sulla sua stessa vocazione letteraria, si trova a rico- noscerne la genesi in alcune scene d'infanzia e quindi nelle passioni e nei percorsi conoscitivi dell'adole- scenza. In quella prima redazione il poema è concluso già nel 1799, opera visionaria, tutta colma di epifanie (nel senso che sarà poi di Joyce o di Proust) e aperta ai segni del numino- so; nella quale, molto modernamen- te, la memoria è sia scena ricordata che atto del ricordo, ed è quindi l'in- contro di "due coscienze", come di- ce lo stesso poeta, due coscienze nel cui irriducibile sfasamento verbale e conoscitivo resta inscritto il segreto stesso della visione. Tutto è estrema- mente denso e compatto in questo gran parte dovuta all'incontro con Coleridge oltre che alla discreta pe- dagogia naturalistica della sorella Dorothy. Questa nuova, e molto più vasta versione viene terminata nel 1805, secondo un disegno circolare: da ora all'infanzia, all'adolescenza, alla giovinezza, alla crisi diremmo oggi ideologica fra i due secoli, e infi- ne di nuovo ad ora, all'attuale im- mersione nel mondo della natura e degli umili. Si accentua in questa redazione — che è ora considerata da quasi tutti i critici la più interessante e quindi la definitiva, pur se, come vedremo, non lo è — il gioco delle "due co- scienze", lo sfasamento tra il mo- mento dell'enunciazione e quello barca di notte sul lago (dove gli aspetti del naturale si caricano di connotazioni antropomorfe verosi- milmente legate alle figure parentali: l'acqua appare materna, visto anche che tutto quel che è liquido afferisce sempre in questo poema al femmini- le, mentre il picco minaccioso che si erge all'improvviso sulle alture so- vrastanti il lago a inseguire il bambi- no terrorizzato si presenta come fi- gura del paterno, visto anche che tut- to quel che è roccioso e dirupante rientra spesso, obliquamente, nel pa- radigma del maschile); oppure il pas- so di XI, 316-45, anch'esso inteso a sublimare, nel segno delle due donne più amate, e più caste, della sua vita adulta, la sorella Dorothy e la moglie In trappola, nel sogno americano di Anna Baggiani Harry Mathews, Sigarette, Bollati Borin- ghieri, Torino 1990, ed. orig. 1988, trad. dal- l'inglese di Fausto Galuzzi e Anna Nadotti, pp. 269, Lit 28.000. Americano, autore di un insolito romanzo, Mutazioni (Rizzoli, 1964), l'unico finora da noi tradotto, dove dava prova di un 'irresistibile vo- cazione al divertissement, Harry Mathews arri- va presto a Parigi per approdare all'Oulipo, l'Ouvroir de littérature potentielle fondato nel 1961 da Raymond Queneau e Francois Le Lion- nais. Un vero laboratorio di sperimentazione let- teraria che si propone di ' 'ricercare forme e strut- ture nuove " e di cui fanno parte tra gli altri Rou- baud, Calvino, Perec. A Perec, amico e tradutto- re dell'autore, è dedicato questo Sigarette. In un sottile gioco combinatorio si allineano, come couplets di un abile rondò, ma per continue va- riazioni diacroniche e sincroniche, quattordici coppie di personaggi, in quindici intensi capitoli, più uno, dedicato a colui che guarda. Una strut- tura musicale, con un occhio al giallo, che coin- volge fino in fondo il lettore, rendendolo compli- ce e partecipe. Elizabeth, personaggio centrale, è l'unica a percorrerla in tutte le direzioni, comè un refrain, presenza reale oppure onnipresente ritratto, distrutto, nascosto, ritrovato; ed è l'uni- ca a sfuggirle col fascino della sua irriducibilità. Intorno a lei si scompongono o ricompongono, impaniate nelle consuete faccende d'amore, ses- so, gioco e denaro, coppie di americani non pre- cisamente tranquilli. Nel realizzato "sogno ame- ricano", sotto educate convenzioni, si celano truffe, tradimenti, trasgressioni — come quella, sadomasochista, di Lewis e Morris, destinata a fi- nire in tragedia; e la morte sembra affacciarsi sot- to mentite spoglie, come nel bellissimo capitolo sulla grave malattia di Phoebe, confusa con una nevrosi. Complicati e perfidi rapporti di parente- la, e d'amicizia, s'intrecciano e si sciolgono: im- possibile riassumere la fitta trama d'avvenimenti che dà corpo alla storia. L'abituale mistificazio- ne della realtà s'incarnerà, con humour, nella fi- gura dell'attore — assunto per recitare la parte dello scapolo alle feste — del capitolo conclusi- vo. Ma il gioco dei quattro cantoni, secondo le regole, lascia sempre fuori qualcuno: al lettore il piacere di identificarlo. La "littérature potentielle", tradotta in atto, rivela, soprattutto, l'autocoercizione a un rigoro- so metodo di lavoro, senza concessioni al caso. Ma sempre di giochi si tratta, e "les jeux son faits": tutto quanto si narra è già avvenuto, sot- toposto al disincantato distacco del tempo e della memoria, senza spazi per nostalgie alla Fitz- gerald ma neppure per insensate lezioni di mora- le. Lo scrittore prende le distanze: registratore di eventi, diventa uno storico dell'esistente, che ri- cerca, annota puntualmente, riflette eludendo una piena partecipazione — basterebbero, a di- mostrarlo, le citazioni. Ma la vita irrompe tra le righe, scompaginandone, dolorosamente, gli equilibrismi. Decantata nella controllatissima tensione di un singolare piacere di scrittura, di- stillata e concreta, la materia umana del libro ri- vela così, in extremis, l'anima americana di Ma- thews. La ben nota aspirazione alla totalità che appartiene alla miglior tradizione del romanzo americano (e questo è un vero romanzo, al di là dei sofisticati funambolismi oulipiani); l'ostina- ta volontà di imbrigliare il torrente della vita in un'asciutta concentrazione, che non sarebbe spiaciuta a Stevenson, non a caso uno dei model- li dello scrittore. primo Prelude in due parti, che il poeta sembra considerare, al mo- mento, concluso, visto che ne redige insieme alla sorella due belle copie. E ora si volge di nuovo a The Recluse, ma riesce a stenderne, l'anno succes- sivo, solo l'inizio, il primo libro inti- tolato Home at Grasmere, che celebra il suo felicissimo approdo insieme a Dorothy, sua ispiratrice e sua com- plice, nella valle di Grasmere situata al centro della natia e sempre mitica- mente vagheggiata regione dei laghi, il Cumberland. Ma quell'inizio non è, di fatto, che un'altra modulazione del Prelude. Poema che viene presto ripreso e sviluppato in ben tredici li- bri, ottomilacinquecento versi. Il progetto si allarga smisuratamente per includere le svolte successive al- l'infanzia e all'adolescenza, gli studi a Cambridge, i due cruciali viaggi in Francia, l'incontro con la rivoluzio- ne, le speranze, l'utopia palingeneti- ca, cui segue la depressione, il perio- do buio nelle Londra confusa e spet- trale, e infine la rigenerazione nella natura ritrovata, rigenerazione in dell'enunciato. Pertanto il racconto si configura spesso come una sorta di elaborazione secondaria della visione (similmente a quanto avviene per il racconto del sogno) ed è straordina- riamente moderno il fatto che Wordsworth si renda conto, in più punti, delle motivazioni inconsce che stanno dietro alla folgorazione di un'esperienza infantile nel suo pro- dursi e nelle tracce passionali — pau- re, turbamenti, eccitazioni — che imprime nella mente, allora e subito dopo e poi ancora tante altre volte, fino ad ora, al momento che le rime- mora lontane e tuttavia ancora attua- li e misteriosamente generative. Non a caso, in tale escursione continua (per quanto riguarda almeno le epifa- nie dell'infanzia e della prima adole- scenza) interviene puntualmente quel processo che la psicologia freu- diana ha definito come sublimazio- ne: si veda per esempio il passo "Wi- sdom and Spirit of the Universe!" (I, 428 sgg.), rivolto a sublimare la pau- ra del terribile appena raccontata nel perturbante episodio del furto della Mary, la scena segretamente tramata di morte e di eros che si conclude con l'immagine della giovane contadina sbattuta, violentata, dal vento. Alla Natura numinosa, ambiva- lente, e maschile-femminile, pater- na-materna nelle sue valenze miste- riose, si alterna sempre la Natura su- blimata, maestra, che forgia il poeta, pur tra "terrori, antiche angosce, rimpianti, assilli", eleggendolo come suo "essere favorito". Si tratta di quel rapporto recondito, riservato a pochi, in cui il poeta romantico, nelle parole di Coleridge, riesce a intuire che "conoscere è rassomigliare": non più analizzare, dedurre, argo- mentare — alla maniera degli illumi- nisti — ma