riNDjCF ■■dei libri del mese■■ II gusto di essere superflui Dentro e fuori l'accademia È rara la soddisfazione di chi è stato seduto dietro un ta- volo per far funzionare qualche cosa, lavorare, qualche volta con sacrificio, e poi, un giorno, rendersi conto che si può passare dall'altra parte del tavolo, occupare una sedia qualunque, continuare a partecipare all'impresa comune che non si intopperà, perché ormai vive di vita propria. Anche se sei convinto che è giunto il momento, ti alzi con qualche esitazione, a quella sedia sei affezionato, ma so- prattutto ti guardi attorno. Ci sarà qualcuno disposto a prendere il tuo posto? Quando ti accorgi che c'è, che ci so- no una due tre persone disposte a fare quello che ti sei sforzato di fare e che lo possono fare più e meglio di te, so- lo allora verifichi che la fatica era utile, che l'impresa è vi- tale, che è proprio il risultato conseguito che ti rende su- perfluo. Allora puoi gustare il piacere del lavoro comune con minori responsabilità e più libertà, sentendoti grato verso coloro che ti hanno fatto l'onore di sostituirti. Co- me sei grato a tutti, tutti senza eccezione, quelli con cui hai fondato e portato avanti un'impresa che continua a vi- vere. Lettori, collaboratori, inserzionisti, amministratore e vicedirettore, redattori, soci-proprietari hanno dimostra- to insieme che fondare "L'Indice" aveva un senso. All'i- nizio chi conósceva il mio rispetto per l'impegno politico mi chiedeva cosa avessi in mente, con l'aria di parlare "so- lo" di libri. Probabilmente pensava ad un qualche messag- gio da trasmettere che mi motivasse. Il messaggio c'era, ma si potrebbe affermare — alla MacLuhan — che era il mezzo. Mi pareva, e mi pare tuttora, che parlare di libri, dopo averli letti, sforzandosi di discuterli oltre che giudi- carli, con uno sforzo continuo di autonomia e competen- za, fosse di per sé significativo, anzi democratico, in una cultura prima separata e poi consumata dalla comunica- zione giornalistica. Affiancare punti di vista e culture, ric- che nella varietà ma tradizionalmente poco inclini a coabi- tare, con o senza rispetto reciproco, costituiva un altro elemento di novità. Sostituire la critica al binomio tradi- zionale stroncatura-soffietto, come due facce della stessa medaglia, era un criterio che incontrò iniziali incompren- sioni anche da parte di molti amici. Non parliamo della difficoltà di contribuire ad un nuovo costume per il quale abbiamo rinunciato a parlare dei libri che molti di noi han- no continuato a scrivere (cosa facile) e abbiamo sempre pubblicato tutte le lettere, tutte le repliche, anche le più scomode, senza sentire il bisogno immediato di riafferma- re le nostre ragioni (cosa assai più difficile). Forse è poco, ma a me è parso che — ieri e oggi, in Italia — fosse importante fare poco ma subito, in questo come in altri campi. (g-g-m.) A leggere quanto è scritto a fianco sembra che il contri- buto di Gian Giacomo Migone ali"'Indice" sia consistito essenzialmente nello star seduto su una sedia in attesa di qualcuno che ci si sedesse lui. Un'immagine, a dir poco, ri- duttiva. In realtà non ci sarebbero stati né sedia, né tavo- lo, né niente senza Gian Giacomo Migone, che anziché con un utente di sedie andrà paragonato con un instanca- bile falegname che rifà continuamente anche la seggiola su cui siede, e a maggior ragione quella su cui vorrebbe tra- sferirsi, "dall'altra parte del tavolo", è opera sua. "L'In- dice" è nato perché Migone è andato pazientemente in cerca dei cavalieri da sistemare intorno alla tavola roton- da, trovandoli nei luoghi e nelle positure più diverse: chi nella sala di un castello, assiso su un trono, circondato da armigeri; chi tra gli scudieri di più basso rango, ma con in fronte i certi segni dell'elezione; chi infine in mezzo alla foresta, assopito accanto a una fontana incantata, dopo essersi spogliato dell'elmo e della corazza. Se il designato non lo seguiva, Migone ne cercava un altro, e spesso fati- cava a trovarlo, errando tra fiumi e montagne e predican- do ai sordi finché le loro orecchie non si aprivano. Certo, tutti avevano sullo scudo qualche blasone acca- demico. È questo che distingueva "L'Indice" sin dal- l'inizio da analoghe imprese recensorie che già esistevano o scalciavano nella pancia dell'industria culturale. Questa era una forte limitazione, poiché i cavalieri accademici erano abituati ad altre tenzoni e il pubblico attonito assi- steva alle loro spesso difficili evoluzioni per ammazzare con una lancia pesantissima qualche incauto moscerino. Di ciò siamo andati emendandoci nel corso degli anni, ri- correndo a collaboratori non blasonati e la presenza di Al- berto Papuzzi come condirettore è garanzia che continue- remo a emendarci. Tuttavia la matrice accademica ha il vantaggio che siamo coscienti di sapere qualche cosa ma non ci illudiamo di sapere tutto, come oggi si illude la mag- gior parte dei mortali scriventi. Forse questo può salvare noi e i nostri lettori dalla nausea dell'informazione. In questo senso devo autocriticare quanto dissi nel primo nu- mero di questa rivista, e cioè che la sola scelta era un giudi- zio di valore e che occorreva quindi bandire le stroncatu- re. Se fossimo i soli recensori sulla piazza, l'esortazione sarebbe corretta, ma non lo siamo, ed è quindi preferibile un ingeneroso errore di valutazione a un astensionismo che non introduce sassolini in un meccanismo implacabi- le. La mitica sedia di Gian Giacomo è occupata ora da tre sederi. Ci auguriamo vivamente, e i lettori con noi, che le parti superiori bastino a sostituire la sua. Ma non ne siamo troppo sicuri. (c.c.) Il Consiglio di Amministrazione della Società Cooperativa a.r.l. L'Indice ha accettato le dimissioni del direttore della rivista "L'Indice dei libri del mese", prof. Gian Giacomo Migone e del vicedirettore, prof. Franco Marenco. Su designazione del Comitato di Redazione, il Consiglio di Amministrazione ha nominato direttore il prof. Cesare Cases, condirettore il giornalista Alberto Papuzzi e vicedirettore il prof. Giuseppe Sergi, a decorrere dal 10 ottobre 1990. Il prof. Migone continuerà a far parte della direzione della rivista, nella sua qualità di condirettore di "Liber". Il Consiglio di Amministrazione ringrazia i direttori uscenti per la loro opera e coloro che li hanno sostituiti per la disponibilità nei confronti della rivista.