IN. 5 pag. 19: Idei libri del meseI Candidati eccellenti di Gian Franco Gianotti Quinto Tullio Cicerone, Ma-nualetto di campagna elettorale (Commetariolum petitionis), a cura di Paolo Fedeli, presentaz. di Giulio Andreotti, Salerno, Roma 1988, pp. 228, Lit. 16.000. Tempo di elezioni, oggi come ieri. Ogni volta che la macchina elettorale si mette in moto, si celebra sotto i nostri occhi lo stesso rito collettivo: la ricerca del consenso o — se si preferiscono immagini meno asettiche — la frenetica caccia al voto da parte di personaggi, più o meno noti e autorevoli, che si candidano al governo della cosa pubblica nazionale o locale. Ricorrente a scadenze sempre più ravvicinate, tale ricerca si è aggiornata alla realtà delle più moderne tecniche di comunicazione invadendo spazi privati un tempo gelosamente custoditi; tuttavia in noi spettatori non cancella — come conviene appunto a ogni rito — l'impressione di assistere a scontati e ripetitivi cerimoniali pubblici. Altrettanto radicata è la convinzione che questo rito appartenga unicamente alla nostra storia recente e nasca insieme alla democrazia moderna, di cui rappresenterebbe, a seconda dei punti di vista, condizione prima di esistenza o palese documento di intrinseca debolezza. Si tratta invece di pratica largamente collaudata nel EDITRICE TIRREN1A STAMPATORI via Gaudenzio Ferrari 5 10124 Torino S (Oli) 87.70.10 Anna Brawer Ritratto come autoritratto Al faro di Virginia Wolf pp. 192 lire 20.000 Anna Chiarloni Le quinte della memoria Quattro saggi su Goethe pp. 136 lire 12.000 AA.VV. Prospettive sul Furioso a cura di Giorgio Barberi Squarotti pp. 124 lire 22.000 Gian Piero Quaglino Sul rapporto tra teoria e pratica in psicologia sociale pp. 144 lire 14.000 Distribuzione: PROMECO s.r.l. via C. Torre 29-Milano LIBRERIA STAMPATORI UNIVERSITARIA via Sant'Ottavio 15 10124 Torino © (011) 83.67.78 EDIZIONI ITALIANE E STRANIERE mondo antico, come dimostrano vetuste reliquie che non hanno perso, sotto la polvere dei secoli, aspetti di straordinaria attualità. Infatti, se i graffiti elettorali che ancora si leggono sui muri di Pompei non hanno nulla da invidiare alle scritte e ai manifesti che periodicamente invadono le nostre strade, ancor più sorprendente e vicino appare il Commentariolum petitionis, agile prontuario di istruzioni per candidati redatto da Quinto Cicerone a soste- sere — parola di Andreotti — largamente praticati" (p. 11). Dunque, se il più sperimentato navigatore del nostro pelago politico, 0 maestro di color che sanno le arti del Palazzo, riconosce nell'operetta antica comportamenti e costumi non troppo dissimili da quelli ancor oggi in vigore, ci possiamo sentire pienamente autorizzati a seguire un doppio registro di lettura del Manualetto, come documento storico e come specchio che riflette immagini non estranee al nostro presente. Del resto, questa duplice chiave di lettura è suggerita anche dalle argute pagine introduttive (pp. 13-65), in cui Fedeli ricostruisce con vivezza un capitolo convulso della storia tardorepubblicana, si, ma alcuni non destano la minima preoccupazione perché — come Cicerone stesso scrive all'amico Attico — tanto screditati da suscitare le risa; due sono, invece, di gran lunga i favoriti e sono appunto, come tradizione vuole, due nobili: Gaio Antonio Ibrida (che vincerà le elezioni insieme a Cicerone e sarà suo collega di consolato) e Lucio Sergio Catilina (che, bocciato dalle urne, tenterà la via del colpo di stato e cadrà sotto le contromisure di Cicerone console). Partito con gli sfavori del pronostico, Cicerone trova nel fratello Quinto un efficace agente elettorale che sa mettere a punto, nelle pagine del Manualetto, una mole considerevole di istruzioni maliziose e di spregiudicate strategie Il cemento dei debiti di Paolo Piasenza Luciano Allegra, La città verticale. Usurai, mercanti e tessitori nella Chieri del Cinquecento, Franco Angeli, Milano 1987, pp. 238, Lit. 24.000. Chieri, nel Cinquecento, è uno dei maggiori centri tessili italiani, con una produzione paragonabile a quella di città molto più densamente popolate come Milano o Cremona. Esporta buona parte della sua produzione verso la Francia ed è una piazza saldamente inserita in rapporti finanziari e commerciali con città come Lione e Chambéry o con i porti di Venezia, Genova e Marsiglia dove giunge il cotone grezzo dai mercati orientali. Una forza straordinaria se si considera che la lavorazione del fustagno impegna solo parzialmente le 1000 o, al massimo, 2000 persone che vi si dedicano: le attività agricole occupano operai ed artigiani