N. 5 pag. 131 Misure manzoniane _di Gianfranco Folena_ Concordanze dei Promessi Sposi, a cura di Giorgio De Rienzo, Egidio Del Boca e Sandro Orlando, Banca del Monte di Milano-Mondadori, Milano 1985, 5 voli., pp. 5172, Lit. 400.000. Italiani, io vi esorto alle concordanze: l'appello che Gianfranco Contini ci rivolgeva, se ben ricordo, già sulle soglie degli anni Cinquanta, e che nasceva dalle esigenze del nostro lavoro filologico, fra storia della lingua, edizione e interpretazione di testi, critica stilistica, non è passato invano. Non era certo un invito alla filologia puramente formale e asettica, ma alla interpretazione e al commento dei testi. Le concordanze sono infatti strumenti di primaria e insostituibile importanza per i filologi (intesi nel senso più largo, includendovi cioè tutte le categorie, filosofi, giuristi ecc., che hanno a che fare con l'esegesi testuale). Avere sotto gli occhi per ogni parola di un testo o di un insieme di testi un quadro sinottico o "concordanza" dì tutte le sue forme in tutte le occorrenze coi contesti relativi anche minimi, permette subito di seguire una parola in tutto il suo viaggio attraverso il testo, nelle varietà e coloriture di significato che essa man mano assume, nelle unioni e connessioni semantiche con altre parole, nelle locuzioni e anche nei clichés, nelle congruenze e talora nelle incongruenze del testo. Le concordanze stimolano con efficacia impareggiabile l'attenzione per i meccanismi e i segnali più riposti e spesso impercettibili, sottoponendo la normale lettura al controllo di una lettura paradigmatica, che è anche uno dei modi più obiettivi per saggiare la coerenza e l'unità di un testo. Ma allora, quando Contini lanciava il suo appello, le concordanze di testi italiani si contavano sulle dita di una mano: tutte provenienti d'oltre Atlantico, da quei paesi anglosassoni dove la filologia shakespeariana, dopo quella biblica e omerica, aveva assaggiato da tempo l'utilità di tali ausilii meccanici della memoria. Un professore del Collegio Nazionale dei Sordomuti degli USA confezionò manualmente la prima delle nostre conci > ; mze, quella della Divina C.nyirm ita «ul testo del Witte, che pei 'juanto appartenga ormai all'archeologia del genere (nell'ultimo ventennio ne sono state prodotte altre quattro, con un certo spreco di energie) ha reso un lungo servizio alla filologia dantesca. Essa apparve a Boston, quasi un secolo fa, nel 1888, per conto della Dante Society-di Cambridge Mass., pioniera in questo campo, e che promosse poi in loco la concordanza delle opere minori volgari di Dante, a cura di E.S. Sheldon con l'aiuto di A.C. White, edita nel 1905 (con deciso progresso di metodo e col suggestivo rapporto comparativo fra il lessico poetico, nell'alto della pagina, e il lessico della prosa, in basso); ad essa seguì nel 1912 quella delle opere latine approntata da E.K. Rand, E.H. Wilkins e A.C. White: ed è ancora il solo caso di concordanze che coprano tutta l'opera bilingue, in poesia e in prosa, di un nostro scrittore. Lo stesso anno, ancora in America, dall'altra grande università concorrente, Yale, venivano le concordanze delle Rime e dei Trionfi del Petrarca di K. McKenzie. Strumenti d'avanguardia, cui tuttavia ben pochi posero mano, fino ai nuovi orientamenti della filologia testuale e della critica stilistica. Per i cinquantanni successivi simili imprese certosine non hanno trovato da noi crediti e sostegni. Solo nell'ultimo ventennio la situazione è radicalmente mutata, per l'orientamento degli studi e per l'irresistibile ascesa del computer anche nell'orizzonte letterario, in un settore in cui l'applicazione di procedimenti elettronici computazionali