N. 9 pag. 11 Sulle rive dello Yangtze di Carlo Pagetti J.G. ballard, L'Impero del Sole, Rizzoli, Milano 1986, ed. orig. 1984, trad. dall'inglese di Gianni Gilone Colombo, pp. 325, Lit. 22.000. Intervistato nel 1975 sulla sua formazione di autore di una narrativa così apparentemente lontana da ogni notazione autobiografica e da ogni ricostruzione storica come la fantascienza, J.G. Ballard aveva messo l'accento sulla sua infanzia, passata a Shanghai (dove era nato nel 1930), conclusasi con l'internamento in un campo di prigionia giapponese tra il 1943 e il 1946: "l'intero paesaggio là fuori ebbe un potentissimo influsso su di me, così come tutta l'esperienza della guerra. Tutti i centri, le città, i luoghi di vacanza sul mare a cui io continuo a tornare nella mia narrativa erano là in quell'enorme paesaggio, l'area attorno al nostro campo. Ci fu un periodo quando non sapevamo se la guerra era finita, quando i Giapponesi avevano abbandonato più o meno l'intera zona e gli Americani dovevano ancora arrivare; allora, tutte le immagini che io continuo a usare — i condomini abbandonati e così via — devono aver toccato qualcosa nella mia mente. Era una zona molto interessante dal punto di vista psicologico, e ovviamente ebbe una grande influenza — come la natura semitropicale del luogo...". Ma appunto già in questi ricordi emerge il dato di uno straniamento visuale ed emotivo che, in seguito, trasformerà agli occhi del giovane Ballard l'Inghilterra dell'immediato dopoguerra in un grigio universo alieno, consumato dallo sforzo bellico, appiattito in monotone zone erbose. Con un ulteriore processo di dislocazione storico-geografica, alle immagini di un continente in ebollizione come quello asiatico o inerte come quello europeo, Ballard, nella stessa intervista, sovrappone l'impatto con la vivace e prepotente cultura americana, importata sulle coste della Cina prima dell'arrivo dei giapponesi e trionfante alla fine della guerra, allorché l'esperienza asiatica dello scrittore si tronca bruscamente, e la Shanghai delle concessioni europee, dei consumi americani, delle folle cinesi, degli eserciti giapponesi, rimane fissata per sempre nella memoria, per diventare, con il progressivo distanziamento operato dal tempo e dal sovrapporsi di altre esperienze, l'altro polo di un pianeta familiare, eppure sempre in bilico tra allucinazione e apocalisse, che nella narrativa fantascientifica, fatta di scomposizioni temporali e di universi paralleli, aveva già trovato una sua compiuta espressione. Ecco dunque, con L'impero del sole (The Empire of the Sun), l'esigenza di un più diretto approccio alla realtà storico-biografica da cui è nato l'universo fantastico della science-fiction, che Ballard ha in comune con Vonne-gut, Dick, Ursula Le Guin, con quegli scrittori, cioè, che hanno avuto un ruolo fondamentale nella affermazione della fantascienza come genere narrativo altamente significativo dei processi di metamorfosi culturale e della riflessione contemporanea sui meccanismi dell'immaginario tecnologico. Nel viaggio a ritroso che L'impero del sole ricostruisce, lo scrittore percorre i tortuosi meandri della scrittura fantastica nei termini delle riconoscibili (eppure sempre alienanti) metafore spaziali che il paesaggio di Shanghai e dei suoi dintorni (la zona del porto, le risaie acquitrinose) proietta nella mente di un bambino europeo — ma mai vissuto in Europa — che deve affrontare, senza neppure la protezione dei genitori, l'esperienza della guerra e di un campo di concentramento. Il doppio processo, appunto, di adattamento, che rinvia alla realtà sordida e angosciosa di una condizione di prigionia e di impotenza totale, e di trasfigurazione fantastica, che consente al bambino di trasformare la guerra in un gioco infantile di cui egli è l'eroe e gli invasori giapponesi gli enigmatici comprimari, struttura e modella