Pasolini critico letterario Pier Paolo Pasolini, Passione e Ideologia, Einaudi, Torino 1985, saggio introduttivo di Cesare Segre, pp. XXII-448, Lit. 34.000. Dopo il notevole sperpero di interpretazioni più o meno improvvisate e partecipi (non senza esibizioni di circostanza) intorno al Pasolini "corsaro", "luterano" e critico del consumismo, ecco la riedizione di un suo vecchio e stagionato libro: Passione e ideologia. Pubblicato per la prima volta da Garzanti nel 1960 e ora da Einaudi in edizione più accurata, il volume raccoglie studi e saggi che Pasolini scrisse nell'arco di dieci anni, dal 1948 al 1958, nel periodo cioè della sua massima inventi-vità letteraria. In quegli stessi anni Pasolini scrisse e pubblicò alcuni dei suoi libri più famosi: i romanzi Ragazzi di vita (1955) e Una vita violenta (1959), e i numerosi poemetti raccolti sotto il titolo complessivo Le ceneri di Gramsci (1957). Rispettivamente del 1952 e del 1955 sono inoltre i due ampi studi panoramici La poesia dialettale del Novecento e La poesia popolare italiana, che costituiscono quasi un libro a sé e che occupano tutta la prima parte (più della metà dell'intero libro) di Passione e ideologia. Per i lettori più giovani, abituati a leggere Pasolini come un autore globale, come un autore, cioè, che negli ultimi anni della sua vita non voleva e non poteva tenere distinti i suoi diversi linguaggi e le sue diverse competenze, non avendo più che un solo ossessivo linguaggio e una sola globale competenza di giudice sociale e di pubblico accusatore — per questi lettori, dicevo, le pagine di Passione e ideologia saranno, secondo i casi, una delusione o una riposante sorpresa. Qui Pasolini non è affatto disperato, né violento, né apertamente fazioso o apertamente autobiografico. E non fonde tutto ciò che sa, percepisce e pensa in una sola colata incandescente. Qui Pasolini si presenta davvero in veste di critico letterario: impegnato e raffinato, documentato e diligente, con la modestia e l'orgoglio di chi vuole essere accettato dalli società culturale e perciò •■■■■ 5) ic:'nisce mai, come farà spesse in seguito, con i suoi pur numerosi obiettivi polemici (ex o post-ermetici, neorealisti, marxisti "ortodossi"). Sebbene abbia costantemente presente una sua personale e funzionale nozione di realismo, che orienta le sue argomentazioni letterarie verso una analisi di classe di Alfonso Berardinelli della società e della storia italiane, in questi scritti Pasolini non sconfina mai dai termini assegnati alla critica letteraria in quanto tale. La sua passione sa essere e vuole essere composta, ragionevole: incontra l'ideologia (un gramscismo estetizzato) proprio perché è una passione che intende vestire abiti civili e democratici, che vuole tenere aperto un dialogo con tutta la migliore cultura letteraria di quegli anni. E il suo stile critico è molto distante non solo dal violento mimetismo dei romanzi sul sottoproletariato romano, ma anche dalle luttuose drammatizzazioni dei poemetti coevi. I pregi del libro, perciò, sembrano oggi indistinguibili dai suoi limiti. La tempestività e l'efficacia delle ipotesi critiche pasoliniane sono dovute anzitutto alla passività anche acritica con cui Pasolini assume e accetta i termini dominanti e diffusi nelle discussioni di allora intorno al superamento dell'ermetismo-deca- dentismo e alla crisi della poetica neorealista. Per realizzare una proposta progettuale nuova, Pasolini elabora uno di quei suoi tipici schemi che razionalizzano l'irrazionale e permettono di tenere insieme, nella forma della compresenza paradossale (autogiustificatoria) e dell'ossimoro, un modo di essere irriducibile e un progetto aperto, un'esperienza sostanzialmente immobile e un'ideologia onnivora. In questo caso, i due termini della contraddizione senza superamento dialettico e senza sintesi, che Pasolini propone sono: a) l'ossessione stilistica, la passione e coazione estetica che gira e torna continuamente su se stessa e b) la sperimentazione realistica e descrit- tiva, che spinge continuamente in avanti il linguaggio letterario e il suo spazio di ricerca, per essere sempre "col sentimento, al punto in cui il mondo si rinnova": ripresa e correzione del descrittivismo pascoliano, che risolveva l'apertura in chiusura, con la riduzione finale del mondo all'io e della realtà esterna alla vita intima. Questo schema della presenza simultanea e della polarità metteva in grado Pasolini, negli anni Cinquanta, di rendere civilmente accettabile ed esteticamente produttiva l'immobilità delle sue contraddizioni, dotando il suo scandalo nevrotico (non si dimentichi che Pasolini era ripetutamente sotto processo per "immoralità" e per "corruzione") di armi tattiche e retoriche inesauribili: che gli permetteranno fino alla fine di compiere dei continui spostamenti dei termini del suo discorso, provocando e spiazzando magistralmente i suoi avversari polemici, senza per questo uscire mai dalla sua tematica e facendo appello alternativamente, e in angolature sempre diverse, ora alla immobilità fatale della coazione estetico-nevrotica, ora ai puri diritti della critica intellettuale. Sul piano strettamente critico, la solidità della documentazione (soprattutto nei due lunghi studi iniziali) e la duttilità analitica (soprattutto nelle esemplari schede dedicate a una ventina di poeti italiani del Novecento — oltre che a Pascoli, Carducci e Gadda) rendono