IN. 5 pag. 19: Idei libri del meseI Sangue e trasgressione di Mariolina Bertini Stendhal, Interni di un convento. Con due cronache di Sant'Arcangelo a Baiano, a cura di Mariella di Maio, Editori Riuniti, Roma 1987, pp. 268, Lit. 20.000. Dal 1796 sino alla metà dell'Ottocento uno spettro si aggira per l'Europa: lo spettro della Monaca sanguinante. Mossi i primi passi, con la veste monacale macchiata di sangue, la lampada e il pugnale, nel romanzo di M.G. Lewis II Monaco, questo spettro instancabile frequenta racconti e ballate, melodrammi, parodie e feuille-tons, sempre ben accolto da un pubblico che nelle sue tristi vicende riconosce i tratti familiari di mille leggende tramandate a mezza voce, di mille aneddoti scandalosi messi a tacere dal potere ecclesiastico. Quel che ci racconta Interni di un convento, volume ingegnosamente costruito unendo a due novelle conventuali di Stendhal, Troppa indulgenza uccide o Suor Scolastica, due cronache che ne furono in qualche modo le fonti, è proprio l'incontro tra il romanziere francese e questo spettro seducente e doloroso, racchiuso in un alone di tragedia. Ma la Monaca sanguinante, o meglio, le Monache sanguinanti che attraversarono il cammino di Stendhal non provenivano, a differenza della monaca di Lewis, dal castello tedesco di Lin-denberg, bensì dal monastero di S. Arcangelo a Baiano, nei pressi di Napoli; al fascino di un destino di trasgressione e di sangue univano quindi l'altro fascino, tutto italiano agli occhi di Stendhal, di un'energia indomabile e appassionata; per questo, dopo averle incontrate, il futuro autore della Chartreuse e delle Cronache italiane non le potè più dimenticare e se le portò dietro, tormentose ispiratrici di testi perennemente incompiuti, fino alla morte. Il monastero di Baiano era stato distrutto, ad opera dell'Inquisizione, nel 1577; secondo una tradizione, nella quale non è facile distinguere verità e leggenda, le monache — tutte fanciulle dell'aristocrazia napoletana — furono costrette ad uccidersi per espiare i loro amori clandestini con giovani del loro stesso ambiente d'origine. Quando avvenne il primo incontro di Stendhal con la storia delle religiose di Baiano? E difficile dirlo. Il saggio, appassionante e rigoroso, che Mariella di Maio ha premesso al volume, segue ogni traccia del passaggio, nelle pagine dello scrittore, di questi fantasmi carichi d'inquietudine. Nelle Promenades dans Rome (1829) il dramma di Baiano si intravede in filigrana dietro a una vicenda, d'ambiente ottocentesco, di monache e carbonari, e compare poi direttamente, evocato in un folgorante squarcio narrativo: "Ci è stato comunicato un manoscritto che racconta la soppressione del convento di Baiano: di grandissimo interesse, e straziante, è l'esecuzione capitale di quelle suore così belle, costrette a bere i bicchieri di cicuta portati dai preti delegati dall'arcivescovo di Napoli. Le convulsioni di quelle giovani, e le parole che si lasciano sfuggire quando abbracciano le amiche che avevano preferito darsi la morte col pugnale, non trovano riscontro in alcuna tragedia". Da quale fonte Stendhal traesse le sue informazioni nel 1828-'29, non pare possibile determinarlo con sicurezza; in seguito però approfondì certamente la sua conoscenza delle vicende del monastero attraverso due testi che sono riprodotti in appendice ad Interni di un convento: un opuscolo rarissimo del 1820, che si era fatto trascrivere da un copista, ed una sorta di pastiche a più mani, Le Couvent de Baiano, pubblicato a Parigi nel '29. Il primo testo era probabilmente, come dimostra Mariella Di Maio, la fonte del secondo, meno violento nei toni anticlericali e più compiaciuto nell'in-dugiare su qualche situazione scabrosa. Dalla ripetuta lettura di questi due testi nasceranno nel '39 le pagine di Troppa indulgenza uccide, abbandonate da Stendhal per una crisi di sterilità letteraria, e nel '42 quelle di Suor Scolastica, interrotte