mm pag. 10 La Traduzione Emotività troppo gridata Guido Ceronetti, Come un talismano. Libro di traduzioni, se- guito dal saggio "Poesia e solitudi- ne", Adelphi, Milano 1986, pp. 214, Lit. 18.000. Non c'è dubbio che il Ceronetti traduttore di poesia è di gran lunga superiore al poeta in proprio, me- diocre, e anche al prosatore, sempre più vaticinante e tenebroso, vaga- mente iettatorio. Si vorrebbe perciò consigliare il lettore di gustarsi le versioni raccolte in questo libro pre- scindendo del tutto dal saggio post- fatorio. Non dovrebbe arrossire per l'autore di fronte all'impudicizia di dichiarazioni come questa: "La mor- te mi troverà (e così voglio mi trovi) sempre più avido di essere umano e sempre più disperato di esserlo" ecc.; e neppure sorbirsi banalità so- lenni come "la luce spirituale del diamante sepolto nella parola" o "il luttuoso serpente della Ricerca mo- derna, col suo veleno dove si con- centra l'infinito male della volontà di potenza". D'altronde in questa prosa Cero- netti, lungi dall'abbassarsi a infor- marci sui suoi criteri di traduttore, prende subito il volo verso i massi- mi problemi (Poesia e solitudine, nientemeno, s'intititola il discorso). E nulla fa, anzi, per invitare il letto- re dentro casa, ma erge minacciosi steccati. Eccolo che ci ìntima di "pronunciare ogni parola vera come fosse un'agonia o un testamento", e noi che non ci sentiamo capaci di tanto siamo ridotti al silenzio; e poiché proclama che "non serve let- tura, se non si appartenga a un Ordi- ne (sì, maiuscolo) segreto", chi per avventura sia iscritto ad altre parroc- chie o non faccia parte di parrocchia 0 unio mystica alcuna, e diffidato perfino dal leggere. Anche l'ascolto prolungato della musica, ormai se- colarizzata, è interdetto, perché im- pedisce di pensare (p. 175). Come passeremo il nostro tempo? Tuttavia, facciamoci forza e resi- stiamo. Qualche notizia indiretta sulla concezione ceronettiana del tradurre questo saggio finisce per darla, le pericolare sulla natura to- tali,.;. e ìnu-stoi .cistica dell'opera- zione empiuta nelle pagine che lo precedono: "Così, né Moderni né Antichi, né Occidenti né Orienti, né gnomici né simbolisti né eretici: so- lo dei consegnati a una posizione in- tenibile, dei testimoni della Luce umilmente nudi" ecc. E da che ban- da tiri il gusto del traduttore, ce ne accorgiamo subito dalle riserve che, nella passerella degli autori tradotti, colpiscono nient'altri che Machado, che il Nostro trova troppo compas- sato. Ma vediamo ciò che succede in pratica. Intanto le versioni ci si para- no innanzi superbamente nude, sen- za il riscontro degli originali, sot- traendosi a una verifica immediata delle soluzioni trovate dal tradutto- re: coerentemente a un disprezzo per la bassa filologia che affiora da tutta la postfazione e che fa tutt'uno col disprezzo per il momento socia- le della poesia, che anziché uscire per la strada all'avventura, in cerca dei suoi potenziali lettori, dovrebbe restarsene accoccolata nel circolo iniziatico di "quelli-che-sanno-già". Verso la fine si disegnano piccole sezioni (i paesaggi di Zola, i "guer- rieri caduti", la guerra moderna, quella civile di Spagna"); ma per il resto si mescolano liberamente, salvi 1 possibili accostamenti per parente- la tematica (ad es. a pp. 58-9 un com- miato di Kavàfis e l'addio alla vita nell'estrema poesia di Sir Walter Ra- leigh), testi delle epoche, culture e lingue più diverse. E della più diffe- rente natura. Ceronetti, nemico del- le poesie di più che una ventina di versi (cioè dell'"impoetico" dei con- nettivi razionali, della "struttura"), a brevi liriche compiute alterna fram- di Pier Vincenzo Mengaldo ca stessa fra ciò che, in poesia, è ra- zionale e ciò che non lo è, tutto di- viene intercambiabile, omologando- si all'insegna di una generica poeti- cità sempre sublime e sapienziale. Quanto suggeriscono queste sem- plici osservazioni d'ordine genetico e strutturale è confermato da un ra- pido sondaggio sui modi del tradur- de selva" acquista (e indubbiamente con intenso effetto) più sontuosa cu- pezza reso con "di giungla e oscu- rità"; e sempre in Machado un "Y era la Muerte", in anafora, acquista lo scatto dell'improvviso nella deissi segmentata di "La Morte, eccola"; un'esclamazione raciniana, contenu- ta nell'intero giro dell'alessandrino e Negli elefanti ■i Quasi una novità questo grande romanzo accolto distrattamente negli anni Cinquanta GARZANTI menti strappati da un tutto organico più ampio, si tratti di Lucrezio o di Racine, o perfino di un testo non certo sospetto di eccessiva porosità come un Quartetto di Eliot: talora, cucendo assieme frammenti distinti, come già il Quasimodo dei Lirici greci. Non solo, ma volge in poesia anche brani originariamente in pro- sa, e non necessariamente prosa ad alta valenza lirica: come può essere un pensiero di Montesquieu (che qui suona, epigraficamente: "Sia pure per la patria: mai / Cessare di dire il vero. / Per lei il cittadino / Ha l'ob- bligo di morire; / Nessuno l'ha mai di mentire"). Ed