N l'INDICE hib dei libri del me se pag. 7 41 li rende meno rilevanti per un giudizio globale. Al museo del ghetto di Praga si legge l'appunto di un internato di Theresienstadt che dichiara di aver finalmente capito perché nelle rappresentazioni medievali i martiri avevano quell'aria indifferente o addirittura ilare mentre li decollavano o arrostivano: perché non c'era niente da fare. La situazione di necessità non significa affatto che sotto il tallone di ferro i vermi umani si comportino nello stesso modo. Tutt'altro, solo significa che non si può prescindere da quel condizionamento. Levi rimprovera agli psicoanalisti di applicare al mondo dei Lager (anche quando ci sono stati come Bettelheim) nozioni semplificate desunte dal mondo "al di fuori". E ha una visibile insofferenza per il discorso dell'"incomunicabilità". Non solo perché appartiene alla categoria dei testimoni che vogliono raccontare, ma perché ha vissuto un'esperienza per cui la capacità di comunicare era fin dall'inizio una questione di vita o di morte e in cui la rinuncia volontaria alla comunicazione era l'avvisaglia della prossima fine. L'irritazione per la mistica del silenzio e dell'inadeguatezza della parola sarà unilaterale, ma è bene che ogni tanto i luoghi comuni, per fondati che siano, vengano spazzati via da chi ha il diritto di infischiarsene di Beckett e di Wittgenstein. Levi ha perfino il coraggio di non sopportare Nietzsche e di fiutare un certo rapporto tra lui e i campi di concentramento. Aveva ragione Améry di non classificarlo tra gli intellettuali. Se non avesse attenuanti troppo grosse per poter essere ignorate, costoro lo crocifiggerebbero, riparando ai peccati di omissione dell'SS. Levi tende a considerare il fenomeno dei campi di annientamento come sostanzialmente irripetibile. Credo che abbia ragione, almeno per quanto riguarda il tipo di organizzazione delle fabbriche della morte, e che sottolinei in modo con-vicente anche le differenze con i campi sovietici e altri mostri generali dal totalitarismo. Il pathos della memoria deve servire a ricostruire quest'esperienza per coloro che non la conoscono neanche per sentito dire, e sarebbe bene che il libro raggiungesse i giovani che, senza aver letto Faurisson, dubitano della realtà di queste cose semplicemente perché i mass media li hanno educati a pensare che tutto può essere fantasmagoria, con gli stessi attori che passano da Holocaust a una storia del re Artù. Levi racconta la storia insieme deliziosa e terrificante del ragazzino di una scuola in cui aveva parlato dei campi, che gli aveva spiegato in tutta serietà come avrebbe dovuto fare per scappare, esortandolo a non dimenticarsi queste regole se gli si fosse ripresentata l'occasione. Ma il distacco del mondo concen-trazionario da quello comune talvolta rompe i fili che pur li collegano. C'è sempre in fondo all'animo di Levi — in questo libro per ovvie ragioni molto meno che nella Chiave a stella o nei racconti fantascientifici — il convincimento che, superata l'intrusione dell'irrazionale, il razionalismo scientifico riuscirà a rimettere in carreggiata se stesso e il mondo. Ciò che non gli va giù è che l'onorata ditta Topf di Wiesbaden, che produceva crematori per uso civile, abbia fornito le attrezzature di Auschwitz e poi sia ritornata come niente fosse all'attività precedente senza nemmeno pensare a cambiare la propria ragione sociale. Forse questo e il segreto della "grande follia del Terzo Reich" che Levi cercava invano di scoprire in Se questo è un uomo, ma allora è un segreto universale. La scienza, la tecnica, la ragione sono passate dalla parte dell'ir-ratio senza cambiare ragione sociale. Levi lo sa benissimo, ma vuol sempre distinguere. Si veda il capitolo sulla "violenza inutile", in cui si distingue tra violenza razionale, finalizzata allo scopo anche se questo è lo sterminio, e appunto violenza inutile, destinata solo a degradare l'individuo, un'arte per l'arte in cui i tedeschi eccellevano. Anche in questo capitolo si troveranno osservazioni finissime, e anche qui è giusto opporsi alla tendenza, cui indulgiamo dal '68 in poi, ad equiparare un mese di prigione a un anno di Auschwitz. Ma questa divisione metodologica tra violenza razionale e irrazionale non è un modo di salvare la razionalità là dove non è più salvabile? E agli occhi di aspettando a Plòtzensee l'esecuzione capitale (che poi per miracolo non venne) scrisse una satira della Germania nazista intitolata con un altro