per lunghi periodi dell'anno e forniscono un complemento necessario al reddito familiare. La distribuzione della proprietà, più polverizzata che parcellare, obbliga comunque i lavoranti a fare spesso ricorso al credito interno alla bottega e contribuisce a creare quella forte coesione "verticale" tra padroni e tessitori che costituisce uno dei tratti caratterisici della vita sociale della città. Questa peculiare importanza del credito è, anzi, il punto di partenza della ricerca di Allegra che ne ricostruisce i numerosi strumenti operativi, leciti ed illegali. L'usura, i banchi ebraici, alcuni "negotiatori di denaro" o certe pratiche di vendita fittizie che nascondono prestiti anche consistenti portano in primo piano una straordinaria fame di contante, causata anche dal carattere concitato ed irregolare della produzione, oltre che da scadenze retributive e dalla necessità di provvedere alle esigenze improvvise di credito dei lavoranti. Proprio nei rapporti tra debitori e creditori diventa evidente la solidità dei legami che si stabiliscono tra individui in posizioni sociali eterogenee: la violenza per il recupero del dovuto (come in generale quella endemica per risse e fatti di sangue esaminata in un capitolo a parte) coinvolge sempre soggetti di pari condizione e risparmia isolidi rapporti gerarchici stabiliti all'interno della bottega o, comunque, tra i ceti diversi. La politica fiscale sabauda esercita una funzione radicalizzante su questa dinamica sociale e mette in risalto l'impoverimento quantitativo delle élites cittadine determinato dalla concentrazione della nobiltà nella corte di Torino. Un episodio che esaspera la concorrenza tra le famiglie dei notabili "popolari" impegnate nella produzione tessile e che contribuisce anch'esso al rinchiudersi delle persone entro coordinate di ceto. Il lavoro è condotto abilmente dall'autore lungo due direttrici metodologiche: la ricostruzione dei complessi legami familiari e patrimoniali della popolazione cittadina attraverso l'esame delle fonti notarili e l'indagine sistematica dei processi criminali, un unicum nella conservazione archivistica piemontese relativa al Cinquecento. Ne risulta un procedere narrativo volutamente esemplificante e solo apparentemente aneddotico, i cui singoli episodi svolgono la funzione di illustrare i risultati della ricerca d'insieme e permettono ai cittadini di Chieri di presentarsi come figure a tutto tondo: si vedano le strategie di Simone Segre, l'ebreo autorizzato dal comune ad aprire un banco in città, quelle dei maggiorenti cittadini in lotta per la conquista del potere locale od i percorsi meno appariscenti che legano o dividono, lungo tutto il lavoro, i componenti dei ceti popolari. Nell'insieme, quindi, una ricerca che ricostruisce in modo efficace le vicende di un centro produttivo importante nel panorama del tempo, viste costantemente attraverso i rapporti sociali originali cui danno luogo. gno della campagna elettorale del più illustre fratello Marco, in corsa nel 64 a. C. per il consolato dell'anno successivo: è testo ora a disposizione dei lettori nostrani grazie alle intelligenti cure e alla scorrevole versione di Paolo Fedeli. Il libro si apre con una breve ma succosa presentazione di Giulio Andreotti, il quale dall'alto della sua quarantennale esperienza di candidato vincente chiosa i passi più intriganti del trattatello e assicura che "non c'è nulla di nuovo sotto il sole di Roma". Certo, lo scenario è profondamente diverso e allora non esistevano — per limitarci alla differenza più vistosa — organizzazioni di partito in grado di orientare gli elettori sui programmi prima che sui singoli candidati; ma se si bada agli aspetti personalistici comunque presenti in ogni competizione elettorale (da noi particolarmente rilevanti in sede amministrativa, altrove in sede di contesa presidenziale), si finisce per ammettere che "certi metodi, non esclusi l'insinuazione e la calunnia, continuano ad es- fatta di successi e bocciature elettorali, di congiure e repressioni, di processi per broglio e protezioni pelose. Vediamo in breve come stanno le cose. Come si è detto, siamo nel 64 a.C.: Cicerone ha ormai percorso tutti i gradi preliminari della carriera politica e si presenta candidato alla carica di console (la toga candida è appunto il segno distintivo di chi scende in lizza per la massima magistratura): dalla sua può vantare l'appoggio di Pompeo, cioè del nume tutelare della politica filosenatoria, nonché le amicizie degli ambienti conservatori e le simpatie dei giovani, conquistate le une con l'esercizio