il bandonati, di cui la guerra stessa è epitome, oltre che responsabile. Del resto, accanto al più volte ribadito influsso del surrealismo e della pop art, è visibile in Ballard l'attenzione verso film di guerra come Apocalypse Now e Urla nel Silenzio. Per altri versi, il Ballard "orientale" de L'Impero del sole ricorda il defunto Philip K. Dick (uno scrittore che aspetta ancora l'attenzione della critica), anch'egli affascinato dalla cultura giapponese e, nelle ultime opere, impegnato a creare un abile impasto di fantascienza e autobiografia. Ma il Dick-Horselover Fat di Valis è un adulto sfatto e schizofrenico, mentre il Jim di Ballard è un fanciullo che conserva, malgrado tutto, oc- visionaria, capace di rivisitare in chiave post-moderna certi modelli del decadentismo. Nell'ultima parte de L'Impero del sole i bombardieri americani spalancano le loro ganasce per scaricare non bombe, ma contenitori di cibo: accanto al latte in polvere e alla carne in scatola, arrivano dal cielo straripanti riserve di "Reader's Digest" e di "Life", a significare la vittoria di quella cultura con cui Jim dovrà fare i conti. Del resto, non una sola parola in giapponese appare nel romanzo. Muovendosi senza una mèta precisa nella terra di nessuno, cosparsa di cadaveri in pose grottesche, che circonda Shanghai prima dell'arrivo degli americani, Jim ha la vivida impressione di poter L'ossessione del racconto di Silvana Colella Alice James, Il diario. 1889-1892, La Tartaruga, Milano 1985, trad. dall'inglese di Maria Antonietta Saracino, pp. 225, Lit. 15.000. "Come è triste che la gente pensi sempre che una persona assolutamente inoffensiva debba portare l'impronta del serpente di famiglia impressa su di sé. La musa domestica non è originale". Nell'universo raccolto della famiglia James ad Alice era toccato in sorte il ruolo poco entusiasmante della musa domestica, vestale di talenti altrui; una sorte che inevitabilmente inibiva i suoi talenti e le potenzialità della sua mente. Più vicina per intelligenza e interessi al mondo maschile della cultura che a quello femminile della casa, Alice entra in lotta con il suo stesso destino. Iprimi segnali di questo conflitto sono gli attacchi precoci di un male a lungo inclassificabile: la risposta del suo corpo alle costrizioni della mente. Nel diario che Alice comincia a tenere all'età. di quarantuno anni quel corpo, malato quasi da sempre, viene deliberatamente messo in castigo, confinato nelle metafore più negative — "vecchia carcassa", "mucchio di stracci", "massa indistruttibile" — e sostituito con un corpo meno ribelle e più sano, quello delle parole. Ma come un fantasma ingiustamente punito, alla fine rimarrà l'unico trionfatore. Alice forse lo sospettava, per questo nelle pagine del suo diario insegue un lucido ideale di morte, singolarmente affine alla Morte regale che nelle poesie di Emily Dickinson arriva in carrozza. La stesura del diario è, in un certo senso, un lento e meticoloso preparativo all'abbandono totale della fisicità. Un abbandono però che tocca gli estremi del successo: "Il successo o il fallimento di una vita, per quanto riguarda la posterità, sembra risiedere nella maggiore o mino- re abilità nel cogliere il momento adatto per eclissarsi". Nel pareggiare i successi pubblici dei suoi fratelli, Alice sceglie per sé una dimensione più intima, quella della propria esistenza, e ne fa materiale di scrittura. Quando il successo finalmente arriverà con la sua puntuale uscita di scena, sarà raddoppiato dal diario, dialogo anticipato con la posterità che Alice instaura a compimento della sua strategia di resistenza alla vita. Rivolgendosi direttamente ad un lettore implicito —- "caro Inconnu" —, nell'autorevole certezza di creare qualcosa che le sopravviverà, nel diario Alice osserva e descrive, con un linguaggio spesso viperino, "un po' di quel che accade — o