dalla morte. È singolare come, prendendo spunto da un'unica vicenda, Stendhal abbia po- vella, che conosciamo da qualche appunto, il conte rapiva Felicia e trascorreva accanto a lei il resto della vita. Quel che è mutato alle cronache della distruzione di Baiano in questo racconto non è la vicenda centrale, ma una serie di elementi collaterali: gli intrighi delle monache, le loro vendette, e l'avvelenamento, da parte di alcune suore ribelli, della troppo debole badessa. Anche le due figure centrali di Suor Scolastica, che è ambientata nella Napoli del 1740, non debbono nulla alla truce leggenda di Baiano: Gennarino, 0 protagonista, ha l'impertinenza e il candore di tutti i giovani eroi stendhaliani e Rosalin-da, la sua amata che, rinchiusa in convento, trova modo di comunicare a Giustamente la Di Maio insiste sul carattere paradossale del rapporto tra Stendhal e il dramma delle monache di Baiano, un rapporto ambiguo e fertile, intenso e costantemente irrisolto: da un lato questo dramma ossessiona lo scrittore, lo perseguita per anni, dall'altro non riesce mai ad ispirargli un testo compiuto. D'altronde, per Stendhal, la storia della distruzione del convento di Baiano deve gran parte del suo fascino al fatto di essere una storia tipicamente italiana, possibile soltanto in quella società perennemente in guerra e in armi che era l'Italia rinascimentale. Come ha messo in luce Michel Crouzet, il più autorevole studioso dell'Italia mitica di Stendhal, per l'autore delia Chartreu- Il volto attento della morte di Vanda Verretta Lore berger, La collina misericordiosa, trad. dal tedesco di Roberto Olmi, Il Quadrante, Torino 1987, pp. 153, Lit. 19.000. E un peccato che una traduzione stoppacciosa rallenti la lettura dello straordinario racconto che Lore Berger, scrittrice svizzera morta suicida nell'estate del 1943, poco più che ventenne, tesse intorno alla collina misericordiosa della sua adolescenza. Stupefacenti sono in questa giovanissima donna gravemente ammalata, la lucidità di analisi e l'assoluto dominio della forma che le concedono il raro privilegio di creare in quella che è la sua prima e unica opera (se si prescinde da un diario inedito e da altri lavori giornalistici) un meccanismo narrativo impeccabile. L'espediente del manoscritto ritrovato e pubblicato postumo, in questo caso a cura del fratello dell'autrice, il quale introduce e conclude la storia narrata nel diario della sorella suicida, non appare affatto come tributo pagato a una tradizione scontata, ma come sofisticato strumento di verifica della tensione tra finzione e realtà. La collina della misericordia è infatti un'opera della realtà in cui l'apporto della finzione serve solo a sottolineare il fatto che anche la più concreta delle realtà resta, in fondo, indecifrabile. In una Svìzzera opulenta, colta e borghese, al riparo dalle ingiurie di una guerra comunque sempre altrove, Lore Berger colloca la storia della sua "persona insignificante" (p. 147) al centro di una moltitudine di personaggi tutti protagonisti di una vicenda personalissima e corale insieme. La malattia di Lore, infatti, indagata con occhi innocenti, partecipi e distaccati, è anche la stessa di tanti altri in un paese che da sempre è stato il rifugio dalla malattia per eccellenza; la sua cultura è quella di tutta una generazione disposta a tuto elaborare due narrazioni radicalmente diverse. Troppa indulgenza uccide, ambientata nella Toscana della fine del '500, non è una novella dai toni particolarmente sinistri: è incentrata soprattutto sulla figura della giovane Suor Felicia, intelligente e coraggiosa, che, consapevole dell'ingiustizia che le è stata fatta costringendola a prendere i voti, riesce a conquistare con la sua eloquenza il conte Buondelmonte, inviato dal principe a riportare l'ordine nel suo convento. Nel finale della no- gesti con lui da un belvedere che si affaccia su via Toledo, è certo più prossima a Clelia