n 5 riHDiCF pag vn HHdei libri del meseHH Nel recente film di Oliver Stone, Wall Street, uno dei protagonisti, Gordon Gekko, l'avido speculatore senza scrupoli interpretato da Michael Douglas, dice ad un certo punto al giovane yuppie suo protetto e allievo: "Ci sono i dollari. Tutto il resto è conversazione". Il senso comune sa da tempo dell'importanza cruciale della moneta nelle vicende del mondo in cui viviamo. Pure, con difficoltà si incontrano — nella teoria economica, ma non solo — analisi che tentino di dare ragione delle modalità specifiche con cui la moneta "conta". Con difficoltà, innanzitutto, perché in genere la moneta viene analizzata solo nelle sue funzioni di unità di misura dei valori, mezzo di scambio, scorta di valore: qualcosa, insomma, che rende più facile il baratto, un velo monetario agli scambi reali; o che al massimo può, se tesaurizzata, interrompere la catena degli scambi, scatenando la crisi. Con difficoltà, ancora, perché la moneta sembra essere qualcosa che, almeno lei, rende tutti eguali: in fondo, le banconote che portiamo nelle tasche o i nostri conti in banca sono diversi nella quantità, ma l'uno vale l'altro. Con difficoltà, infine, perché le interpretazioni dominanti hanno finito con il marginalizza-re visioni alternative, secondo cui la moneta va vista innanzitutto come mezzo di finanziamento delle attività produttive, e dunque anche come una causa di asimmetrie tra gruppi sociali, e come uno strumento di disciplina. La moneta, secondo questa impostazione, non è "qualcosa" che si possa aggiungere al resto per avere un quadro più realistico. La moneta è "tutto": senza considerarla sin dal principio del ragionamento come il fondamento ed il motore del processo economico e sociale si rischia di non capire né lo sviluppo storico, né l'accumulazione, del modo di produzione capitalistico. Non è un caso, forse, che tra i libri più interessanti usciti negli ultimi anni su questo tema ve ne siano due a cavallo tra storia ed economia. Il primo, di uno storico americano, William H. Reddy, Money and Liberty in Modem Europe. A Critique ofHistorical Under-standing, Cambridge University Press, Cambridge 1987, pp. xii-264, £ 8.95, finisce con l'incontrare sulla sua strada il pensiero economico classico, marxista e neoclassico, di cui deve fare una critica per affermare la sua tesi. Il secondo, di Marie Thérèse Boyer-Xam-beau, Ghislain Deleplace, Lucien Gil-lard, Monnaie privée et pouvoir des princes, Editions du Cnrs, Paris 1986, pp. 423, Ff. 240, è di tre economisti, che svolgono però un'indagine strettamente storica sulle origini della moneta moderna. Due libri, dunque, in cui un nuovo modo di fare teoria (economica) ed un nuovo modo di fare storia si rivelano intimamente intrecciati. La tesi di Reddy è che vi è una relazione tra moneta e potere, connessa alla diversità dei motivi che spingono "ricchi" e "poveri" ad entrare in relazioni di scambio. Citando Rousseau, Reddy ricorda che la moneta impiegata per ottenere merci può essere strumento di libertà, impiegata per ottenere altra moneta diviene mezzo di asservimento. Ma è proprio la necessità di libertà dal bisogno, e dunque di ottenere moneta per il consumo, che differenzia i poveri dai ricchi, che ricercano la moneta in quanto tale, e ne fanno un mezzo di disciplina dei corpi. Esempi storici sono portati a sostegno dalla tesi che l'illusione liberale di una possibile separazione tra le sfere politica, economica, sociale e religiosa è all'origine dei processi di rivoluzione e riforma (dalla rivoluzione francese al wel-fare state) che regolarmente finiscono con il mettere tra parentesi l'intrinseca politicità dello scambio. Nel libro, questa argomentazione intende essere anche una critica della nozione di classe sociale propria della storiografia marxista: ma potrebbe invece fornire gli elementi per una sua ricostruzione. Secondo gli autori di Monnaie privée et pouvoir des princes la moneta moderna nasce nell'Europa del XVI secolo dal cambio par art. svolto soprattutto da mercanti-banchieri fiorentini. La contemporanea