N. 5 pag. 131 Due volte Sibilla di Marina Zancan AA. W., Sibilla Aleramo. Coscienza e scrittura, a cura di Franco Contorbia, Lea Melandri, Alba Morino, Feltrinelli, Milano 1986, pp. 192, Lit. 15.000. Il volume, che raccoglie saggi e testimonianze portate al convegno tenuto ad Alessandria nel maggio 1984, si propone e si presenta come sintesi provvisoria sulla biografia intellettuale, e la fortuna letteraria, di una figura di donna complessa e, ancora oggi, inquietante. Sibilla Aleramo (1876-1960) si affaccia al mondo letterario italiano nel 1906, con Una donna: già negli anni precedenti era stata tuttavia attiva come giornalista, impegnata con interventi intorno alle tematiche relative alla emancipazione femminile su testate quali "La Gazzetta Piemontese", "La Gazzetta Letteraria", "Vita Moderna", "L'Indipendente". Nel 1899 a Milano è chiamata a dirigere "L'Italia Femminile": è questo un periodo di mutazione e di formazione, intenso di rapporti all'interno del movimento femminile e del mondo letterario (conosce Damiani, Cena, Ada Negri). Nel 1902 Sibilla abbandona la famiglia e si unisce a Giovanni Cena, allora direttore della "Nuova Antologia": sono gli anni romani, spesi in una intensa attività filantropica (l'ambulatorio di Testaccio, le scuole dell'agro romano), ricchi di incontri (Pirandello, Panzini, Deled- da, Salvemini, Gorkij, Ravizza, Montessori) e di molte letture (Emerson, W utman, Wilde, Nietzsche, r' nnu' ?..;, Deledda, ecc.). Nel 1' la pubblicazione di Una donna (Torino, Sten) la proietta con clamore in primo piano come giovane autrice di successo (favorevoli le recensioni di Graf, Panzini, Ojetti, Pirandello, Bontempelli) e come simbolo di donna in lotta, emblematica, attraverso una scrittura in prima persona, della intera questione femminile. Questa immagine doppia, di donna e di scrittrice, che con coscienza e con ostinazione mantiene labili e confusi i confini tra scrittura e vita, tra pensiero e corpo sessuato, accompagnerà la figura della Aleramo lungo tutto il percorso della sua vita e della sua biografia intellettuale. Sibilla scrive moltissimo, tenendo continuamente ravvicinate e intersecate forme diverse di scrittura: dal pezzo giornalistico al romanzo, dalla lirica alla riflessione teorica, dalla lettera al diario, conservando insieme, come dicono le carte d'archivio, a lato della propria vita e della scrittura pubblica, l'abitudine a note private, a riflessioni su di sé, i propri rapporti, la sua stessa scrittura. Sibilla vive moltissimo: inquieta ed instabile, sia geograficamente che sentimentalmente, insegue la propria tensione ad una identità forte e ricomposta attraverso una serie di amori e di "errori" (il marito, il figlio, Damiani, Cena, Lina Poletti, Cardarelli, Campana, Boccioni e nu- merosi altri) fino all'ultima "illusione d'amore", vissuta da lei sessantenne con il giovane Matacotta, il figlio-poeta che chiude il cerchio del suo reiterato "sogno d'amore". Se noi seguiamo la scrittura della Aleramo, anche solo considerando la successione dei testi editi, ci troviamo di fronte ad una quantità estremamente variegata di scritture: dopo Una donna, citando solo alcuni dei testi più famosi, si va da Il passaggio (Milano 1919), Andando e Gioie d'occasione): indicava con questo, con grande lucidità (e lo ripeterà nei suoi scritti moltissime volte), che in lei la tensione alla scrittura era originata dal bisogno di creare se stessa, di rigenerarsi da sé, attraverso la vita e la scrittura (l'una parte dell'altra), in quella opera d'arte che è la propria vita complessiva. In presenza di questa specifica pratica della scrittura, qualsiasi lettura che non assuma questo dato profondo di realtà e che si mantenga, invece, entro i confini rigidi