Conti o alla dolce madame de Rènal che non alle monache dissolute e vendicative della cronaca cinquecentesca. Stendhal ci ha lasciato però una versione del finale della novella in cui, se Rosalinda veniva portata in salvo da un anziano e potentissimo corteggiatore, le sue compagne finivano esattamente come le monache di Baiano, costrette a bere la cicuta sotto gli occhi di un impassibile inquisitore. perdere o a salvarsi a seconda delle diverse tensioni etiche personali; il suo amore infelice è l'amore appagato o meno dei coetanei; neppure la morte sarà solitaria, ma accompagnata da altre morti tutte tragiche. Non accessorio è anche il valore attribuito al tempo e allo spazio della narrazione. L'inarrestabile declino fisico dell'autrice è scandito dal ritmo lento e sempre uguale delle stagioni e si iscrive in uno spazio composito che è quello quotidiano di una nazione, di una città, di una classe sociale, di un quartiere (la collina fatale, ermo colle che la guida verso l'infinito), di un gruppo, di una famiglia. Il tema del racconto è quello del confronto con una morte attesa, simulata più volte, una morte fisiologicamente onnipresente, inevitabile e mostruosamente familiare. Un altro fantasma obbligato, quello dell'amore, diviene il pretesto per un gioco di raffinati e sottili rimandi. D'amore si muore: è questo il peccato originario di ogni sentimento amoroso che, felice o infelice, non ha mai il potere di insediarsi tanto nella corrente della vita da esorcizzare la morte, da contrastarle il passo. La seduzione del fatto amoroso, l'esplosione vitalistica che ne deriva è un estremo inganno perché non arriva a distinguere tra felicità e infelicità, appagamento e privazione, in un gioco di specchi, in cui i frammenti di immagini finiscono per ricomporsi nel volto attento della morte. Affermando di morire d'amore e descrivendo contemporaneamente il decorso reale della sua malattia Lore Berger sembra voler smascherare gli automatismi propri di una accettazione passiva del binomio mitico amore-morte: eventi sommi e assoluti, difficili da sopportare e quindi saldati insieme affinché il pensiero dell'uno possa rendere più accettabile l'idea dell'altro. se l'Italia cinquecentesca (ma anche, in una certa misura, l'Italia dei secoli successivi, specie se confrontata alla Francia) è per eccellenza la terra in cui "l'arbitrio del potere e l'arbitrio degli assassini accresce vertiginosamente l'intensità e la profondità del solo fatto di esistere". In qualche modo, il convento è il luogo chiuso in cui questa intensità si esaspera oltre il limite del sopportabile; a questo limite Stendhal non può che arrestarsi, anche se la narrazione resta incompiuta. "Oggi — scriveva Nietzsche in un'annotazione del 1885 — Stendhal impera, condottiero per gli elettissimi; e chi è dotato di sensi fini e temerari, chi è curioso fino al cinismo, logico quasi per nausea, scioglitore di enigmi e amico della Sfinge come ogni vero Europeo, dovrà seguirlo. Lo segua anche nel suo fermarsi pieno di pudore davanti ai segreti della grande passione!". DIVERSITÀ E ADOLESCENZA FEMMINILE CON LE RAGAZZE IN ISTITUTO a cura di Bruno VEZZANI p. VII 1-253, L. 20.000 Jacques-Philippe LEYENS PSICOLOGIA SOCIALE DEL SENSO COMUNE E PERSONALITÀ Processi di attribuzione e teoria implicita della personalità p. XII-254, L. 20.000 LE RELAZIONI FRA AMMINISTRAZIONE E PARTITI p. XIX-2055, L. 160.000 Isabella ROSONI CRIMINALITÀ E GIUSTIZIA PENALE NELLO STATO PONTIFICIO DEL SECOLO XIX Un caso di banditismo rurale p. 249, L. 20.000 TRATTATO DI CRIMINOLOGIA, MEDICINA CRIMINOLOGICA E PSICHIATRIA FORENSE a cura di Franco FERRACUTI Voi. XV: Alcoolismo, tossicodipendenze e criminalità p. XII-193, L. 14.000 Bruno VEZZANI Lorenzo TARTAROTTI BENESSERE/ MALESSERE NELLA SCUOLA Una ricerca tra gli studenti della scuola secondaria superiore p. VIII-187, L. 15.000 GIUFFREIDIIORE' MIIAHO VIA BUSTO ARSIZIO 40 TEL. 3010106 • CCP 721209