entrare in sintonia, in empatia, col tessuto animato del Tut- to da cui l'uomo si è separato e a cui deve tornare comprendendo il mon- do per rassomiglianza. E ciò vale non solo per le epifanie infantili ma an- che per le esperienze adulte: la sua immaginazione è stata ferita, lacera- ta, compromessa, dalle esperienze storiche, politiche, sociali, e solo la Natura potrà, alla fine, risanarla e re- stituirla al suo compito superiore di conoscenza non costretta da ipote- che contingenti e limitanti: i libri XI e XII si intitolano appunto Imagin- atìon, how impaired and restored. Compiuto il grande poema, Wordsworth non ne è tuttavia con- tento, perché pensa sempre al Re- cluse come all'impresa che coronerà la sua arte. Considera quest'opera autobiografica, senza nome, se non quello, puramente indicativo, di "poema a Coleridge", "come una sorta di portico al Recluse, parte del- lo stesso edificio". E il Prelude resta inedito. Poi, dopo molti anni, quan- do il progetto del Recluse è definiti- vamente tramontato, torna a lavo- rarci sopra, apporta piccole revisioni, in genere non felici (perché tendono a razionalizzare e a moralizzare le vi- sioni e le esperienze), e ne conclude la terza e ultima stesura nel 1839. Scrive allora a un amico che la versio- ne del 1805 "esiste ancora in mano- scritto" e che "la sua pubblicazione è stata impedita semplicemente dal carattere personale dell'argomento". Il poema avrebbe visto la luce solo nel 1850, dopo la morte dell'autore, e con il titolo che conosciamo, voluto dalla moglie per indicare ancora una volta, ma con una metafora musicale, il carattere "preliminare" dell'ope- ra: Preludio, appunto. L'equivoco, dunque, resiste fino alla fine: il poe- ma è innominato e innominabile se non in relazione a quell'altro poema, The Recluse, di cui invece, fin dal- l'inizio, c'era il titolo, il nome, e non il corpo! Il poeta era consapevole, fin dal 1799, dell'operazione estrema- mente nuova, trasgressiva secondo i codici d'epoca, che aveva compiuto andando a rimestare nei suoi ricordi. La non nominazione del poema se- greto dipendeva da una parziale ri- mozione, a posteriori, di un'avven- tura letteraria inconsueta, che aveva avuto un mezzo permesso di realiz- zarsi solo a condizione che fosse altro da quella che era, non il poema tanto sognato e cercato, il Recluse (che in effetti è), ma una sua preparazione, un esercizio di scrittura. Che non poteva essere pubblicato, ma solo confidato, alla sorella, a Co- leridge, a pochi altri. Lo lesse tutto a Coleridge nel 1807, e l'amico ne fu affascinato, quasi sconvolto. Scrisse, la stessa notte, una poesia intitolata To William Wordsworth, in cui parlò di "quel canto / più che storico, quel canto profetico / in cui (alto tema da te per primo adeguatamente cantato) / delle fondamenta e della costruzio- ne / di uno Spirito Umano hai osato dire / ciò che può essere detto, rivela- to / alla comprensione della mente ... pensieri troppo profondi per le paro- le! / Tema difficile quanto alto! / Di spontanei sorrisi e misteriose pau- re..." Aveva colto l'essenziale: il canto, ancor più che storico, era pro- fetico, ed era nuovo, ardito, volto a tracciare la genealogia di una mente, a dire il dicibile e a implicitare l'indi- cibile. Ma se il Prelude è, soprattutto nei primi due libri e nell'undicesimo, un sondaggio straordinario di visioni infantili, di rapporti segreti e disloca- ti, e un'analisi della mente che cono- sce il mondo anche e soprattutto riat- tingendo le proprie tracce originarie e rielaborandole tra sussulti e subli- mazioni, il suo valore, poetico e do- cumentario, solo in parte inficiato da occasionali lungaggini e ripetizioni, va oltre il pur "divino" autobiografi- smo, offrendoci anche (nei libri III- X) le coordinate storiche, sociali e ideologiche di un'intera epoca. E l'angolatura costante è quella riflessi- va e filosofica, ma senza tecnicismi o argomentazioni astratte, perché si tratta della filosofia di un poeta. Un poeta che, come annotava Coleridge nel suo Table-Talk, "possiede il ge- nio del grande poeta filosofico più di qualsiasi uomo che abbia mai cono- sciuto o che sia mai esistito, io credo, in Inghilterra, dai tempi di Milton".