e statistici si è rivelata e si rivelerà sempre più proficua e indispensabile. La provvida macchina riduce tempo e fatica, riduce di molto la possibilità di errori, obbedisce pre- sto e bene ai nostri ordini, purché siano ben formulati. La preparazione umana resta delicata e laboriosa, i risultati sono sempre commisurati al progetto, l'output ali 'input. La macchina non merita insulti, ma neppure elogi. La produzione si svolge ora con moto accelerato, anche se con scarso coordinamento di scelte e di criteri, e con lacune ancora molto sensibili: il sottile palchetto delle concordanze è diventato ormai uno scaffale onusto di milioni di parole concordate o semplicemente indicizzate. Si rischia di esserne travolti. Proprio sul testo delle prime edizioni degli Inni Sacri del Manzoni la Crusca offrì nel '67 un primo saggio di concordanze compiute con l'aiu- to di un calcolatore elettronico, e nel '71 con le nuove concordanze del Canzoniere del Petrarca offrì un modello di sapiente utilizzazione delle nuove tecniche, dopo aver accolto due anni prima la concordanza tutta manuale del Decameron, a cura di A. Barbina. Ora possediamo concordanze di poeti come Poliziano e Leopardi, anche contemporanei come Ungaretti e Sbarbaro; di grandi dialettali come Maggi e Porta e Belli, anche contemporanei come le Concordanze lemmatizzate delle poesie in dialetto tursitano di Albino Pierro, edite di recente dall'università di Pisa a cura di V. Tisano. Se ne sono prodotte in campo filosofico (come per la prima Scienza nuova del Vico) e politico-giuridico, come quelle esemplari della nostra Costituzione del 1947, che pochi adoperano. C'è poi la mole imponente di indici di forme, prodotti a Utrecht sotto la direzione di Mario Alinei e pubblicati a Bologna dal Mulino, nei due settori estremi delle origini e del Duecento e dell'italiano contempo- raneo (dal Sentiero di Calvino alla Ciociara di Moravia fino alla Ferrovia locale di Cassola). Date queste premesse, non converrà in futuro scialacquare in produzioni tanto costose e ingombranti, ma fissarsi su punti nodali della lingua e della letteratura: mancano ancora all'appello Alberti, Pulci, Boiardo e soprattutto Ariosto (per il quale è da tempo in preparazione una concordanza diacronica delle tre edizioni del Furioso) e Tasso, Machiavelli e Guicciardini, Alfieri e Foscolo, D'Annunzio e Pascoli. Ci mancavano nientemeno fino a poco fa le concordanze più attese, quelle dei Promessi sposi, come dire il diaframma e il filtro più potente del- la nostra storia linguistica dopo il Trecento. L'anno manzoniano, sul finire, ce le ha finalmente portate in 5 grossi volumi di nitida stampa solidamente rilegati, editi dalla Fondazione Mondadori col contributo della Banca del Monte di Milano, curati da Giorgio De Rienzo, Egidio Del Boca, responsabile per l'elaborazione linguistico-computazionale, e Sandro Orlando, responsabile per l'impostazione lessicografica. E il primo degli "Strumenti" nella bella collana di Testi e strumenti di filologia italiana. L'aspetto quantitativo e ponderale di questa mole onerosa ma ben digesta è quello che colpisce dapprima chi ha la fortuna di rilevare dalle mani del portapacchi tale prezioso strumento: l'insieme pesa sette chili e mezzo, cioè quindici volte più dell'edizione mondadoria-na dei PS del '40, che è il testo base (nella collana dei Classici Mondadori, patrimonio così sostanziale delle nostre lettere, che, proprio mentre alla porta accanto si realizzano imprese così benemerite e costose, è stato in- gloriosamente liquidato senza trovare alcun Palladio finanziario, ma solo difensori inermi). Testo che, corretti i pochi refusi, è stato preparato per la digestione del