pag. 10 Poesia Poeti Poesie Nella storia e nell'individuo di Lorenzo Renzi Nuovi poeti romeni, a cura di Marco Cugno e Marin Mincu, Vallecchi, Firenze 1986, pp. 314, Lit. 25.000. Marin sorescu, Poesie d'amo- re, Dick Peerson, Napoli 1987, Lit. 20.000. Marin Mincu, In agguato, a cu- ra e con una glossa di Alfredo Giuliani, con una nota di Mario Luzi, All'insegna del pesce d'o- ro, Milano 1986, pp. 94, Lit. 15.000. Che cosa vuol dire esser nati in Romania attorno al 1940? Come in tutto il mondo vuol dire aver visto la luce con la seconda guerra mon- diale. Come negli altri paesi dell'Est europeo, vuol dire anche esser cre- sciuti sotto lo stalinismo. Ma per chi è nato in Romania vuol dire an- che vivere ancora nelle tenebre mo- rali e materiali. Vuol dire vivere nel- l'era Ceausescu. Dal 15 novembre scorso, data della rivolta di Brasov, nessuno ha più l'alibi della disinfor- mazione. Finalmente anche la no- stra stampa è uscita dal silenzio e dai luoghi comuni per dire all'opinione pubblica distratta che esiste un Cile anche all'Est, e che si chiama Roma- nia. Dico finalmente, perché ancora pochi mesi prima l'"Espresso" man- dava un inviato in Romania, a due passi da Brasov, non per vedere se la gente avesse qualcosa da mettere a tavola e a che punto era il rispetto dei diritti umani, ma sulle tracce di Vlad Tepes, alias Dracula. L'acuto giornalista non trovava di meglio che lamentare la mancanza dai menù dei ristoranti per turisti di spiedini alla Dracula e di altre spe- cialità ispirate al Principe di Transil- vania. Dei problemi dei miseri sud- diti non gli trapelava nulla. Gli ope- rai di Brasov sono insorti, lo ricor- do per chi nel frattempo se ne fosse dimenticato, al grido di "Vogliamo pane". Dunque, in Romania c'è una ge- nerazione di poeti che rappresenta la coscienza critica e il dramma di chi è nato attorno al 1940, ha vissu- to sotto la sferza dello stalinismo, ha visto apparire negli Anni Sessan- ta una pallida aurora, per poi vedere di nuovo tramontare il sole in un secondo terrore, non più importato questa volta, ma nato dalla degene- razione della stessa guida politica ru- mena. E dunque una storia genera- zionale sui generis quella che conse- gnano alla poesia degli scrittori che l'hanno vissuta e la vivono in prima persona, cioè in "prima persona plu- rale", come suona il titolo di una raccolta di una delle protagoniste, Ana Blandiana. Ma cominciamo la storia dall'ini- zio seguendo il suo biografo e criti- co Marco Cugno, che nella presen- tazione della bella antologia dedica- ta ai Nuovi Poeti, fornisce tutti i dati necessari. E cominciamo facendo due passi indietro. Nella Romania dell'entre deux guerres, splendida culturalmente e intellettualmente, sono fioriti quattro grandi poeti (che il lettore italiano potrà parago- nare a quella convenzionale italiana costituita da Montale, Saba, Unghe- retti, Quasimodo): Blaga, Bacovia, Barbu e Arghezi. Era nata anche un'avanguardia dal peso internazio- nale non indifferente, se è vero che ne sono usciti un Tristan Tzara e un Eugen Ionescu, poi Eugène Ionesco (anche di questa esperienza Cugno, sempre con Marin Mincu, si è fatto intermediario prezioso per l'Italia pubblicando nel 1980, da Feltrinelli, una Poesia romena d'Avanguardia. Testi e Manifesti da Urrnuz a Ion Ca- mion). Ma — e qui sta l'eccezionali- tà del caso rumeno —, all'ombra di Stalin, i poeti della generazione del Quaranta, crescono "senza maestri cui appaiono "letteralmente mutila- ti dall'ottusità dei redattori" (cioè della censura) i suoi primi e ultimi versi. Labis