acrostico Pln (cioè Postleitnummer, codice di avviamento postale), al centro della quale c'è il personaggio grottesco ma non antipatico di un ministro nazista delle poste, di origine austriaca, che escogita appunto questa mirabile invenzione. Che cosa c'è di più razionale di questo codice, che come ognun sa ci permetterà tra altri dieci anni di fare arrivare le lettere in un sol giorno da Aosta a Caltanissetta, come succedeva nel 1910, purché beninteso compiliamo la busta secondo il modello prescritto dal computer? Resta il fatto che uno scrittore che sentiva già al collo il prurito della mannaia ha scelto questa innocua razionalità per giungere al cuore dell'assurdo che ne proviene. E Levi non ha cancellato il numero di matricola incisogli sulla carne a Auschwitz perché è il ricordo di quella degradazione e di quel senso di vergogna per l'umanita che ne è colpevole su cui ha scritto pagine bellissime. Ha fatto bene, ma se gli mandassero a casa il tesserino già previsto in Germania con una banda magnetica su cui è iscritto tutto quello che non va nella nostra vita, dalla bocciatura in prima elementare alla multa per parcheggio irregolare, forse se lo metterebbe in tasca, come, temo, Tullio Pericoli: Primo Levi quel Dio che non c'è (non a quelli di Levi o ai miei) la violenza inutile dei tedeschi non potrebbe apparire un residuo barbarico, il comportamento del fanciullo che martoria l'animale prima di ucciderlo, mentre il massacratore razionale e scientifico lo trasforma subito nella famosa ombra stampata sul ponte Hiroshima? La difficoltà di delimitare la zona dell'orrore appare già in quel campo linguistico cne sembra il più neutro ma non lo è affatto, come sa Levi che gli dedica molta attenzione. Del linguaggio dei Lager si dice che era "una variante particolarmente imbarbarita" di quella che uno studioso, Victor Klemperer, aveva battezzato Lingua Tertii Imperii, "proponendone anzi l'acrostico Lti in analogia ironica con i cento altri (Nsdap, Ss, Sa, Sd, Kz, Rkpa, Wvha, Rsha, Bdm ... ) cari alla Germania di allora". Alla Germania di allora e non al mondo di oggi? Le sigle odierne denotano istituzioni più innocue? Forse. Però un altro filologo tedesco, comunista, Werner Krauss, BIBLIOTECA DELL'ECONOMISTA diretta da Federico Caffé, Siro Lombardini e Paolo Sylos Labini ECONOMIA POLITICA DEL LAVORO di Ezio Tarantelli Pagine XXII-550. quasi tutti noi. C'è un'enorme differenza? Si c'è, però ... Però agli occhi di Dio sono due forme diverse del "mondo amministrato". Ma Dio non c'è e quindi dobbiamo barcamenarci da noi tra il rischio di distinguere troppo e troppo poco. E confortante in quest'epoca paolotta vedere che l'agnosticismo di Levi ha resistito a Auschwitz e oltre, e ciò benché si rendesse conto che la fede, una fede qualsiasi, era uno strumento essenziale di sopravvivenza (anche a questo proposito egli ha pronto uno dei suoi illuminanti aneddoti, quello di un operaio francese che dopo la liberazione si meraviglia che lui avesse disperato della salvezza, perché avrebbe dovuto sapere che "Joseph était là!", e a Levi ci vuole un po' di tempo per capire che "Joseph" era Stalin). In Se questo è un uomo c'era quel Cohn che dopo ogni selezione ringraziava Dio di averlo salvato, e Levi aggiungeva che se fosse stato Dio avrebbe sputato a terra la sua preghiera. Qui ci confessa che prima di una selezione (certo non dopo) anch'egli era stato tentato di pregare. "Una preghiera in quella condizione sarebbe stata non solo assurda... ma blasfema, oscena, carica della massima empietà di cui un non credente sia capace. Cancellai questa tentazione: sapevo che altrimenti, se fossi sopravvissuto, me ne sarei dovuto vergognare". E infatti sarebbe stato vergognoso fare la "scommessa" di Pascal solo di fronte a una morte imminente, in quel luogo la cui sola esistenza era una smentita definitiva alla teodicea e quindi all'esistenza di un Dio che ha si gran braccia da accogliere tutti i pentiti d'oggidì, e Dio sa se sono molti. hovit£J Virgilio Tosi IL LINGUAGGIO DELLE IMMAGINI IN MOVIMENTO Teoria e tecnica del cinema e della televisione nella ricerca scientifica, nella didattica e nella divulgazione pp. 200 L. 18.000 Gerard Metayer LA SOCIETÀ È MALATA DI MASS-MEDIA? pp. 212 L. 18.000 Judy Dunn SORELLE E FRATELLI pp. 200 L. 15.000 Massimo Di Forti LA SOCIETÀ POST-EROTICA L'eclisse del piacere nell'età contemporanea pp. 136 L. 14.000 ARMANDO EDITORE S.R.L. P.ZZA S. SONNINO, 13 00153 ROMA TEL. 5817245-5806420 UTET