N. 5 pag. 15[ Idei libri del meseI clup J.N.L. Durami LEZIONI DI ARCHITETTURA pagine 252, lire 35.000 F. Dal Co, F. Irace, M. Manieri Elia, M.G. Sandri, M.L. Scalvini, 0. Selvafolta INDAGINI SUL MODERNO pagine 96, lire 13.000 Luciano Patetta L'ARCHITETTURA DEL '400 A MILANO pagine 456, lire 75.000 Aldo Rossi L'ARCHITETTURA DELLA CITTÀ (nuova edizione riveduta e ampliata) pagine 340, lire 30.000 A. Rossi E. Consolascio, M. Bosshard LA COSTRUZIONE DEL TERRITORIO. Uno studio sul Canton Ticino pagine 336, lire 40.000 HOUSING 1 Il progetto della residenza nei primi anni '80 pagine 252, lire 41.000 HOUSING 2 I grandi quartieri come problema pagine 186, lire 33.000 R. Masiero G. Pigafetta (a cura di) L'ARTE SENZA MUSA L'architettura nell'estetica contemporanea tedesca pagine 336, lire 35.000 T. Porter S. Goodman B. 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E non solo — anche se questo è il dato più immediato — per l'aggravarsi continuo dello stato di salute del mondo, ma anche per l'emergere di un elemento di forte interconnessione tra diversi fenomeni di dissesto ambientale e tra i limiti fisici e sociali dello sviluppo economico del pianeta. L'elemento che più colpisce di questo rapporto sulla salute del mondo è proprio una impostazione metodologica per nessi. Si ha la sensazione, cioè, che un unico nesso bio-economico unisca il mondo e che il deterioramento della biosfera sia collegato — nelle cause e negli effetti — a fenomeni indisgiungibili tra loro. Questo approccio metodologico produce un innesto proficuo tra pensiero economico e attenzione agli equilibri della biosfera, la "questione ambientale" diventa così a tutti gli effetti la "questione dello sviluppo economico sostenibile". Dove per sviluppo sosteni- bile si intende quello sviluppo — del-l'economia-mondo — che è capace di autoalimentarsi e nel contempo di non intaccare le prospettive delle generazioni future. L'ambiente e gli equilibri della biosfera forniscono così una chiave di lettura del carattere interconnesso dei grandi problemi dell'umanità. Per fare solo un esempio, è difficile pensare di poter rendere stabile il tasso di crescita demografica di tante parti del mondo — conditio sine qua non per rallentare la pressione sulle risorse naturali — finché non si diffonderà, anche in quei paesi che devono ancora risolvere i loro principali problemi di povertà, uno sviluppo economico sostenibile. Sviluppo sostenibile dunque, non "crescita" ad oltranza. Laddove con il concetto di crescita ci si riferisce unicamente alla scala quantitativa della dimensione fisica dell'economia. E qui ci addentriamo in un campo minato che anche il rapporto del World Watch Institute sembra aver in parte eluso. Infatti, non pare ancora affatto chiaro — né tra gli ambientalisti né tra gli economisti — che rapporto ci debba essere tra il concetto di "sviluppo sostenibile" e il concetto di "stato stazionario" (o crescita zero). Intendendo per stato stazionario una condizione dello svi-lippo qualitativo della produzione che non corrisponde affatto ad una "crescita" quantitativa. Insomma, bisogna capire fino a che misura lo "sviluppo sostenibile" presupponga dei precisi limiti alla crescita "quantitativa" della produzione. Ma non è tutto; è ormai evidente che le conseguenze ambientali delle attività economiche oltrepassano i confini nazionali. I nessi tra ambiente e sviluppo sono nessi-mondo. I disboscamenti del Nepal aggravano le alluvioni del Bangladesh. La produzione di clorofuoroidrocarburi (la sostanza responsabile del buco nell'ozono) in Giappone può influire sui tassi di tumore epiteliale in Argentina. Esagerando giusto un poco si potrebbe addirittura sostenere che si stanno prefigurando nuove classi sociali che attraversano le nazioni: "i rifugiati per cause ambientali". Sono classi sociali che superano le frontiere e che sono portatrici di nuove forme di povertà. Queste due caratterizzazioni — del collegamento allo sviluppo economico e della transnazionalità — del problema ambientale costituiscono i punti di riferimento per la proposta, che echeggia in tutto il rapporto del World Watch Institute, di un rilancio su vasta scala di meccanismi di cooperazione internazionale. Si tratterebbe, cioè, di riconoscere il fatto che l'aumento della pressione demografica e gli effetti delle nuove frontiere dello sviluppo tecnologico hanno aperto davvero una nuova era. Un'era in cui è ineludibile la messa a punto di meccanismi di cooperazione internazionale che possano contribuire a colmare lo iato tra le conseguenze ambientali su scala mondiale delle politiche economiche nazionali e gli interessi locali che di queste politiche sono l'origine. Colpiscono, da questo punto di vista, i parallelismi che Lester Brown coglie tra la situazione mondiale di oggi e quella della metà degli anni '40. Allora, egli sostiene, era necessario confrontarsi con le distruzioni provocate dalla guerra; oggi, invece, occorre affrontare, senza possibilità di proroga, le devastazioni ambientali provocate essenzialmente da scelte energetiche distruttive e da politiche demografiche fallimentari. Comunque, oggi, come già negli anni '40, la situazione suggerisce di compiere un grosso sforzo collaborativo e di cooperazione internazionale. I problemi che si prospettano oggi all'umanità assumono delle dimensioni davvero 0 La serra e la fusione ài Laura