Passione e ideologia un libro tuttora molto utile e interessante, nonostante il limite nazionale della visuale storica e la debolezza dell'impianto teorico. Come ha osservato Pier Vincenzo Mengaldo (in un saggio su Pasolini critico letterario comparso nella «Revue des études italiennes», n. 2-3, avril-septembre 1981), in Passione e ideologia l'intelligenza critica pasoli-niana, sebbene esibisca anche con una certa monotonia alcune nozioni teoriche orientative (derivate da Contini, da Gramsci e anche, corsivamente, da Spitzer e Auerbach) si muove in un orizzonte teorico alquanto povero e approssimativo. In particolare, la limitazione al panorama italiano rende poco attendibili le sue idee di decadentismo e di realismo, categorie di cui, con buona parte della cultura degli anni Cinquanta, egli faceva un uso puramente tattico e polemico. In questo come in altri suoi libri (per esempio negli ultimi) è semmai eccezionale la capacità, tipica di Pasolini, di ricavare un massimo di osservazioni generalizzabili da una base di pensiero piuttosto elementare e ristretta, estremizzando le sue tesi con l'ingrandimento suggestivo di alcuni dettagli e con la ripetizione metodi- 8> Il rischio dell'esistenza di Lidia De Federicis Aldo Carotenuto, L'autunno della coscienza, Boringhieri, Torino 1985, pp. 118, Lit. 16.000. Secondo un noto luogo comune, che ci è stato ricordato da Mario Lavagetto (Freud, la letteratura e altro, Einaudi, Torino 1985), chi vuole servirsi appropriatamente della psicoanalisi nel campo degli studi letterari e artistici, fa bene a mettere da parte i saggi specifici di Freud. Invece, proprio i famosi scritti freudiani dedicati a Leonardo, Michelangelo, Ibsen costituiscono il precedente che Aldo Carotenuto ha voluto seguire in questo volume di ricerche psicologiche su Pier Paolo Pasolini. Obbiettivo principale dell'indagine è dunque non l'opera, ma l'autore: l'opera viene utilizzata come una fra le altre possibili manifestazioni psichiche (anzi, la più rilevante) e analizzata con tecniche simili a quelle che si adottano nell'analisi dei sogni. Secondo lo stesso luogo comune si tratta di un uso fuorviarne, per molte ragioni, delle procedure analitiche. Anzitutto, perché la trattazione dell'opera come sintomo la impoverisce, riducendone i significati ad alcuni stereotipi fissi (per esempio, il complesso parentale che prevedibilmente scopriamo risalendo all'infanzia di qualunque individuo). Poi, perché la scrittura letteraria non è soltanto un prodotto dell'inconscio o il frutto di una storia personale, ma nasce dentro a una tradi- zione: e infatti la retorica che governa il genere del romanzo non è uguale a quella del sogno. Infine, a che scopo occuparsi delle dinamiche psichiche dell'autore, quando ciò che davvero conta è il testo nella sua struttura formale? Il modello di derivazione freudiana incentrato sulla biografia risulta — tra i vari che si possono applicare ai rapporti della letteratura con la psicoanalisi — il più debole, il più esposto alle obiezioni. Eppure, Lavagetto ha ripreso in esame il luogo comune; ne ha riconosciuto i vantaggi e la comodità, e intanto è però tornato a porre in evidenza il carattere necessario del legame tra opera e autore e la possibilità innegabile per la teoria analitica "di risalire dalla biografia alle opere, e viceversa" (Lavagetto, p. 265). Carotenuto, che è di professione uno studioso di psicoanalisi (con orientamento junghiano) e non di letteratura, può permettersi di trascurare i riferimenti d'obbligo alle teorie sull'interpretazione del testo, limitandosi a esporre — ma con grande precisione e con una accattivante chiarezza divulgativa — i princìpi che lo guidano nella prospettiva psicologica. Il suo metodo può essere riassunto press'a poco così: l'esame dell'opera prescelta (il romanzo del 1955, Ragazzi di vita, dove per la prima volta Pasolini metteva in scena da protagonista, con il suo dialetto, il sottoproletariato delle borgate romane) viene integrato con la ricognizione di eventi e situazioni della vita dello scrittore, esattamente come nella pratica terapeutica l'esame dei prodotti inconsci si affianca all'indagine sulla vita reale del paziente. E le ipotesi via via formulate sul caso di Pasolini si appoggiano, oltre che alla riflessione teorica, all'insieme di conoscenze che viene all'analista dal confronto con altri casi, di individui anonimi che hanno raccontato i loro sogni e rivelato la loro sofferenza. Lo sfondo comune è per l'appunto una descrizione delle cause profonde che attivano la sofferenza umana: quella che nasce dal senso di esclusione, da paura e desiderio di morte. Una tale operazione di scavo può sembrare superflua per la figura di Pasolini, il quale non ha nascosto ma al contrario ha esibito la propria diversità, e non si è mai negato a interventi pubblici, spiegazioni, autocommenti. L'elenco di interviste e dichiarazioni pubblicato da Rinaldo Rinaldi nel 1982 comprendeva già 339 voci, e altri materiali si sono continuamente aggiunti negli anni successivi. Tuttavia la sovrabbondanza di parole è ambigua quanto il silenzio. L'intellettualizzazione accresce la distanza dalla vita e non agevola il confronto effettivo dell'individuo con i suoi problemi sul piano esistenziale (Carotenuto, p. 57). Il linguaggio imbroglia, se non viene decodificato al di là dell'apparenza. Andando in questa direzione, Carotenuto trova una delle chiavi di U>