del letterario, non può che comprendere e interpretare queste scritture, e questa figura di donna, secondo un'ottica parziale e riduttiva. La Aleramo è profondamente in- cile ci fa accostare i comportamenti delle cortigiane ai versi di Gaspara Stampa e di Veronica Franco: la tradizione di quella voce "delirante" con cui alcune donne, in toni differenti ma anche così simili, hanno opposto alle gerarchie sessuali e sociali del proprio tempo la propria identità sessuata ricomposta altrove, oltre la realtà dei rapporti e delle forme del quotidiano. Donne condannate, per questa loro insopprimibile diversità, talvolta all'oblio, talal-tra a letture distorte e pacificanti: "Ieri — scrive Sibilla in data 10 aprile 1956 — ho avuto pietà di me anche per questo, per un senso di buio di essere condannata a sparire senza che niuno possa veramente Una sociologa vagabonda di Peppino Ortoleva bertha Thompson, Box-Car Bertha, Autobiografia di una vagabonda americana, Giunti, Firenze 1986, ed. orig. 1937, trad. dall'inglese di Michele Buzzi, pp. XIV-262, Lit. 15.000. La sorte dei libri: questa storia di una donna americana, nata nei primi anni del secolo, cresciuta da radicai (di un radicalism morale e culturale più che strettamente politico) e vissuta da vagabonda in tutte le fasce dell'emarginazione prima di diventare sociologa, ha conosciuto accoglienze e letture diverse nel tempo, con il mutare delle idee e delle sensibilità. Quando usò. la prima volta, nel 1937, il libro si presentava come una "testimonianza di vita vissuta", genere allora di grande fortuna, capace di porre sotto gli occhi del pubblico problemi generalmente ignorati, ma attento anche a sollecitare gusti ed attenzioni morbosi: come era stato all'inizio degli anni '30 il fortunatissimo I am a fugitive from a chain gang, da cui fu tratto anche un notevole film. Che il punto di vista di Bertha Thompson, vagabonda e poi sociologa, potesse essere particolarmente ricco e sottile, non era forse allora la cosa che interessava di più all'editore e ai lettori. La riscoperta del libro, all'inizio degli anni '70, deve molto anche ad un film di Martin Scorsese, in italiano America 1929: sterminateli senza pietà, che dichiarava nei titoli di essere tratto dalla storia di Box-Car Bertha Thompson. Una dichiarazione sostanzialmente falsa: dei personaggi principali del film, solo quello di Bertha (Barbara Her-shey) aveva qualcosa a che fare con il libro, mentre gli altri, e l'insieme della storia, erano totalmente estranei. La ripubblicazione da parte di Harper & Row ebbe comunque un certo successo: la rivendicazione di una tradizione radicai propriamente americana, l'intreccio fra trasgressione politica e scelte di vita marginale, lo stesso sociologismo spicciolo ma dettagliato dell'ultima parte, erano tutti elementi che potevano fare del libro una sorta di anticipazione della cultura e della sensibilità di alcune componenti della nuova sinistra. L'attuale edizione italiana sembra far riferimento ad un 'altra chiave di lettura ancora: "Le pagine più belle lasciate da Bertha sono dedicate alle sue compagne di strada: vagabonde innamorate dell'avventura, sbandate, prostitute, al-coolizzate, ladre; donne in fuga dalla famiglia, militanti politici ed agitatrici sindacali. La solidarietà di Bertha nei loro confronti rappresenta, ai nostri occhi, una dimensione insolita, diversa dalla 'sorellanza'delle femministe borghesi del tempo": il concetto, esposto sinteticamente dal risvolto di copertina, è sviluppato con ampiezza ed acume nella prefazione di Roberta Mazzanti. La varietà di letture possibili è di per sé testimonianza della complessità del testo: nel quale si intrecciano e si illuminano a vicenda la storia di una ricerca