Conti Circa metà, o forse più, dello studio State of the World 1988 — Rapporto sul nostro pianeta del Worldwatch Institute, diretto da Lester R. Brown, è dedicata ai mutamenti del clima provocati dai comportamenti umani, mutamenti che da anni ormai, molto spesso, vengono schematicamente attribuiti alla produzione di C02 (o anidride carbonica, o biossido di carbonio) che si verifica per la combustione dei combustibili fossili, e all'effetto serra che la C02 esercita, rallentando l'irraggiamento del calore dal pianeta verso gli spazi, e provocando così un incremento della temperatura su scala planetaria. Il rapporto mette in evidenza che questo schema, fondamentalmente attendibile, costituisce sotto molti profili una semplificazione eccessiva di una realtà molto più complessa. Anzitutto c'è da osservare che i comportamenti umani incrementano l'effetto serra naturale non solo attraverso la produzione di anidride carbonica ma anche attraverso la produzione di altri gas, come per esempio gli ossidi di azoto e il metano; e, mentre per gli ossidi di azoto si è ancora nell'ambito dell'inquinamento da combustione, le attività umane generano inquinamento da metano per vìe diverse. Certe attività provocano la produzione di metano, altre invece danno luogo alla liberazione in atmosfera di metano generatosi per fenomeni naturali. Si determina formazione di metano ogni volta che sì ha abbondanza di materia organica in decomposizione, in situazioni locali di carenza di ossigeno: perciò i comportamenti umani provocano produzione di metano ogni volta che determinano eutrofizzazione delle acque. Ma c'è abbondanza di materia organica in decomposizione, e carenza locale di ossigeno, anche nell' humus: in questo caso la formazione di metano è un processo naturale, che in assenza di attività umane porterebbe all'ampliamento dei giacimenti di combustibile fossile; ma l'aratura del terreno, ci rammenta Lester Brown, porta in superficie il metano sepolto nell' humus e lo immette nell'aria. Il metano, in atmosfera, è responsabile di una frazione dell'effetto serra in maniera diretta, ma poi si ossida in C02 e quindi incrementa la quota di effetto serra dovuto alla C02. Questa è una delle molte vie attraverso le quali, anche prima di cominciare a bruciare i combustibili fossili, l'uomo prese a incrementare la liberazione di anidride carbonica in atmosfera: si calcola, ad esempio, che soltanto dopo il 1960 la quantità di anidride carbonica immessa nell'atmosfera ogni anno per effetto della combustione dei fossili abbia cominciato a superare quella immessavi dalle attività agricole nello stesso periodo di tempo. Lester Brown, che si è sempre occupato in maniera specifica dell'agricoltura e del suo im- patto sull'ambiente, anche in questo più recente lavoro mette in evidenza il rapporto tra le modificazioni dell'ambiente e la continua espansione delle aree messe a coltura. Tuttavia, proprio perché circa trentanni fa ha avuto luogo la grande svolta cui si è accennato più sopra, oggi qualunque discorso sui comportamenti umani che modificano l'ambiente deve incentrarsi principalmente sul problema energetico. "E possibile creare un futuro energetico sostenibile?" è l'interrogativo che si pone, nel Rapporto, il saggio di Christopher Flavin ("sostenibile" significa "tale da non compromettere le possibilità future"). Gli autori escludono dalla prospettiva sia il carbone, per molteplici problemi di inquinamento, sia il nucleare per la pericolosità e per gli alti costi: l'unico futuro energetico sostenibile si affida dunque nel breve periodo al miglioramento dell'efficienza energetica, e nel lungo periodo alle energie rinnovabili. Ma rilevano che la politica dei paesi industrializzati, i massimi responsabili del deterioramento dell'ambiente, non ha impegnato in questa direzione sufficienti risorse, per un'evidente sottovalutazione del problema. Se si vanno a studiare le tabelle statistiche che arricchiscono il Rapporto, a proposito delle risorse dedicate alla ricerca e sviluppo in campo energetico si trovano dati molto interessanti: si scopre per esempio che questa destinazione di risorse, negli anni dal 1975 al 1986, è diminuita nella Germania occidentale, in Gran Bretagna e negli Stati Uniti; è aumentata dell' 11% in Svezia, del 273% in Italia, del 281% in Giappone. Si scopre che, di tutti i paesi dell'Ocse eccettuata la Francia, l'Italia è il paese che investe in questo settore la maggior quota di prodotto nazionale lordo (quasi alla pari col Giappone, più del doppio rispetto agli altri paesi). Possiamo rallegrarcene? Nient'affatto, se andiamo a vedere come vengono distribuite le risorse tra le diverse fonti energetiche: all'aumento dell'efficienza energetica e alle energie rinnovabili l'Italia dedica il 10% delle risorse globalmente dedicate ai problemi energetici, mentre l'insieme dei paesi dell'Ocse vi impegna il 15%; al nucleare l'Italia dedica l'86% delle risorse, l'insieme dei paesi dell'Ocse il 63%. Suona come conferma di questo indirizzo anòmalo che la ricerca energetica trova nel nostro paese la notizia che l'Enea ha deciso di triplicare la quota di bilancio destinata alle ricerche sulla fusione nucleare, e che insieme all'Euratom ha affidato a un consorzio Ansaldo-Fiat la progettazione della macchina sperimentale ideata da Bruno Coppi per dimostrare la possibilità della fusio- D