L'INDICE ■ dei libri del mese HH pag. 20 L'Intervista Nessuno si sottrae agli intrecci Peter Brooks risponde a Franco Moretti e Stefano Rosso L'intervistato è l'autore di L'immaginazione melodrammatica, recensito da "L'Indice" nel numero d'aprile 1986. Il testo che segue rappresenta una parte dell'intervista dal lui concessa a Franco Moretti e Stefano Rosso a Milano, il 25 novembre 1986. La versione integrale verrà pubblicata nel volume Forme del melodrammatico, a cura di Bruno Gallo (Editore Guerini & Associati), in libreria nel mese di giugno. La traduzione delle risposte di Peter Brooks è di Stefano Rosso. MORETTI: Nel tuo libro L'immaginazione melodrammatica presenti il rapporto tra il melodramma e la rivoluzione francese in modo assai convincente: dimostri che il melodramma era per così dire "necessario", negli anni tra Sette e Ottocento. Poi, però, ragionando su Balzac, James e Dostoevskij, sostieni anche che il melodramma fu una forma "centrale" per tutto il diciannovesimo secolo. Non c'è una contraddizione tra queste due tesi? Se una forma simbolica è necessaria in tempi di crisi aperta, come può esserlo anche in un'epoca fondamentalmente pacifica? BROOKS: Non mi pare che si possa parlare di contraddizione. L'universo morale e psicologico che ha origine dalla rivoluzione francese — o forse, si potrebbe dire, di cui la rivoluzione francese è semplicemente il gesto simbolico — dura per tutto il diciannovesimo secolo e continua fino ad oggi; per questo non penso che il melodramma dipenda da un mondo specificamente in crisi. Direi piuttosto che è il mondo in crisi a mettere in evidenza la necessità che tale forma abbia origine; mi pare che poi questa forma sopravviva perché gli aspetti morali e psicologici del melodramma devono essere ripetuti e "provati" in continuazione. Per tutto il diciannovesimo secolo esiste ancora la necessità di un modo dell'eccesso. In altri termini la mia tesi è che il melodramma ha origine con l'inizio di ciò che chiamerei modernità — si potrebbe usare il termine "romanticismo", ma forse è troppo "estetico". La rivoluzione francese rappresenta quello sconvolgimento politico e sociale che crea il genere del melodramma e che rende necessario il modo melodrammatico. MORETTI: Hai usato l'espressione "mondo in crisi"; nel libro parli spesso di "crisi del sacro". Un'altra opera che si occupa per esteso del rapporto tra la letteratura e la crisi del sacro è Lo spirito diseredato di Erich Heller. Viene voglia di confrontare punto per punto la tua ricerca e quella di Heller. Sono diversi i punti di frattura: la Riforma per Heller, la rivoluzione francese per te. Sono diversi i generi letterari esaminati: per lui la poesia lirica, per te il melodramma e il romanzo "melodrammatico". Sono anche diverse, e anzi opposte, le vostre tesi: per Heller, con l'avvento della modernità e della secolarizzazione i segni non possono più avere un significato chiaro e univoco — mentre per te lo devono avere, proprio perché il vecchio significato religioso non è più a portata di mano. Hai mai pensato a questo possibile rapporto con Heller? BROOKS: Effettivamente non ci ho mai pensato, ma non mi pare che il mio discorso contraddica quello di Heller. Sono d'accordo sul fatto che i segni abbiano smesso di avere un significato univoco, — tuttavia direi che univoci non sono mai stati. Io scriverei una storia diversa da quella di Heller. Ciò che diventa necessario per quei generi del mondo moderno volti a ritrovare un certo contatto con quello che chiamerei l'"occulto morale", è il tentativo di spingere i segni a liberarsi della propria ambiguità, di renderli univoci. Ma è proprio il fatto che non sono univoci a giustificare la necessità degli "showdown", dei confronti drammatici, dell'estetica melodrammatica e espressionista. Se i segni fossero univoci il melodramma non sarebbe affatto necessario; ciò che è importante nel melodramma e nei generi "alleati" è sempre questo tentativo di rendere presente il segno allo scopo di esplicitare il significato psicologico-morale [...] Mi hanno accusato di usare il termine melodramma ambiguamente, come genere e come qualche cosa d'altro; io parlo anche del genere, ma ciò che mi interessa di più è il "modo"; il genere è semplicemente l'espressione più evidente del "modo". MORETTI: Vero , non c'è contraddizione in senso proprio tra la tua ricerca e quella di Heller. Saresti d'accordo nel dire che tu hai esaminato convenzioni letterarie popolari, mentre Heller si è dedi- cato a forme di élite? BROOKS: D'accordissimo: una delle cose che stavo cercando di recuperare era proprio l'importanza delle forme culturali di massa. Una parte troppo grande della storia della modernità è stata scritta dal punto di vista della cultura alta, valorizzando tutto ciò che è in pieno sviluppo a fine secolo (il Simbolismo, ecc.). Mi pare che così uno degli aspetti più interessanti del diciannovesimo secolo si sia perso. Le storie tradizionali della letteratura francese non dicono nulla sul periodo 1790-1830, quasi si trattasse di una grande terra desolata. Da un lato, perciò, protestavo contro la forma di repressione presente nelle storie letterarie tradizionali, dall'altro mi opponevo alla lettura del romanzo con le lenti create per leggere la lirica moderna. Per cui, per fare un esempio, tutto quello che si vedeva in James era immagine, simbolo, o nella migliore delle ipotesi sottigliezze psicologiche create dall'uso di punti di vista parziali, ecc. Mi pare che si perdesse troppo di ciò che James rappresenta. MORETTI: Un mio amico che aveva studiato a Cambridge mi disse che, letteralmente, non sapeva come fare a leggere un romanzo: "giravo le pagine e aspettavo che comparisse qualche metafora..." BROOKS: E esattamente il modo in cui sono cresciuto alla scuola del New Criticism, dove si sosteneva che i romanzi erano buoni solo nella misura in cui si avvicinavano alla condizione della lirica [...]. A Harvard Harry Levin insegnò un corso intitolato "Proust, Joyce e Mann", e altre cose venivano raggruppate intorno a Gide, Kafka, Svevo, ecc. Tutti romanzi magnifici, ma che non ci davano la possibilità di leggere il romanzo del diciannovesimo secolo [...]. MORETTI: The Novel of Worldiness e The Melodramatic Imagination si potrebbero definire ricerche nel campo della "storia sociale delle forme". Reading for the Plot sembra muoversi ad un livello più astratto: quali sono le ragioni di questo cambiamento?