rappresenta la ricerca drammaticamente umana di una poesia che si opponga ad ogni mes- saggio linguistico adulterato, il ten- tativo paradossale di formare attra- verso la poesia un uomo nuovo in lo all'orecchio se hai timore:/ ha pure un senso politico questo fune- sto 'Nevermore'?" Forse anche solo da questi versi, malamente ritagliati da un poemet- to "alla Auden", è possibile indovi- nare l'impasto sapiente di intelligen- za, di grazia, di ironia sottile del più dotato dei poeti di tutta la genera- né libri". Il legame con una tradizio- ne poetica così profonda è rescisso. A loro tocca far versi come se nessu- no ne avesse fatti prima di loro, co- stretti a rifondare sul vuoto la paro- la poetica, a cercarle uno spazio nuovo, non in una catena interte- stuale, ma direttamente nei bisogni dell'uomo e della società. Di qui vengono alcuni tratti specifici di tut- ta questa scuola poetica: il suo radi- carsi nella storia e nell'individuo concreto, il volontarismo e il deside- rio di intervento della poesia nelle cose del mondo; e anche, solo appa- rentemente in contraddizione con tutto ciò, il suo continuo interrogar- si sulle ragioni della poesia, dunque la sua natura riflessa, in armonia con le correnti più recenti in tutti i paesi. Nei testi dei Nuovi poeti con- to non meno di venti poesie che hanno come argomento la poesia e il poeta. La generazione che non ha avuto né maestri né libri, ha però un eroe. E Nicolae Labis, il poeta morto ven- tunenne nel 1956, lo stesso anno in concorrenza con quello che proprio nella stessa età si stava cercando di forgiare nei laboratori dello stalini- smo. Non vorrei che da quanto ho scritto fino adesso, si credesse che un'intera generazione si sia dedicata alla poesia engagée E che, come ha detto una volta Ileana Malancioiu, in Romania "c'è un ascolto politico della poesia": tutto ciò che si scrive ha anche una lettura politica. E que- sto è anche ciò che vuol dire Marin Sorescu nel suo apologo Nevermore. Il poeta, ospite negli Stati Uniti, dia- loga in una notte gelida d'inverno con il corvo di Poe: "Una è la cosa che vorrei sape- re,/ sei in grado di dirmela tu solo,/ dimmela senza reticenze, come se fossi Edgar Allan Poe,/ non tener conto delle differenze:/ che significa quel famoso 'Nevermore'/....... Dimmi, uccello o dèmone, ma pri- ma devo chiudere la porta/ - e con trepide mani metto il chiavistello,/ abbasso alla finestra la persiana so- nora -/ dimmi, te ne prego, dimme- zione. Con Sorescu si impone la for- ma dell'apologo, un apologo sempre ben radicato nel tempo. Si noti la resa precisa dei gesti abituali di chi prende precauzioni prima di parla- re, un'esperienza ben nota in un paese in cui si dice, e, sia vero o no, si crede, che una persona su cinque sia una spia. E apologhi scrivono Ioan Alexan- dru, Nicolae Prelipceanu, Ileana Malancioiu, Marin Mincu. Apolo- ghi scrive Ana Blandiana, il cui Cre- do risponde di lontano, dalla linea di fuoco, alle pagine di un grande esule rumeno, illustre nelle lettere france- si, Cioran. Ana Blandiana: "Io credo che siamo un popolo vegetale,/ Donde se no la calma/ Con cui aspettiamo la sfogliatura?" E Cioran (che non credo che la Blandiana conoscesse: penso a una significativa coincidenza): "...