N 5 riNDjCF - 3 ■■dei libri del meseBH Sotto il segno della rovina di Lina Bolzoni Lucia Battaglia Ricci, Ragionare nel giardino. Boccaccio e i cicli pittorici del "Trionfo della morte", Salerno, Roma 1987, 43 tavv., Lit. 30.000. Ricco e vivace si sta rivelando l'interesse per il Boccaccio, per il Decameron in modo particolare: esso appare come il momento culminante di un complesso tirocinio letterario, applicato a generi diversi, nel libro di Luigi Surdich, La cornice di amore. Studi sul Boccaccio, pubblicato lo scorso anno dalla Ets pisana; ancora fresca di stampa è la raccolta di puntuali e intelligenti analisi testuali approntata da Franco Fido (Il regime delle simmetrie imperfette. Studi sul "Decameron", Milano, Franco Angeli). Il libro della Battaglia si presenta come fortemente, a volte puntigliosamente legato alla critica precedente, ma rivendica, nello stesso tempo, una sua precisa individualità. Esso prende le mosse dalla novità strutturale del Decameron — il suo costituirsi, cioè, come libro, come un tutto organizzato e delimitato dalla "cornice" — per darne un'interpretazione inedita, che chiama in campo come protagonista un fatto artistico, e cioè il Trionfo della morte del Camposanto pisano. Va subito detto che tra i meriti del libro c'è quello di chiamare gli storici dalla letteratura trecentesca a fare i conti con le nuove acquisizioni maturate nel campo della storia dell'arte, in primo luogo con la nuova datazione del Trionfo pisano, che lo sposta indietro nel tempo, agli anni '30-'40 del Trecento. È un dato di non poco peso anche per 0 quadro storico della nostra letteratura "delle origini". Come sottolinea la Battaglia, questa nuova datazione rende ad esempio improponibile uno schema di desanctisiana memoria, destinato a lunga fortuna (torna fra l'altro in un vecchio e fortunato libro del Meiss, di recente tradotto in Italiano, Pittura a Firenze e Siena dopo la Morte Nera), uno schema cioè che contrappone la linea Ca-valca-Giotto, caratterizzata da una serena contemplazione della vita e dell'ai di là, alla linea Passavanti-Orca-gna, dominata dalle linee fosche del terrore e delle visioni infernali. Il Trionfo pisano —così legato all'opera del Cavalca e all'ambiente domenicano di Santa Caterina — offre una riprova dell'antichità e della diffusione della "cultura della penitenza" ed è anteriore alla peste del '48, e quindi al Decameron. Nel difficile — ma sempre meno eludibile — terreno di interazione fra letteratura e arti figu- rative, bisognerà allora rifare un po' i conti, facendo intervenire ad esempio massicciamente Dante, e la sua Commedia : la Battaglia ne sottolinea giustamente l'impatto iconografico e già indica alcuni elementi di una linea — ancora in gran parte da percorrere — di una continua migrazione di immagini, di un fitto scambio tra testo letterario, miniature, affreschi, mosaici. Dopo aver dunque segnalato l'esigenza di rimescolare le carte, e di guardare al di là dell'orticello della propria disciplina, la Battaglia affronta il problema della novità del Decameron, di quel suo organizzare il vario materiale narrato entro la cornice del "ragionare nel giardino" mentre fuori, nella città, imperversa la morte. Una puntuale discussione delle fonti letterarie che sono state indicate per la "cornice" è volta a indicarne i limiti. Alla base della novità dell'invenzione — del suo valore strutturale e delle variazioni che essa introduce nel topos del giardino — ci sarebbe, come si diceva, non un fatto letterario, ma artistico: il Trionfo pisano, appunto. A tale conclusione si arriva partendo da un'analisi dell'affresco, di alcune sue zone in particolare. Nella rappresentazione della cavalcata che, al ritorno dalla caccia, incontra i tre cadaveri, e della lieta brigata che conversa in giardino e sta per essere raggiunta dalla morte, la Battaglia individua una puntuale citazione di modelli del vivere cortese, e delle rappresentazioni letterarie e/o iconografiche cui tali modelli — fatti propri dal pubblico borghese — erano stati