mm pag. 24 N. 4 L'Intervista Complessità e crisi della totalità Edgar Morin risponde a Carlo Bordoni Di Edgar Morin, classe 1921, direttore di ricerca al Cnrs fran- cese, figura "complessa" di scienziato sociale, si comincia a parlare più diffusamente, dopo anni di imbarazzato silenzio. Le sue opere più importanti sono tradotte con maggiore tempestività, anche se non sempre con la necessaria accuratezza, come nel caso dei primi due volumi de II Metodo (La nature de la nature e La vie de la vie), che costituiscono il suo tentativo più avanzato di fondare un'antropologia sociologica. Esiste, sì, un'edizione italiana del primo, La natura della natura (Il metodo. Ordine disordine or- ganizzazione, a cura di M. Ceruti e G. Bocchi, Feltrinelli, Milano 1983), ma incompleta e drasticamente ridotta. L'idea che il lettore nostrano si fa di Morin si fonda su testi più lontani, precedenti al- la svolta della complessità, come L'industria culturale (Il Mulino, Bologna 1963), Il paradigma perduto (Bompiani, Milano 1974), Il cinema o l'uomo immaginario (Feltrinelli, Milano 1982), e so- lo più recentemente sono apparse traduzioni in grado di chiarire il suo pensiero. Mi riferisco in particolare alle raccolte di saggi Scienza con co- scienza (a cura di P. Quattrocchi, Angeli, Milano 1984) e Sociolo- gia della sociologia (con un'introduzione di A. Abruzzese, Ed. Lavoro, Roma 1985). Pur nell'assenza di omogeneità che tali testi denunciano, essendo spesso costituiti da scritti apparsi su riviste negli anni Settanta e Òttanta, hanno però il pregio di riassumere molti dei temi cari a Morin e di renderli immediatamente com- prensibili, oltre che a fornire una sorta di carta d'identità dell'au- tore, che ci rende edotti del lungo processo di avvicinamento all'idea di complessità ("la complessità è ciò che non è semplice": ma la tautologia, ci assicura, non è che apparente). Le basi delle posizioni attuali risalgono al 1957, quando Morin fonda la rivista "Arguments", il cui proposito è di "rivedere senza alcun limite i luoghi comuni e le ideologie correnti; esercitare una critica radicale, senza dogmi né interdetti, riguardo alla realtà e ai pensieri dominanti o pretesi rivoluzionari; mettere in discussio- ne tutti gli aspetti del mondo contemporaneo — sociali, politici, umani, letterari e artistici, scientifici e filosofici". All'indomani dell'esperienza sessantottesca decide di lanciarsi coraggiosamente su questo terreno, alla ricerca di un sapere liberatorio. Scrive: "Sollecitato dalla biologia (biologia molecolare, geneti- ca, teologia), dalla teoria dell'informazione, dalla termodinamica e dai problemi epistemologici della complessità, comprendo allora che l'organizzazione deve diventare la colonna vertebrale di ogni teoria sulle cose, gli esseri e gli esistenti. Nel 1971, dopo il mio arti- colo su Monod e Jacob, Atlan mi apre alla problematica dell'auto- organizzazione, e a quella, conseguente, dell'ordine a partire dal rumore. Ciò mi ha portato a concepire la relazione ordine/disor- dine/ organizzazione, dove, lungi dal sostituire il disordine so- vrano all'ordine-re, insisto sull'inestricabile complessità che lega queste nozioni, per altro antagoniste". Le sue affermazioni sollevano perplessità ed entusiasmi di pari entità. Da una parte gli adepti della nuova epistemologia, che si definiscono complessi e organizzano senza tregua convegni e semi- nari, fondano riviste, ne curano e ne divulgano il verbo; dall'al- tra gli scettici e i detrattori, non contaminati da tanto entusiasmo innovatore, che accusano Morin di pasticciare tra le scienze, di uscire dal suo campo specifico (la sociologia), per invadere settori specializzati senza averne la necessaria competenza. Il conflitto è irriducibile e comporta due distinti approcci al sapere. Ma Morin non si scompone: evita di assumere atteggiamenti da santone del nuovo credo e cerca di dame una spiegazione razionale, anche se — necessariamente — "complessa". In occasione della prossima pubblicazione del terzo volume de La Méthode, La connaissance de la connaissance, presso l'edito- re parigino Le Seuil, abbiamo rivolto a Edgar Morin alcune do- mande. VY;: Una delle critiche che più spesso vengono rivolte alla comples- sità, in quanto nuovo metodo filosofico, è di rappresentare, di fat- to, la liquidazione del materialismo dialettico e della concezione marxista della storia, tanto da far sospettare che, sotto questa grande apertura interdisciplinare, si nasconda in realtà un nucleo ideologico reazionario. E vero che la complessità uccide la dialetti- ca* Secondo me, è falso e vero nello stesso tempo. Credo che vi siano diverse strade personali per giungere alla complessità, alle problematiche della complessità; ma ce n'è una che passa per il marxismo. Ad esempio il vecchio Lukàcs, l'ultimo Lukàcs, in un testo che è stato tradotto anche in italiano, Conversazioni con Lukdcs (De Donato, Bari 1968), ha detto espressamente che il problema della totalità si è trasformato nel problema della complessità, e Lukàcs è venuto spontaneamente a concepire l'idea che la complessità sia un problema centrale. Il che signifi- ca che uno sviluppo del marxismo può portare alla comples- sità. Così, anche Adorno aveva detto che la totalità è la "non verità", cioè che ad un certo punto è impossibile seguire una dottrina che racchiude la verità in una struttura chiusa, poiché alla fine esplode qualcosa. Si stabilisce ciò che chiamo "dialogi- ca", la quale comprende una dialettica interna, tra l'aspirazione alla totalità e la coscienza che non si può più rapportare alla to- talità. Se volete, penso che ciò che si chiama marxismo-lenini- smo, a partire dal pensiero di Marx, comporti diversi modi, più o meno degradati, di semplificare il pensiero di Marx. Ri- tengo, infatti, che il pensiero di Marx fosse complesso. In quale senso? Era in primo luogo un pensiero polinucleare, non era affat- to un pensiero che si potesse ricondurre a una sola formula. Poiché Marx non è solamente la lotta di classe, non è solamen- HH ■ ma mn M H HM ■I H