presenza, negli spazi "nazionali" dell'epoca, di più unità di conto — quella locale e quelle straniere che vi hanno circolazione — dà luogo non solo alla creazione da parte dei sovrani di monete pubbliche ma anche alla pratica di mettere in relazione tali unità di conto Attorno alla questione della moneta come rappresentante immateriale della ricchezza astratta, invece che essenzialmente merce, sia pure "particolare", è dedicato il numero 12 dei "Cahiers d'economie politique", An-thropos, Paris 1987, pp. xiii-208, dal titolo Conception de la monnaie: un enjeu théorique. La rivista ha un taglio storico-analitico, e ripercorre in questo volume le categorie e le aporie delle teorie monetarie di Smith (Jéró-me de Boyer), Ricardo (Jean Carte-lier), Marx (Carlo Benetti e Arnaud Berthoud, che propone un confronto con la concezione del denaro di Aristotele), Schumpeter (Marcello Mes- zione manualistica. Due buoni esempi sono il Manuel de théorie économi-que marxiste del belga Jacques Gou-verneur (De Boeck Université, Bruxelles 1987, pp. 332, s.i.p.), e Un-derstanding Capital dell'americano Duncan Foley (Harvard University Press, Cambridge Massachussets 1986, pp. 183, £ 7.50). Entrambi partono da una nuova nozione di lavoro astratto come lavoro solo indirettamente sociale, e non semplicemente lavoro contenuto. Ne consegue che la moneta, in quanto immediatamente sociale, non può essere considerata nella sua essenza una merce, un prodotto di lavoro astratto. Questa conclusione è raggiunta da Gouverneur in un capitolo del suo libro più per via Cosa leggere Secondo me sulla moneta della teoria del valore-lavoro una volta che si ipotizzino prezzi con eguale saggio del profitto, o gli schemi di riproduzione che danno luogo ad una rilettura del processo di accumulazione e crisi alla luce della categoria di circuito del capitale. Secondo la visione del processo capitalistico che lo vede come un circuito monetario la moneta è essenzialmente credito anticipato dalle banche alle imprese e al governo. Da alcuni anni un luogo di discussione e approfondimento di questa interpretazione è la serie "Monnaie et Production" della rivista "Economies et Sociétés — Cahiers de l'Ismea" — giunta ora al quarto numero. Il primo {La monnaie dans un système dynamique) era già stato segnalato su queste colonne da Augusto Graziani ("L'Indice" n. 5, 1985); il secondo ed il terzo erano entrambi stati dedicati al tema La monnaie dans la crise (Presses Univer-sitaires de Grenoble: I, Tome XIX, n. 8, Paris 1985, pp. 286, Ff. 95; II, Tome XX, n. 8-9, Paris 1986, pp. 223, Ff. 95); il quarto appena pubblicato tratta invece di La monnaie, les ren-tiers et la crise (Presses Universitaires de Grenoble, Tome XXI, n. 9, Paris 1987, pp. 256, Ff. 120): i rentiers sono, ricorda Parguez nella sua introduzione, il gruppo dominante all'interno del capitale finanziario, mirano all'arricchimento puro, guadagnano dalla recessione e dall'austerità, e possono ottenere i propri obiettivi solo se appoggiati nella loro azione dal governo. La rivista contiene numerosi articoli dedicati al tema della relazione tra risparmio e finanziamento: Poulon ricorda la polemica Robert-son-Keynes, Graziani dimostra che il finanziamento in Keynes precede i profitti e dunque i risparmi, Lavoie presenta una sintesi delle teorie del circuito monetario, Parguez mostra come l'economia dei rentiers possa essere analizzata in una teoria del circuito, Heinsohn e Steiger sintetizzano le proprie ricerche sull'origine della moneta come derivante dalla proprietà privata. mediante lettere di cambio che ne stabiliscono contrattualmente e convenzionalmente i corsi, e dunque alla creazione da parte di agenti particolari di vere e proprie monete private. Il cambio par art delle lettere di cambio costituisce così una validazione sociale dei rapporti di credito sull'estero. La moneta moderna appare, in quest'ottica, già da subito ricchezza astratta, puro segno, modo di socialità tipico della modernità. Essa non nasce cioè come oro e metallo: lo diventerà, semmai, solo in conseguenza della crisi della