IN. 5 riNDICF P g X ■■dei libri del mese■■ _Arte_ Paolo Icaro. Opere: 1982-1987, con saggi critici di Dorè Ashton e Pier Giovanni Castagnoli, catalogo della mostra, Cooptip, Modena 1987, pp. 130, s.i.p. Icaro è nato a Torino nel '36 e dal '65 risiede alternativamente negli Stati Uniti e in Italia. Esordisce nel '62 con terrecotte battute o tagliate di gusto ancora informale, e individua poi una più precisa identità progettuale, ricorrendo a forme cilindriche e a materiali industriali quali il cemento e il Christian Bernard, Dieter Ronte, Claudio Parmiggia- ni, Allemandi, Torino 1987, ed. orig. 1987, trad. dal tedesco di Inge Schladen, pp. 156, Lit. 50.000. I testi critici redatti dai direttori di Villa Arson di Nizza e del Museum Moderner Kunst di Vienna in occasione della mostra di Parmiggiani del 1987 si accompagnano ad una silloge per immagini dell'attività dell'artista, con schede di Barbara Maestri. Ventenne nei primi anni sessanta, realizza composizioni di oggetti trovati e rielaborati in cui si apre uno iato tra il configurarsi dell'immagine e la sostanza e la forma del supporto. Le Delocazioni del '70, impronte vuote lasciate sul muro da tele e oggetti, esibiscono invece l'assenza dell'immagine, in un processo iconoclastico cui seguono nel corso del decennio installazioni centrate su un uso smaterializzante e simbolico della pittura. L'esplorazione costante dei repertori della classicità non è in Parmiggiani tautologia citazionistica, ma volontà tubo in lamiera. Ma subito torna a destrutturare il suo lavoro, realizzando gabbie metalliche aperte e reti di catene, in tangenza con i primi passi del gruppo dell'arte povera. Nel '69-70 il corpo con le sue misure e geometrie interne ridiventa il punto di partenza per una produzione concettuale, che dal '74 ha individuato nel gesso il materiale privilegiato in cui inscrivere e visualizzare i comportamenti dell'artista. I lavori recenti in gesso, su cui si appunta l'attenzione di Ashton e Castagnoli, sono non totalmente premeditati e virtualmente non finiti, capaci di rendere percettibile la modalità del loro formarsi e crescere su se di reimmettere elementi desunti dal passato in un circuito metaforico attivato nel presente: le recenti Iconostasi sono composizioni di calchi e oggetti su cui il colore interviene per sottolinearne il carattere simbolico e la trasfigurazione compiuta dalla pittura. La capacità di Parmiggiani di ribaltare assetti logici e cronologici consolidati è al centro dell'analisi di Ronte, mentre Bernard addita in lui l'erede di una concezione dell'arte intesa come pratica metafisica. Maria Teresa Roberto Tom Wolfe, Come ottenere il successo in arte, Allemandi, Torino 1987, ed. orig. 1975, trad. dall'inglese di Elda Negri Monateri, pp. 80, Lit. 15.000. The painted word è pubblicato a New York nel 1975 e reso in italiano con un titolo che corrisponde male al stessi, inglobando materiali estranei (rami, pietre, vetri, metalli) e creando nello spazio il luogo della scultura. Maria Teresa Roberto Luciano Fabro. Lavori 1963-1986, con una antologia di scritti dell'artista, Allemandi, Torino 1987, pp. 191, Lit. 50.000. L'Editore Essegi di Ravenna ha già dedicato una monografia a Luciano Fabro (1983), in una collana che pub- contenuto. È bene ricordare poi l'anno di pubblicazione, perché si tratta di uno scritto di taglio giornalistico e quindi per molti versi datato. La tesi sostenuta qui da Tom Wolfe è che il vero senso, la vera identità dell'arte figurativa contemporanea non sta nel "mondo dipinto", e cioè l'opera dell'artista, ma nella "parola dipinta", vale a dire nella teoria di spiegazione e di valorizzazione elaborata dai critici più importanti e impegnati. La questione dell'importanza, anche per molti versi determinante, della