dell'avvocatura e le altre con il magistero dell'eloquenza; a suo svantaggio sta la condizione di homo novus, cioè di personaggio proveniente da famiglia senza tradizioni nobiliari e politiche, che si trova a competere con rappresentanti della nobilitas, vale a dire della classe che, in forza del suo potere sociale e di una fitta rete di alleanze, vanta prerogativa di controllo sui vertici dello stato. I competitori sono abbastanza numero- tese alla conquista di consensi sempre più vasti. Tempismo nel presentare la candidatura e propaganda capillare, esibizione e accorto sfruttamento dell'amicizia dei potenti, promesse generiche e apparente disponibilità verso tutti, ragnatele di piccoli favori e capacità di simulazione, presenzialismo ad ogni costo e frequenza di banchetti, infine ben orchestrate campagne diffamatorie — senza esclusione di colpi bassi e calunnie — contro i rivali: questo il codice di comportamento che, in aperta deroga alle severe prescrizioni dell'etica tradizionale, Quinto propone al fratello; questa in pratica la condotta che trasforma Marco in candidato eccellente e vittorioso su più prestigiosi e titolati competitori. Intensità e capziosità particolari presenta la parte dedicata alla demonizzazione degli avversari, s'intende dei due avversari che contano: figure grottesche e deformate dal peso di vizi personali e di famiglia, gli antagonisti di Cicerone si vedono rinfacciare debiti e corruzione, sordide amicizie e disonestà d'ogni sorta, ruberie, malversazioni e delitti; nel caso di Catilina, poi, si insiste con morbosa attenzione sui piaceri poco normalizzati del personaggio, sciorinandone in pubblico le predilezioni per guitti e giovinetti, per austere vestali e per attricette di piccola virtù. Il tenore degli attacchi ai rivali è buona testimonianza dell'asprezza d'una contesa elettorale condotta all'insegna del personalismo (e magari richiama alla mente la durezza delle campagne presidenziali di grandi nazioni moderne); testimonia altresì il torbido clima di intimidazione in cui si svolgevano le elezioni e la forte dose di disinvolto pragmatismo che era necessaria per raggiungere il successo. Successo che poteva anche non essere definitivo, perché sappiamo che di frequente, a Roma, accuse di brogli elettorali (e conseguenti processi) colpivano chi veniva eletto contro i favori del pronostico o, meglio, al di fuori delle combines preordinate dai gruppi di potere. Cicerone, in forza della campagna organizzata dal fratello, sembra essere sfuggito a tale insidia, ma istruttiva in merito è l'orazione che nel corso del 63 egli stesso, console in carica, pronuncia per difendere Lucio Licinio Murena, console eletto per l'anno successivo, appunto dall'accusa di broglio: il testo della Pro Murena, proposto da Fedeli in appendice al volume, integra i dati del Commentariolum e consente così di avere sotto gli occhi un quadro completo delle non troppo edificanti usanze elettorali romane. Giunti a questo punto, piuttosto che insistere sulle numerose analogie col presente che il lettore troverà da solo nell'antico prontuario di istruzioni per candidati rampanti, aggiungiamo una segnalazione per chi voglia approfondire la conoscenza della carriera di Cicerone e delle vicende che l'hanno visto protagonista o comprimario. Da pochi mesi è di nuovo disponibile presso Rizzoli la versione italiana d'un classico della storiografia letteraria dell'Ottocento: Gaston Boissier (1823-1908), Cicerone e i suoi amici (con nuova introduzione di Emanuele Narducci). Basterebbe un rapido confronto con altre pur decorose biografie ciceroniane pubblicate di recente (penso ad esempio al Cicé-ron di Pierre Grimal uscito un paio d'anni fa a Parigi e tradotto nel 1987 da Garzanti) per renderci conto di quanto sia più vivo e sanguigno il vecchio libro di Boissier: vivo — come nota Narducci — perché sa rievocare dall'interno, sulla scorta dell'epistolario ciceroniano, l'atmosfera, i valori e gli intrighi della società romana di quel tempo; sanguigno e appassionato perché non si preoccupa troppo di evitare interpretazioni in chiave comparativa e lascia affiorare, sotto le vicende di Cesare o di Catilina, la filigrana delle esperienze del bonapartismo o della Comune di Parigi. Ancora una volta, dunque, siamo di fronte a giochi analogici che puntano all'at-tualizzazione; e se in sede storiografica non si raccomanderà mai abbastanza un atteggiamento di prudenza, è tuttavia doveroso ammettere che l'analogia è la molla prima del nostro interesse verso il passato e conferma che la storia antica è pur sempre cosa nostra.