fine del XVI secolo. L'ipotesi teorica forte che sta dietro questa interpretazione è quella secondo cui la moneta è un modo di identificare gli individui in una società di proprietà privata come titolari di contratti di debito-credito, la cui reciproca coerenza è garantita dalla articolazione tra pubblico e privato: nel caso del XVI secolo, dalle varie forme di "traduzione" delle unità di conto nazionali l'una nell'altra da parte dei mercanti-banchieri, monopolisti della funzione di validazione delle monete straniere. sori), e Keynes (André Orlean). Di un certo interesse è anche l'individuazione del banchiere John Law, contemporaneo dei mercantilisti e fautore di una moneta non metallica, come precursore di Keynes e della teoria del circuito , in quanto sostenitore di una teoria monetaria del saggio di interesse, dei danni di una tesaurizzazione quale interruzione della circolazione della moneta, e di una politica economica attiva da parte dello Stato al fine di raggiungere il pieno impiego. La rivista contiene anche la traduzione in francese di due importanti testi, uno di Rudolf Hilferding scritto nel 1912, di critica della teoria quantitativa a partire da Lina teoria della moneta-merce, ed alcuni estratti da un'opera di John Gray del 1848. Una nuova interpretazione della moneta è al'origine anche di nuove prospettive di ricostruzione della teoria marxiana, che trovano adesso anche una ricaduta nei testi di introdu- storica che concettuale, analizzando il passaggio del capitalismo da sistemi con moneta metallica a sistemi di credito inconvertibile: l'accento posto sulla moneta porta l'autore belga a relegare in appendice le classiche questioni della trasformazione dei valori in prezzi di produzione e degli schemi di riproduzione, ed a introdurre argomenti originali come l'analisi dei trasferimenti di valore e plusvalore, o a ridefinire categorie note come la forza-lavoro (interpretata come risorsa naturale e non come merce) o come la distinzione tra lavoro produttivo e improduttivo. Nel testo di Foley, invece, la ridefinizione teorica delle nozioni di teoria del valore-lavoro (secondo cui il valore aggiunto è creato dal solo lavoro), di valore della moneta (intesa come il rapporto tra tempo di lavoro e moneta-segno) e di valore della forza-lavoro (intesa come l'equivalente di lavoro astratto acquistato dai salari monetari dei lavoratori) conduce a nuove conclusioni sui loci classici della teoria marxiana, quali quello del presunto fallimento Per chiudere, vale la pena di ricordare ancora un volume che vuole anch'esso spostare l'attenzione dagli usi della moneta alla sua produzione, e dunque ai processi istituzionali della sua creazione. Si tratta degli atti di un convegno della International Economie Association, Monetary Theory and Economie Institutions, edited by Marcello De Cecco and Jean-Paul Fitous-si, Macmillan, London 1987, pp. ix-349, s.i.p., che raccoglie interventi qualificati sullo stato attuale della teoria monetaria (Hahn, Leijoh-nufvud, Grandmont, Anyadike-Da-nes/Godley, Modigliani/Papade-mos), su inflazione e istituzioni (He-ster, De Cecco, Bogomolov, Ku-czynki), e sui problemi del controllo o della politica monetaria (Niehans, Spaventa, Goodwin, Urquidi, Kal-dor). E ancora, consigliare due letture più leggere, non prive di stimoli sui temi di cui si è detto, costituite da pubblicazioni delle British Museum Publications, edite in concomitanza a due mostre: la prima, Money from Cowrie Shells to Credit Cards, edited by Joe Cribb, London 1986, pp. 192, £ 9.95, ora disponibile anche in traduzione italiana, ci fa vedere (nel senso letterale) le monete, appunto da prima della moneta metallica alla moneta elettronica; la seconda, di Virginia Hewitt-John Keyworth, As Good as Gold — come dire, la firma è oro... — 300 Years of British Bank Note Design, London 1987, pp. 160, £ 15.00, è una vera e propria ricerca non solo sul disegno delle banconote inglesi, ma sul contesto economico, sociale, commerciale e tecnologico che lo spiega, sin dal 1694, anno della fondazione della Banca d'Inghilterra.