Leviatano elettronico, ed è riprodotto nel volume preliminare in forma "commatizza-ta" (sarebbe stato più proprio dire "colìzzata", essendo il colon e non il comma l'unità, prescelta, di senso compiuto), vale a dire con tanti a capo quanti sono i segni d'interpunzione forte seguiti da maiuscola, in progressione da 1, "L'Historia si può veramente dejfinire... " (veramente anche la parola "Introduzione" è parte del testo) a 8736, "Ma se invece fossimo riusciti ad annoiarvi...". Ci viene offerto cioè un testo strumentale e inesistente dei Promessi sposi, che se ci fa utilmente riflettere sulla varietà di misure e ritmi dei cola manzoniani e sull'importanza capitale che riveste la gerarchia dei reali capoversi, è scomodo perché comporta per ogni citazione la traduzione di quel numero in un riferimento testuale più accessibile. Il testo così segmentato occupa qui 344 pagine; i quattro volumi delle concordanze ne prendono 4665, con un rapporto quantitativo di 13,56. La mole sarebbe stata molto maggiore, quasi raddoppiata, se fossero state incluse le parole di più alta frequenza, quasi tutte le parole grammaticali, gli articoli, le congiunzioni e e o (ma è incluso e divora da solo 45 pagine non certo irrilevanti, con 1444 occorrenze), i pronomi personali atoni (come il la soggetto così importante nella sintassi manzoniana: "La c'è la Provvidenza", dice Renzo), i dimostrativi (si pensi all'uso così delicato di codesto in un milanese fiorentinizzato), i verbi essere e avere e anche venire (c'è però andare, utile per apprezzare anche alternanze colloquiali come vo e vado, simili a fo/faccio di fare, che è il lemma della concordanza di frequenza maggiore, 2485 occorrenze in 80 pagine); è presente tale, ma quale è stato "abbattuto". Questo sacrificio è stato consumato a malincuore (o a malincorpo: si veda la sottile distinzione manzoniana delle due locuzioni avverbiali, che occorrono nei PS una volta sola) dai curatori, che lamentano la dura necessità degli "abbattimenti". Ma ciò non era fatale, ed è dovuto alla troppo spaziosa impostazione tipografica. Purtroppo di tali alte frequenze non vengono forniti neppure i dati statistici che sarebbero comunque interessanti. Anche l'indice delle frequenze che chiude il volume introduttivo ne è decapitato, perdendo così validità statistica, come una graduatoria dei contribuenti che non comprendesse i maggiori. Insomma si è persa un'occasione che non si ripresenterà facilmente. Ce lo dice il confronto con l'altra finora massima impresa in questo campo, e proprio in un campo concomitante, La stampa periodica milanese della prima metà dell'Ottocento. Testi e concordanze (Pisa, Giardini, 1983), curata, sulla base di una campionatura ben ragionata di periodici, da Stefania De Stefanis Ciccone, Ilaria Bonomi e Andrea Masini. Essa ci offre un quadro largo e suggestivo del'uso scritto milanese ai tempi del Manzoni. La concomitanza è quanto mai divergente, com'è naturale, ma confronti e riscontri son pure spesso illuminanti, soprattutto per la diacronia del romanzo nelle sue riscritture. Ebbene: qui, senza alcun abbattimento, circa 600.000 occorrenze sono state concordate in contesti lineari contro 2750 pagine di grande formato. Rispetto a quella dei PS, che con le lamentate soppressioni ne presentano a occhio e croce 130.000, la densità tipografica e l'economia di spazio sono quasi otto volte maggiori. Come dire che su questo metro tutte le parole dei PS sarebbero state in un volume di for- P ! Lorenzo Cremonesi Le origini del sionismo e la nascita del kibbutz (1881-1920) pp. 265, L. 18.000 Vladimir Jankélévitch La coscienza ebraica pp. 120, L. 10.000 Editrice La Giuntina Via Ricasoli 26, Firenze