[noi Rumeni] portiamo correttamente le nostre catene, e non avrei buone ra- gioni per negare le virtù della nostra discrezione, la nobiltà della nostra servitù, pur riconoscendo che gli ec- cessi della nostra modestia ci spingo- no verso estremi inquietanti; tanta saggezza oltrepassa i limiti; è così smisurata che non manca talvolta di scoraggiarmi". (Storia e utopia, 1960; ed. ital. a cura di M.A. Rigoni, Mila- no, Adelphi, 1982). Connaturata colla forma del poe- metto e dell'apologo, emerge un'in- clinazione spiccata al prosaicismo. Ma quanto differente dalla prosa nella poesia dei nostri poeti, Giudi- ci, Erba o Orelli! Questo prosaici- smo dei Rumeni è decisamente eroi- co, è una lotta quotidiana, appunto, con la prosa della vita e del mondo, affrontata con le loro stesse armi. Questo incontro e scontro col mon- do porta con sé un'altra tendenza stilistica generale, definibile questa volta al negativo: l'abbandono del sapiente plurilinguismo che permet- teva a un Arghezi di svariare tra tut- ti i diversi strati del lessico rumeno. Il rumeno, lingua recettiva nei seco- li, contiene masse ordinate di presti- ti, dallo slavo, dal turco, dal francese e altri ancora, che sono, per le loro connotazioni ora familiari, ora dot- te, ora esotiche, altrettante poten- ziali ghiotte riserve di caccia per il poeta. Ma la lingua dei nuovi poeti, come il mondo, si appiattisce in una sola dimensione. E niente come questa rinuncia può servire ai poeti. Dimenticato il cangiante Arghezi, dimenticato l'algido ermetismo di Barbu, continuano a dare bagliori il mitopoietico Blaga e l'espressionista Bacovia. Rigurgita spesso un acceso surrealismo, a partire dal grande, ma per i miei gusti a volte troppo muscoloso Stanescu. Quanto a Sore- scu, pratica il più piatto discorso neologistico, cosicché in lui — nato contadino — chi ci ha l'orecchio, ri- trova le cadenze del chiacchiericcio della capitale. Ma il dosaggio discre- tissimo della rima, la percezione acuta del ritmo, fanno delle sue poe- sie, così povere lessicalmente, dei raffinatissimi esercizi di stile. Regi- stro una coincidenza: come notato recentemente da Mengaldo per la poesia italiana del Novecento, an- che la metrica rumena, nata sillabi- co-accentuativa, evolve, attraverso il verso libero, verso un sistema pura- mente accentuativo. Questo proces- so è più evidente in Sorescu, che è il miglior fabbro della generazione. Marin Sorescu, questo alessandri- no smarrito sul cratere del vulcano Romania, dovendo preparare un li- bro per l'Italia, ha scelto di racco- gliere le sue poesia d'amore disperse tra le sue diverse raccolte rumene. Ha curato e introdotto il bel libro Gheorghe Carageani che, con Ga- briella Bertini, ha anche tradotto le poesie. Sorescu non è un poeta d'a- more, né pretende di esserlo. Basti leggere la premessa che ha scritto a questo libro italiano, poche limpide pagine che danno la misura, anch'es- se, di quanto raffinato sia lo scritto- re (L'amore a colpo d'occhio. Breve storia della poesia d'amore romena). Del resto l'amore messo in versi da Sorescu non è sempre quello del poeta, non dice sempre "io", e anche questo prova che l'amore per Sore- scu non sembra valere come senti- mento strettamente personale. In quegli innamoratini stilizzati alla Peynet, Sorescu ci vuol rappresenta- re un po' tutti, e questo, direi, è il suo vero atto d'amore. Un atto d'a- more poetico, dunque. Dandogli di- rettamente la parola: "Abbraccian- do una donna, abbracci il fertile pae- saggio del mondo, è il regalo che l'a- mata ti fa per il tuo compleanno. Ti senti al mondo, esistenzialmente, ma, se si può, non heideggeriana- mente, eterno per un attimo. Sca- gliato nel mondo, ma in mezzo a gente comprensiva, che sorveglia con cura e tenerezza il sogno e l'illu- sione di un momento". Se non è poeta d'amore, difficile è dire di che cosa sia poeta Sorescu. E