■ TINWCC " ........................................ ■Idei libri del meseHH Dopo Babele di Guido Fink Abraham Cahan, Perduti in America: una storia del ghetto di New York, SugarCo, Milano 1986, ed. orig. 1896, trad. dall'inglese e prefaz. di Mario Maffi, pp. 136, Lit. 7.500. "Scendiamo e confondiamo per sempre il loro linguaggio, in modo che mai più essi possano ascoltarsi fra di loro...". Anche se secondo alcuni commentatori ed esegeti tardivi dio appare disposto a fare un'eccezione per i figli di Abramo, in modo che possano restare fedeli alla lingua sacra originaria, gli effetti della punizione per la torre troppo orgogliosamente eretta nella valle di Shinear si avvertono ancora, e proprio fra i figli di Abramo, fin dall'inizio di questo romanzo breve, Yekl (1896), che a noi giunge a quasi un secolo dalla sua pubblicazione con il titolo singe-riano di Perduti in America: forse per evitare confusioni con un racconto che è effettivamente di I.B. Singer, Yentl, e che è stato portato sullo schermo con un certo successo da Barbra Streisand. Quando comincia il racconto, ci troviamo in un mantellificio del ghetto newyorkese del Lower East Side, uno di quegli sweatshops della nascente industria dell'abbigliamento familiari anche ai lettori di Marx; ma siamo in un momento di pausa, e la forza-lavoro accumula soltanto parole, che s'intrecciano e si accavallano con postbabeliche dissonanze; le voci rimandano alla parola scritta e questa al dizionario, vero protagonista (del resto esplicitamente ricordato: ne troviamo uno sulle ginocchia di un lavorante) di questa avventura metalinguistica. Un operaio legge un giornale inglese, un altro una rivista socialista yiddish, altri due discutono di uno spettacolo teatrale, lo stesso protagonista — Yekl, ormai divenuto yankee e fiero di chiamarsi Jake — spiega imitando l'accento irlandese dei suoi amici di Boston le parole-chiave della boxe, questo sport tipico dell'America, "un paese colto, educato, dove anche per romper l'ossa fanno ricorso alla grammatica"; manca l'ebraico, ma non del tutto, visto che uno dei lettori di gloriali dondola la testa e cantilena sut uvoce, come fosse im-mers ! TJmad. Per ovvi motivi, la letto ì ".ra nordamericana non ignora il bilinguismo, che a volte appare in primo piano nel tessuto stesso dell'operazione testuale (pensiamo a Nabokov); ma il corpus della narrativa legata alle grandi migrazioni ebraiche in terra americana, un lungo e ricco e contraddittorio macrotesto di cui questo Yekl costituisce uno dei primi affascinanti capitoli, presenta un tessuto ancora più variegato, dove l'inglese come un mantello troppo stretto non riesce a occultare le tracce delle parlate originarie, le eredità familiari dello yiddish, la memoria della lingua sacra, il contagio subito nelle precedenti tappe della diaspora. E Abraham Cahan (1860-1951), padre fondatore di questa narrativa, emigrato venti- duenne dalla natia Lituania negli Stati Uniti con una formazione politica e letteraria già ben precisa, avrebbe rispecchiato nelle sue non molte opere di fiction, alternate all'attività giornalistica e militante, questa confluenza di culture diverse, questo mescolarsi di ricordi individuali e collettivi. Tutti o quasi i suoi eroi, che come lo stesso Cahan giungono già adulti alla "seconda nascita" dell'approdo in terra americana, appaiono tesi non solo o non tanto a un'integrazione economica, quanto a una serie di riappropriazioni di carattere culturale; e le due diverse forme di escalation possono addirittura risultare inversamente proporzionali, come in quell'ironica — e pionieristica — demolizione del mito americano del successo che è il romanzo The Rise of David Levinsky (1917). Non si tratta solo di imparare le lingue, beninteso. Per questo Yekl divenuto Jake, allegro e superficiale spaccone che si lascia corteggiare dalle ragazze nelle scuole di ballo come un (meno antipatico) John Travolta fine secolo, tre anni di rapida americanizzazione sono sufficienti perché non abbia più nulla da dirsi con la moglie Giti e il piccolo Yos-selé, che troppo presto o troppo tardi chiamerà a sé, mandando loro, per la traversata, del denaro preso a prestito da una delle sue amichette. Giti, in particolare, costituisce per lui un motivo d'imbarazzo: nei modi, nell'abbigliamento, nel fisico stesso è rimasta un'ebrea della Russia nord-occidentale, e sostituendo mentalmente un razzismo "interno" evidentemente impossibile con altre forme di pregiudizio diffuse nella cultura dominante del paese, il marito yankee o quasi la definirà "peggio di un'italiana", addirittura "una squaw". Intorno a questo nucleo familiare destinato a dissolversi, Cahan orchestra voci colori e stracci colorati del Lower East Side, con una polifonia che Howells accostava a un altro dolente spaccato metropolitano di quegli anni, la Maggie di Stephen Crane. Le voci, anzitutto: com'è logico in questo mondo dove cose e persone hanno almeno due nomi (Giti dovrebbe diventare Gertie, Yosselé Joey, la fenster si chiama window, e via di questo passo), il linguaggio non più sicuro delle sue valenze semantiche o del suo rapporto con il referente rimanda esitante a equivalenti o approssimazioni in altre lingue; ma Cahan registra tutto, attento preciso e maniacale, e sembra molto riluttante quando un battibecco "sfugge a ogni descrizione" o un pensionante loda la zuppa di cavoli di Giti con parole che "si perdono nel denso liquido ristoratore". Sovrapporre a questo tessuto magmatico una ulteriore traduzione era impresa pressoché disperata (il che spiega, forse, l'enorme ritardo con cui Cahan arriva al lettore italiano); e Mario Maffi è riuscito a proporne una versione scorrevolissima e più che corretta: anche se forse sarebbe stato meglio rispettare certe parole chiave, come green-hom (novizio, non ancora "americanizzato") anziché inventare un "acerbo" che qua e là suona un po' buffo; e anche se fatalmente si perdono certi giochi verbali, come quello di Giti appena arrivata e ancora molto "acerba" a proposito delle parole dinner e thin-ner (dunque la cena americana fa dimagrire?) che fa trapelare in lei, con un guizzo d'ironia forse involontaria, la non lontana possibilità di un rovesciamento di posizioni e di un riscatto. È davvero "irrilevante" l'opera di Cahan, come suonerebbe il "frettoloso giudizio" che Maffi nella sua introduzione riprende da Leslie Fied-ler, e che Masolino d'Amico riprende a sua volta su "Tuttolibri"? In effetti, Maffi si rifà a un saggio del 1958 che Fiedler non avrebbe ristampato né nel suo libro sulla narrativa ebraica (To the Gentiles, 1969), né nella raccolta di saggi del 1971, dove anzi Cahan viene citato in modo lusinghiero. Certo, Yekl non possiede il respiro del romanzo, né la musicalità ironica e commossa di The Imported Bridegroom (1898), uno dei più bei racconti americani fine secolo. Ma al di là dei giudizi soggettivi e delle oscillazioni del gusto, Yekl sa calibrare in modo netto, preciso, privo di sentimentalismi e di sbavature, una piccola vicenda perfettamente paradigmatica. Rispetto all'ottica tradizionalmente patriarcale dei più noti autori ebreo-americani — i Bellow, i Malamud — Cahan riesce fra l'altro, proprio lui così attento alle parole e ai loro significati, a far crescere sotto i nostri occhi una figura femminile che vive di silenzi e di paure quasi tutte inespresse. La conquista implicita di una dimensione autonoma da parte di chi viene sconfitto, come Giti, e la perdita di ogni prospettiva in chi crede di aver vinto, come Yekl/Jake, costituiscono un commento eloquente, e nel 1896 non certo "irrilevante", alla legge poi più volte confermata per cui il testo dell'emigrazione consente solo delle false vittorie: forse anche perché manca una lingua in cui esprimerle; o perché ce ne sono troppe, il che è sostanzialmente la stessa cosa. La maledizione di Cam di Massimo Rostagno Giuliano Gliozzi, Le teorie della razza nell'età moderna, Loescher, Torino 1986, pp. 303, Lit. 15.500. Il termine "razza" compare nelle principali lingue europee agli inizi del mondo moderno, mentre l'espressione "razzismo" è un neologismo coniato negli anni '30 del nostro secolo. Tra questi due poli culturali e cronologici si svolgono una storia e un dibattito che il testo di Gliozzi — vasto materiale antologico efficacemente introdotto dall'autore — fa conoscere nei nodi intellettuali di fondo e nelle decisive svolte ideologiche. Nei primi secoli dell'età moderna veniva fortemente accentuato il tratto fisico, come segno di distinzione tra le razze. Nel corso del '500, un viaggiatore di nome George Best affermava che il colore nero della pelle era la visibile traccia di una maledizione inflitta da Dio a uno dei figli di Noè, Cam, colpevole di essersi unito carnalmente alla sua donna sull'arca del padre nonostante il divieto divino. In seguito la civiltà neoclassica, riprendendo i valori estetici di armonia e proporzione offri una base misurabile alla distinzione tra bello e brutto, e quindi tra razze superiori e inferiori. Si consumò infine la crisi della legittimazione biologica e somatica della superiorità razziale. Il romanticismo segnò, a questo proposito, una svolta: non più nel colore o nella conformazione del cranio andava cercata la diversità delle razze, ma nei prodotti culturali. August Wilhelm Schlegel divideva gli uomini sulla base del loro patrimonio linguistico. Le lingue indo-europee, più articolate e complesse, erano culturalmente superiori a quelle semitiche, evidenziando così anche la superiorità dei popoli che le parlavano. Si trattava, tra l'altro, di una raffinata ì ' ^ tl formazione di antisemitismo, che consentiva di porre gli ebrei, morfologicamente simili ai bianchi europei, in un gruppo etnico inferiore. La stessa storia, d'altra parte, appariva ai romantici come la vera epifania delle differenze razziali. In essa, nei suoi prodotti e nelle sue strutture appariva chiaramente quali fossero i popoli superiori e quali quelli inferiori. La teoria della razza assumeva così la paludata veste di filosofia della storia. Dal colore alla lingua, dalla maledizione divina alla superiorità intellettuale si snoda dunque una storia di idee e di cultura. E tuttavia, già in queste vicende intellettuali, di teoria della razza e non di razzismo, si intravede la filigrana in cui sinistramente e inequivocabilmente i due termini si confondono: si scorgono in essa le tracce di un'infausta vocazione che va ben oltre la pura sfera culturale verso il tragico coinvolgimento di milioni di persone. Electa I paperback Andrea Palladio L'opera completa Lionello Puppi La vita, i progetti, gli interventi di Palladio nella convergenza di passato e presente. Leon Battista Alberti L'opera completa Franco Borsi L'itinerario umano e creativo di una delle più singolari personalità artistiche dell'Umanesimo. II disegno del prodotto industriale Italia 1960-1980 Vittorio Gregotti L'affascinante storia del nostro sistema di oggetti. La ricostruzione della genesi e dello sviluppo del design. o E 0 05 Q. 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