piuttosto non accade". Gli obiettivi della sua implacabile ironia sono molto spesso i mali della società, le mistificazioni dell'imperialismo britannico, il dilagante fariseismo, e anche i bambini, "appendici", "escrescenze", prodotti malriusciti di una fastidiosa tendenza alla riproduzione. Solo un aspetto dell'esistenza deve necessariamente rimanere escluso dall'osservazione: lo spettacolo tanto atteso della propria morte: "La difficoltà nel morire sta nel fatto che la cosa non si può raccontare ai propri amici, ed allora dov'è il divertimento?". Con questa jamesiana ossessione del racconto, Alice si congeda rammaricata dal suo ipotetico lettore, insinuandogli però il dubbio di essere un'altra Judith Shakespeare solo in parte mancata. percorso narrativo de L'impero del sole. Non vi è qui, però, l'ironica contrapposizione tra la cronaca brutale della guerra e il fittizio ma rassicurante mondo futuristico, proposto da Vonnegut, un altro autore di fantascienza alla ricerca delle sue radici nelle personali vicende di soldato americano mandato a combattere vicino a Dresda, in Slaughterhouse-Fi-ve (Mattatoio n. 5). Il piano fantascientifico è stato riassorbito attraverso la prospettiva soggettiva di un punto di vista infantile, più vicino a quello dello Henry Fleming di The Red Badge of Courage di Stephen Crane che a quello del Billy Pilgrim di Vonnegut. Ma la fantascienza è già in nuce nel sottostante motivo dell'esplosione apocalittica di un universo ridotto alla finzione di un film incomprensibile, proiettato su uno schermo gigante, ultimo relitto di una civiltà tecnologica che ha coperto con i propri rifiuti la superficie della storia, generando quel paradossale e strabocchevole sciupio di corpi e di oggetti ab- chi innocenti, tanto da trovare, come la Little Dorrit dell'omonimo romanzo di Dickens, libertà e sicurezza solo dentro i confini di una prigione. Il Jim di Ballard, dunque, tutto vede e assimila nella sua mente, ricostruendo un'arbitraria dimensione del reale dove egli può continuare a vivere, appunto perché certe elementari distinzioni si sono dissolte. Tra modellini di aerei e terrificanti bombardieri, tra soldati di latta e guerrieri giapponesi non c'è differenza: gli invasori che sono penetrati con la violenza nella ricca casa dei genitori ballano un'inverosimile danza con la madre, mentre Jim può riconoscere un'immagine di se stesso non negli altri bambini inglesi racchiusi nel campo di Lonshua, ma nel kamikaze dal volto infantile che incontra alla fine della guerra. Potenti immagini di morte e resurrezione vengono generate e sovrapposte dalla fantasia dello scrittore, che ha messo al servizio del suo personaggio una scrittura surreale e resuscitare i morti, come nell'episodio di Lazzaro, diventando l'artefice di un evento miracoloso, capace di purificare il mondo putrefatto e contaminato. E non a caso qui Jim si identifica con il Dottor Ransome, personaggio già apparso in altre opere di Ballard, alter ego dello scrittore, questa volta nella sua versione occidentalizzata e adulta. Ma sul paesaggio di morte e metamorfosi domina, come ha notato Peter Kemp sul "Times Literary Sup-plement", la luce apocalittica dell'esplosione atomica che Jim ha visto innalzarsi nel cielo come un secondo sole, preannuncio di quel mondo futuro che solo la fantascienza sarà in grado, appunto, di descrivere: "Jim ricordò la luce che giaceva sulla terra, l'ombra di un altro sole. Qui sulle foci dei grandi fiumi dell'Asia, si sarebbe combattuta l'ultima guerra per decidere il futuro del pianeta". □ Alexander Murray Ragione e società nel Medioevo Un'opera di riferimento, illustrata riccamente, che offre un panorama insolito di un'epoca a lungo sottovalutata, durante la quale si delineano aspetti decisivi della cultura europea Lue 50 000 M.G. Cancrini, L. 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