figura del critico nell'arte contemporanea è di vecchia data ed è stata affrontata con ben altra profondità da molti studiosi, critici e sociologi dell'arte. Si parla qui in particolare dell'importanza di critici come Harold Rosenberg, Clement Greenberg e Leo Steinberg in rapporto all'arte americana del dopoguerra. Ci sono pagine abbastanza divertenti e ironiche e non mancano alcune indicazioni interessanti proprio per la prospettiva tutta americana del libro. Francesco Poli Astratta. Secessioni astratte in Italia dal dopoguerra al 1990, a cura di G. Cortenova e F. Menna, catalogo della mostra, Mazzotta, Milano 1988, pp. 192, Lit. 60.000. Come si capisce chiaramente dal titolo questo catalogo, piuttosto consistente, è la documentazione di una mostra che ha affrontato il non facile compito di identificare le principali tappe dell'esperienza pittorica astratta in Italia, dal dopoguerra ad oggi, dall'astrazione concreta e dall'informale degli anni '40/'50 all'arte programmata, cinetica e neocostruttiva dei primi anni '60, dalla neopittura o pittura-pittura degli anni '60/'70 al ritorno delle istanze liberamente astratte e neogeometriche di questi ultimissimi anni. La rassegna, di necessità non esaustiva, comprende ben sessantotto artisti. Per fare qualche nome: Fontana, Vedova, Turcato, blica da alcuni anni l'opera completa degli artisti italiani contemporanei (in tutto 15 volumi fino ad oggi). Alla scarsità di immagini e al piccolo formato della prima, sopperisce qui, al contrario, quasi un libro d'artista, che si apre subito con una serratissima sequenza di tutte le opere riprodotte e si chiude con una antologia di scritti di Fabro. Lo sgombro dalle "macerie" del discorso critico porta fuori altri reperti: il lavoro prima di tutto come insieme di frammenti in cui viene voglia subito di tentare il viaggio della ricomposizione: fili che legano ambienti di una recuperata geometria teatrale, il colore che i materiali spri- W/x Sr di SfX Tancredi, Castellani, Lo Savio, Gianni Colombo, Dadamaino, Griffa, Olivieri, Accardi, Dorazio. Curata in particolare l'ultima sezione degli artisti più giovani, tanto che tutta la mostra appare non tanto di taglio storico, quanto critico di tendenza in funzione di legittimazione e valorizzazione dell'attuale nuova ondata astratta. In particolare è sostenuta da Menna, uno dei curatori della mostra, una linea di "astrazione povera" (con artisti come Asdrubali, Capaccio, Rossano, Romualdi, Salvia), che si oppone decisamente a tendenze quali l'anacronismo e la transavanguardia, e che guarda con interesse alle ricerche astratte dei decenni precedenti, sia pure con occhio del tutto nuovo. Francesco Poli L'opera, numero monografico di "Figure. Teoria e critica dell'arte", IV, 1988, n. 12, Kappa, Roma, pp. 62, Lit. 8.000. La rivista "Figure", diretta da Filiberto Menna, è nata nel 1982 ed è arrivata ora al dodicesimo numero, gionano o di cui si devono ricoprire, la natura viva catturata e portata dentro la cornice; vetri, marmi diversi, stoffe, metalli sbalzati, impressi, raggomitolati. Anche gli scritti vanno letti come frammenti con qualche avvertenza e il disagio con il quale gli artisti spesso (nei casi migliori) riescono ad autoa-nalizzarsi. Parlare è sempre svelare ciò che prima si è nascosto nell'opera, quindi ripercorre a ritroso un cammino, spesso forzandone la naturale fisiologia. Il self-made-book può dire tutto questo e liberarsi anche, con una certa allegria, delle solite etichette: arte povera, arte concettuale, ecc. Adalgisa Lugli Fl\ f ujjì superando le solite difficoltà di ogni seria rivista di studi. La sua funzione è quella di proporre riflessioni e dibattiti sullo statuto della critica e sui rapporti con l'opera d'arte, sulle specifiche modalità del loro