personale, l'esplorazione della vita di strati sociali americani di cui non sappiamo quasi nulla, il racconto picaresco. Ma forse, delle letture che sono state finora proposte, quella meno convincente è proprio quella che vorrebbe fare di Box-Car Bertha un esempio di scrittura femminile: se non altro per il dato, banale fin che si vuole, ma non facilmente eludibile, che il libro è stato scritto, in realtà, da un uomo, Ben Reitman, sulla base della testimonianza orale di Bertha. A questa sua origine, il libro deve forse anche parte della sua forza e della sua inesauribile vivacità tipicamente orali; ma anche alcune debolezze e cadute, inclusa la singolare freddezza con cui il personaggio-Ber-tha appare a tratti assoggettato ad analisi quasi entomologica. stando (Firenze 1920) a Amo dunque sono (Milano 1927), Gioie d'occasione (Milano 1930); Il frustino (Verona 1932); da Orsa minore. Note di taccuino (Milano 1938) alla scrittura diaristica degli ultimi vent'anni rimasta inedita fino agli anni settanta, tranne le parti in Dal mio Diario — 1040-1944 (Milano 1945). Di fronte a questo flusso ininterrotto di scrittura, la critica letteraria si è mossa con una sostanziale ed evidente difficoltà: è mancata, mi pare, per molto tempo una chiave di lettura che consentisse di attraversare la diversità dei generi letterari (spesso tra loro intersecati) e che insieme cogliesse l'origine profonda di quella persistente necessità di un discorso su di sé. Eppure Sibilla già nel 1925 aveva scritto che la donna non deve imitare l'uomo ma, al contrario, "estrarre i caratteri specifici del proprio essere, scoprirli, poiché sono rimasti fino ad oggi celati; o, con una parola più esplicita, crearli. La donna deve, nel campo dello spirito, creare se stessa (Capelli corti, in terna al contesto sociale e culturale del suo tempo, curiosa di conoscere e disponibile ad assorbire. Lei stessa scrive: "Fede nell'organismo ideale che chiamiamo vita, io, filosoficamente, non l'ho mai avuta. Ho avuto fede sempre soltanto in me perché mi sono sentita sempre la sola realtà in un mondo di vaghe forme" (Orsa minore, 1938). In questa fede in sé, una fede attiva ed onnivora, la scrittura è parte di un progetto più ampio e complessivo, un progetto di sé: il contesto intellettuale e letterario coevo alla Aleramo, dà allora il quadro di alcune delle occasioni da lei sicuramente recepite e utilizzate, ma in nessun modo può rappresentare il sistema di riferimenti in cui collocare la sua produzione letteraria. Questa rimane anomala, sfuggente, fuori-posto. Per queste stesse caratteristiche, se cerchiamo un contesto in cui inserirla, essa rimanda invece a quella tradizione che ci fa accostare i testi di Caterina da Siena alle parole dettate in estasi dalle mistiche, o sotto tortura dalle streghe, tramandare la mia essenza, nonostante tutte le parole che ho scritto e detto...". Nel 1973 la ristampa, presso Feltrinelli, di Una donna, con una prefazione politica di Maria Antonietta Macciocchi, ha riproposto, in pieno femminismo, la figura di Sibilla Aleramo e ne ha avviato un processo di nuova conoscenza: tra il '78 e il '79 escono, a cura di Alba Morino (presso Feltrinelli, che ne possiede i manoscritti), i due diari (Diario di una donna; Inediti 1945-1960; Un amore insolito. Diario 1940-1944); nel '78 Bruna Conti cura l'edizione degli scritti femministi (La donna e il femminismo. Scritti 1897-1910, Editori Riuniti); nell'81 Bruna Conti e Alba Morino ricostruiscono, attraverso scritti in gran parte inediti, una biografia vivente della Aleramo (Sibilla Aleramo e il suo tempo. Vita raccontata e illustrata, Feltrinelli); seguono le ristampe di Amo dunque sono (Mondadori, 1982) e di II passaggio (Serra e Riva, 1985). Parallelamente