Tullio Pericoli: Eugenio Scalfari I dei libri del mese pag. 34 na dagli incunaboli di "Omnibus" e "Oggi" (la cui lettura faceva sbottare Ernesto Rossi, "Questi erano fascisti", pag. 12). Mi rendo conto che la tesi può apparire estrema e forse anche bizzarra dal momento che la maggioranza degli attuali lettori di Repubblica credo sia costituita da elettori del Pei. Ma vorrei portare qualche argomento a sostegno; nella speranza di essere smentito. Tra II Mondo e Repubblica si prolunga un cordone ombelicale neoconservativo, che si evidenzia soprattutto nella cultura, nell'economia, nel rapporto stretto con un'e-stablisbment pressoché immutabile, nell'atteggiamento verso i cosiddetti ceti subalterni. Repubblica ripete, in della nostra storia presente — se ne occupa più. Anzi bisogna essere grati a questo lavoro di Scalfari, che qualche spiraglio lo apre. Questa unità neo-conservatrice a me pare evidente (e ancora più significativa) nel campo della cultura vera e propria. C'è un costante rifiuto non dico dell'avanguardia o della rottura, ma dell'esplorazione. E bisogna aggiungere che se le raffinatezze del Mondo (che a un certo punto — ci fa osservare Scalfari — stancarono) potevano avere valore in un'Italia che usciva dal fascismo ora non è più così. E così le pagine culturali di Repubblica sono una prosecuzione, che diventa intrattenimento di conservazione; dignitosissimo, ma in- Il fronte è in Via Veneto di Valentino Parlato Eugenio scalfari, La sera andavamo in via Veneto. Storia di un gruppo dal "Mondo" alla "Repubblica", Mondadori, Milano 1986, pp. 383, Lit. 22.000. La cifra, indubbiamente più affascinante, di questo bel libro, che naviga pianamente tra la "storia patria" e la "Recherche", è la suggestione della memoria. Inevitabile la tentazione di cominciare questa recensione scrivendo: "La sera non andavo in via Veneto, allora ero un colo-nial boy, che viveva in Libia e quando, alla fine del 1951 approdai fortunosamente a Roma ero già militante del Pei, in un'Italia divisa rigidamente in due dalla guerra fredda. Tuttavia, anche a Tripoli leggevo II Mondo, ero, senza saperlo "un proustiano di colonia" e la sera facevo tardi nei locali arabi, bevendo buha, che è un micidiale distillato di datteri". E via proseguendo. C'è poco da fare, la suggestione della memoria, specie a una certa età, prende e debbo riconoscere che la prima parte si legge d'un fiato e ci sono pagine mirabili, per esempio quella sul funerale di Pannunzio, che fa tornare alla mente un altro romanzo di quella stagione, "L'età della ragione" di Sartre, un autore — singolarmente e significativamente — poco sentito in questo libro: è citato solo due volte e sempre per la stessa "cosa". Ma liberi dalle suggestioni della memoria e dai narcisismi, questo è un libro politico e di storia politica, il che ne aumenta il peso. La storia politica ognuno se la scrive secondo la propria politica: in questo non c'è niente di superficialmente strumentale, ma piuttosto uno sforzo di coerenza intellettuale. Quella che Scalfari ricorda e rielabora è una importante corrente poli-tico-culturale del paese con la quale la sinistra è impegnata a fare i conti non da oggi. Scalfari sa bene, e lo dice, che all'origine c'è Leo Longanesi (cioè la destra) e sviluppa un attento riesame dei momenti' di composizione e scomposizione del filone azionista e di quello liberista; degli insegnamenti di Croce e di Einaudi, di Giovanni Amendola e di Gaetano Salvemini. Questa ricostruzione n'in è