costituirsi. E lo ha fatto attraverso contributi di critici, storici dell'arte, filosofi, sociologi, semiologi, architetti, artisti, quasi sempre coordinati in numeri monografici. Da ricordare, tra i temi affrontati, il rapporto fra critica e istituzioni (n° 2-3), l'archeologia del moderno (n° 6 e 8), arte e critica attraverso il confronto di generazioni (n° 7), la fotografia (n° 11). Quest'ultimo numero è dedicato al problema teorico e critico posto dall'opera, incentrando l'attenzione sulla relazione tra progettualità estetica e singolarità dell'oggetto artistico e sulla centralità che tale confronto ha assunto nel dibattito attuale. Sono raccolti qui gli atti di due incontri che Giuseppe Bartolucci ha proposto a partire dalla questione dell'opera teatrale: "L'opera e la scrittura" e "Mito, teatro, figure, arte", con interventi di Menna, M. Grande, C. Milanese, M. Perniola, A. Attisani. Legati alla stessa problematica sono anche gli altri testi pubblicati, di G. Cannilla, E. Francalanci, L. Mango. Francesco Poli Amnesty International VOCI PER LA LIBERTÀ Venticinque anni di lotta per i diritti umani pp. 224 - L. 28.000 Marilena Cardone IL CAVALLO A ZONZOLO Il bambino e il suo gioco pp. 128 - L. 16.000 L'Attico 1957-1987, 30 anni di pittura, scultura, musica, danza, performance, video a cura di Fabio Sargentini, Roberto Lambarelli, Lucia Masina, catalogo della mostra, Mondadori-De Luca, Milano-Roma 1987, pp. 231, s.i.p. Le prime sistemazioni critiche di materiali di arte contemporanea datano agli anni '80. È con Identité ita-Henne. L'art en Italie depuis 1959 (la mostra al Centre Pompidou del 1981, dalla quale viene un monumentale catalogo) che si cominciano a raccogliere e a mettere in sequenza avvenimenti, mostre, manifesti, dichiarazioni di poetica, documenti fotografici. Trentanni sono una buona distanza per una critica di "conoscitori" anche sul contemporaneo, con buon esercizio di filologia e di cronologia (quando il mercato veleggia sulla retrodatazione e sui pastiches stilistici conseguenti). Intanto sembra importante cominciare ad allineare i fatti (e i ricordi). Con l'Attico si dà una prima ricostruzione di anni cruciali e di una galleria che ha segnato profondamente la situazione italiana, aggiornandola, da Roma, sulle esperienze europee, quando era necessario, e mostrando la parte più in crescita della ricerca nostrana, dopo il '65. Situazione esemplare anche del rapporto mutato tra arte e pubblico. Si passa infatti dalla lettura del quadro alla parete, sul solco di comportamenti secolari di amatori e conoscitori, al coinvolgimento sempre maggiore dell'osservatore nel prodursi stesso dell'opera e nella performance. Gli esordi romani del gallerista (padre)Bruno Sargentini, di orìgine spoletina, datano al 1957 con una mostra di De Gregorio, Marignoni, Raspi e Leoncillo nella quale Arcangeli (conosciuto in occasione del Premio Spoleto; come nota Bruno Toscano in una intervista a più voci che apre il volume) aveva innestato due presenze da Bologna e Milano, Bendini e Morlotti. Il primo orientamento della galleria è proprio arcangeliano, con mostre di maestri dell'informale europeo e Fautrier nel '59. Nel 1966 la scissione: Bruno Sargentini rimane in Piazza di Spagna con i suoi maestri degli anni '50-'60, il figlio Fabio apre, in un garage, all'avanguardia. E qui la sintesi annalistica che chiude il volume può offrire utili spunti, oltre a costituire già di per sé il capitolo di un probabile "il '68 e j le arti figurative", che in realtà nessuno per ora, tanto meno i protagonisti, sembra aver voglia di scrivere. Dalla pittura di materia a certo informale "oggettuale" americano, si può andare trovando intrecci e contaminazioni, fino all'arte povera, da un Attico all'altro. Adalgisa Lugli