alla pubblicazione di questi materia- li, da un lato il movimento delle donne si appropria di Sibilla, riscoprendone la figura di donna in lotta, ma appiattendola alla propria coscienza e al proprio progetto, secondo una dinamica propria ad alcune fasi della storia sociale, e in esse legittima, ma destinata a cadere quando la tensione sociale si allenta. Da un altro lato, dall'interno di questo clima, ma con una lettura più ampia e distesa, è iniziato un lavoro di riscoperta di Sibilla, donna e intellettuale: vanno in questa direzione gli studi e le riflessioni delle donne, che leggono l'opera di Sibilla dall'interno del panorama sociale, politico e letterario dell'età contemporanea, rispettandone tuttavia la specificità dell'immaginario e della progettualità. Maria Corti, nella sua Prefazione all'edizione del 1981 a Una donna, scrive: "Nel corso di quell'interminabile amare che fu la sua esistenza Sibilla Aleramo finì col costruire di sé un personaggio che offuscò a volte nei lettori e nei critici l'immagine della scrittrice... E tempo di fare giustizia...". Questo volume, dunque, esce in un momento in cui interessi e percorsi anche diversi convergono nel progetto di rivedere il carattere e il senso complessivo di questa presenza femminile. Il volume è costituito da un insieme di saggi disomogenei per quel che riguarda l'approccio metodologico e il retroterra di rapporti con il personaggio Aleramo; resi omogenei, però, per la volontà, che è comune a tutti, di arrivare a cogliere il livello profondo del messaggio caparbiamente segnato da Sibilla. L'intenzione di fondo è resa trasparente dalla strutturazione stessa del testo, organizzato in quattro sezioni, quasi un tracciato di lettura e di possibili indagini. La prima parte, Attraversare una vita, comprende il resoconto (di Bruna Conti) di ciò che contengono i Due bauli, ostinatamente conservati, organizzati e riorganizzati dalla stessa Aleramo per dopo; e l'avventura editoriale di Alba Morino che, curando i diari e la biografia di Sibilla, ha vissuto dall'interno una parte della sua storia editoriale e, insieme, ha vissuto con questa scrittura, e con questa figura di donna, un rapporto intenso e contraddittorio di incontro e di scontro. La seconda parte, Coscienza (interventi di Lea Melandri, Laurana Lajolo, Rita Guerricchio, Marino Biondi), suggerisce che proprio la coscienza esistenziale di Sibilla possa essere la chiave di lettura dei suoi testi, in grado di penetrare il nesso profondo di vita e di scrittura che sta all'origine degli stessi. In questo senso è interessante la lettura che la Guerricchio fa dei Diari, una scrittura che è rilettura e riscrittura di sé, dal passato al presente, e in funzione del futuro, proiettata cioè oltre la morte ("Niente letteratura, e niente anche, o pochissima arte. Ma un flusso irrefrenabile di vita", scrive la Aleramo); allusivo, e affascinante, è invece il pezzo di Lea Melandri (Un pudore selvaggio, una selvaggia nudità) che traccia, inseguendolo a ritroso, il processo di progressivo svelamento che Sibilla realizza, e di progressiva coscienza del proprio essere femminile. Nella terza sezione, Scrittura (interventi di Giorgio Luti, Anna Noz-zoli, Simona Costa, Barbara Zandri-no, Jorgen Stender Clausen), Luti colloca la Aleramo nel quadro della letteratura italiana del Novecento, mentre la Nozzoli ripercorre la produzione narrativa di Sibilla, inseguendo in essa le tracce di una ininterrotta tensione ad arrivare al romanzo di sé, intessuto tra momenti di vita e parole poetiche. Chiudono il volume le testimonianze di Fausta Cialente, Adele Faccio, Davide Lajolo ed una ampia ed accurata bibliografia relativa alla produzione della Aleramo e agli interventi critici sulla stessa.