affidati. L'inedito accostamento fra la rappresentazione della morte e l'evocazione dei momenti più affascinanti e più tipici della vita cortese, viene a costituire il nucleo tematico dell'affresco pisano: la cultura della penitenza — espressa dalla rappresentazione, di straordinaria ampiezza, della vita eremitica dei padri del deserto — si propone come l'unico modo per vincere la morte; sotto il segno della rovina e della perdizione sta invece il "ragionare nel giardino", con i modelli comportamentali cui esso rinvia. A questo punto la "cornice" del Decameron viene vista dalla Battaglia come una citazione e, insieme, un rove-scimento del Trionfo pisano; mentre la peste miete le sue vittime, la lieta brigata si allontana da Santa Maria Novella — la chiesa dove il Passavan-ti predica la "cultura della penitenza" — e si salva dalla morte appunto "ragionando nel giardino". Tutto ciò comporterebbe una rappresentazione simbolica della capacità della letteratura di ri-creare il mondo con le parole—di qui deriverebbe l'allusione del titolo, Decameron, all'Hexameron di sant'Agostino, che commemta, come è noto, i sei giorni della creazione — e di dare diletto, di creare dunque qualcosa che ha un valore autonomo. Questo serve a spiegare, secondo la Battaglia, il senso del secondo titolo del Decameron, "cognominato Pren-cipe Galeotto": se in Dante la letteratura cortese produce incitazione comportamentale, facendo cadere Paolo e Francesca nel peccato, qui il libro e il narrare rivendicano la loro alterità dalla vita, la loro irriducibilità a schemi morali, il valore del diletto che sanno dare agli uomini. La tesi centrale del libro è di quelle destinate a far discutere. Anche ammesso che il Boccaccio sia stato a Pisa, e sia stato fortemente colpito dal Trionfo della morte, è credibile pensare che un fatto artistico lo induca a un ripensamento strutturale della sua attività di novellatore? E l'accostamento giardino/morte si può spiegare solo come ri-scrittura rovesciata del Trionfo pisano, o non si può pensare che la tremenda "realtà effettuale" della peste abbia fatto da catalizzatore, contribuendo a filtrare in modo innovativo — certo in chiave antia-scetica e antipenitenziale — fonti e suggestioni diverse, letterarie e non? Al di là di queste domande, restano i contributi del libro: la sua analisi di zone poco frequentate dell'affresco pisano, la sua ricca rivendicazione della novità del Decameron, il suo invito a riproporci il problema dei modi in cui interagirono nel Trecento testi letterari (e quali testi letterari!) e arti figurative. Lo scultore dì Alessandro di Antonio Pinelli Paolo Moreno, Vita e arte di Lisippo, Il Saggiatore, Milano 1987, pp. 302, ili. 157, Lit. 40.000. Una monografia su un maestro dell'antichità presenta problemi specifici che sarebbe ingeneroso disconoscere: rarità degli originali, labilità e discontinuità delle testimonianze scritte, per di più quasi sempre indirette, proliferazione di copie realizzate con tecniche e materiali diversi da quelli usati negli originali. Di qui il rischio che la materia risulti alquanto indigesta ai lettori non specialisti per il sovraccarico di supporti eruditi necessari a giustificare le rare certezze e le frequenti, inevitabili congetture. Enunciandole nella lucida introduzione a questo suo lavoro d'insieme su Lisippo, Paolo Moreno si mostra perfettamente consapevole di tali difficoltà, ma ha scelto per aggirarle una strada che soddisfa solo a metà, proprio in rapporto allo scopo prefissato di rivolgersi ad un largo pubblico. E giusto, infatti, risparmiare al lettore non specialista il fardello di erudizione che lo scrupolo filologico impone alle pubblicazioni accademiche, ma perché espungere programmaticamente dal testo tutto il lavorio di ricerca che precede un'ipotesi, le oscillazioni del dubbio, il moltiplicarsi e l'elidersi delle congetture? Sempre nell'introduzione, Moreno dichiara di aver sacrificato tutto ciò, anche a rischio d'incorrere nelle critiche dei colleghi, per poter offrire al pubblico "l'attrattiva del racconto in uno sviluppo lineare, positivo, univoco". Ma è questo che realmente desidera il lettore non specialista? Di essere messo al riparo dal dubbio, escluso dal giudizio sulle alternative, espropriato del sale della ricerca? Non rischia tutto ciò di compromettere proprio quell'"attrattiva del racconto" che sta giustamente tanto a cuore a Moreno? Pur con queste riserve, non certo dettate da scrupoli accademici o dal dissenso sugli intenti divulgativi del libro, ma da un modo diverso di intendere mezzi e fini della divulgazione, non esito a sottolineare che il lavoro di Moreno ha pregi indiscutibili che meritano di essere segnalati. Il testo è scritto con encomiabile chiarezza, le analisi formali delle opere sono accuratissime e ricche di acume critico, gli spunti stimolanti numerosi, anche se spesso restano tali perché impediti a svilupparsi dalla frammentazione imposta da un troppo rigido ossequio al modello tradizionale della monografia (un breve profilo biografico, cui segue, scheda dopo scheda, l'analisi di ogni singola opera). Tra gli spunti più ghiotti e adeguatamente sviluppati segnalo i rapporti di scambio tra le posizioni teoriche di Lisippo (che affermava di non voler riprodurre gli uomini "come sono", ma "come appaiono essere") e la poetica di Aristotele, scambi che forse furono reciproci e non unilaterali come di norma si è ritenuto. Né è di minore interesse il raffronto, esteso alle corrispondenti forme retoriche del "chiasmo" e dell'"antitesi", tra il canone policleteo, esemplificato dal Doriforo con i suoi rapporti incrociati tra le membra attive e quelle in riposo, e lo schema compositivo caro a Lisippo, che si basa su una partizione lungo l'asse verticale della figura, con una metà del corpo in tensione e l'altra rilassata. Rimangono invece più in sordina altri spunti, come le sporadiche osservazioni circa le scelte politico-ideologiche attribuibili a Lisippo (si veda, ad esempio, il suo contrasto con il pittore Apelle, a proposito degli attributi — divini od eroici — da destinare ad un ritratto di Alessandro Magno). LO SPECCHIO SPORCO DELLA TELEVISIONE Divulgazione scientìfica e sport nella cultura televisiva A cura di Gianfranco Bettetini e Aldo Grasso LO SPECCHIO SPORCO DELLA TELEVISIONE Dmilganonc ickntifica e iport wlU cultura ttfcvìiìva Il volume è il risultato di una approfondita ed esauriente ricerca sui rapporti che legano la scienza, lo sport e la televisione italiana, condotta attraverso una analisi sistematica dei programmi Rai dalle origini ad oggi, senza tralasciare confronti con l'emittenza privata e con la programmazione straniera; l'obiettivo è stato quello di individuare e porre in luce le scelte e le trasformazioni derivanti dall'incontro della Tv con i due oggetti in questione, nel momento in cui li ha inseriti nei propri palinsesti. Nel volume sono raccolti i saggi degli autori e gli interventi più significativi del convegno con cui la ricerca si è conclusa, tra cui quelli di Piero Angela, Giulio Macchi, Tullio Regge, Bruno Pizzul, Gian Paolo Ormezzano e molti altri. 510 pagine, L. 38.000 0 Edizioni FUTURISMO, CULTURA E POLITICA A cura di Renzo De Felice Se numerosi sono stati in questi ultimi anni gli studi e le pubblicazioni sul futurismo come movimento artistico, di esso è stato poco esplorato il versante culturale e politico che è invece il tema centrale di questo volume: si tratta di una raccolta di saggi di importanti studiosi italiani e stranieri preparati in occasione del convegno svoltosi nel 1986 a Palazzo Grassi in concomitanza con la mostra "Futurismo e Futurismi" e ordinati in tre parti secondo un criterio tematico, partendo dai generali rapporti fra futurismo, cultura e politica per poi soffermarsi sull'esperienza politica del futurismo in Italia e, infine, fuori dall'Italia, con particolare riguardo a Francia, Germania, Ungheria, Russia, Spagna e Gran Bretagna. 490 pagine, L. 40.000 della FUTURISMO, CULTURA E POLITICA tel. 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