è innegabile che l'effetto di questo straniamento può essere molto suggestivo, come so- prattutto per alcuni cupo-abbaglian- ti, potenti paesaggi urbani di Zola; ma in sé l'operazione è quello che e. Così, abolita ogni differenza di storia, di culture, di livelli testuali e generi, fatta sempre uguale la distan- za del traduttore — e dunque del let- tore — dai testi, soppressa la dialetti- re ceronettiano, che ho voluto tenta- re contravvenendo all'implicito di- vieto dell'autore, e non senza la fati- ca di estrarre dagli scaffali — stante lo sterminato orizzonte linguistico e culturale del traduttore — mezza bi- blioteca. Ceronetti è traduttore radi- calmente anticlassico: che non si ar- rende, facendo di necessità virtù, al- l'evidenza che ogni traduzione non può che sottrarre espressività e mu- sica all'originale, ma può profittare di questa condanna per mettere a nudo le articolazioni del pensiero poetico. Insomma non si arrende al fatto che la traduzione è anzitutto un'opera di mediazione culturale, solo indirettamente poetica, e vuole renderla immediatamente poetica. Nel che c'è anche qualcosa d'eroi- co. La sua tendenza è perciò quasi sempre a sovraccaricare espressiva- mente l'originale. Un tremula di Machado diviene tremoleggiante, un armilo (detto soprattutto di tortore e colombe) di Hernàndez, gemitìo: sempre in Hernàndez "de sombra y nobilitata dall'eloquenza dell'inver- sione ("D'un incurable amour remè- des impuissants!"), si scinde sussul- toriamente nella doppia esclamativa "Rimedi inefficaci! Mia passione in- curabile!"; altrove si acuminano emotivamente in esclamative frasi che in origine non lo sono (qui stes- so "cette tète charmante" = "Oh te- sta da vertigini!"). Hernàndez o Trakl, col marchio Ceronetti, di- ventano più espressionistici di quan- to già erano. Ma è chiaro che i risultati più di- scutibili di questa accentuazione di espressivismo si hanno con poeti che praticano, e mirabilmente, l'at- tenuazione classica: Saffo, Racine, Machado. Dunque se per la prima è notevole il risultato di p. 87 ("La violenza del vento sulle querce / Di una montagna: Amore / Schianta in me la ragione"), in altro caso le for- zature del traduttore mostrano la corda: nel famoso frammento sul tramonto di luna e Pleiadi Ceronetti sostituisce, alle nude, e perciò tanto più lancinanti, constatazioni della poetessa tutta una serie di espliciti, estrovertiti indici emotivi (invoca- zioni o appelli, esclamazioni, spossa- te frasi nominali, conduplicatio): "O Luna, sei già sparita! E voi, le Pleia- di, / Vi siete fatte smorte. / Più che mezza la notte è ormai trascorsa, / quante ora partite. E io restata / So- la a dormire, a dormire sola": emoti- vità troppo gridata. E così nei fram- menti della Pbédre (complessiva- mente un po' sulla linea della versio- ne ungarettiana, di tenebrosa elo- quenza barocca), benissimo "Et dérober au jour une fiamme si noi- re" = "per far sparire / Dalla luce del giorno un cosi nero incendio", e non importa se si perde una conno- tazione culturale, l'equazione pe- trarchistica fiamma "amore" che Ra- cine rende potentemente viva meta- fora ma presuppone; però è evidente che, rendendo l'altro verso sublime "C'est Venus toute entière à sa proie attachée" con "è l'infinita Venere / Sbranante la sua preda", il tradutto- re ha squilibrato troppo a favore del primo il rapporto fra figurato e figu- rante, quasi facendo passare Racine attraverso Benn o Trakl (e infinita è proprio una cattiva soluzione). Questo sovrappiù di sontuosità espressiva è anche del ritmo, del re- spiro dei versi: dominano ben oliati endecasillabi (molto raramente falsi) che fluiscono l'uno nell'altro morbi- damente attraverso le catene di en- jambements (del resto secondo una consuetudine di tutta la tradizione novecentesca delle versioni poeti- che, da noi). L'esito è bene spesso l'omogeneizzazione ritmica dell'ori- ginale: come nel Trakl di p. 125, il cui originario frammentato si agglu- tina, o anche nel Treno dei feriti (pp. 171-2) di Hernàndez, dove il tradut- tore omette fra i suoi endecasillabi inarcati l'intercalare Silencio, soppri- mendo perciò anche pause forti e duplicità di ritmo. E s'aggiungano alcuni tocchi, più o meno indovina- ti, di letterarietà: nell'ordine del les- sico (p. 157, da Owen: "E dei fucili il balbutire e il sonito", non bene), della sintassi (inversioni, come an- che nell'esempio ora addotto, o iper- bati prolungati quali, p. 85; "per un barlume / Della mia amata Alessan- dria / E il trepidare delle sue strade. / E delle sue botteghe, scoprire", che alessandrinizza anche formal- mente l'alessandrino di spiriti Kavà- fis), della metrica (la tmesi "fugace/- mente", p. 55). Se per un verso Ceronetti molti- plica gli indici espressivi, in una sor- ta di continuo orgasmo, per l'altro non tralascia di evidenziare, o creare ex novo, segnali metafisici. Direi che il livello-base di questa tendenza si coglie già nel costante processo di sostantivazione: ad es., da Hernàn- dez, "y de tràs de elio, el cielo/ni se enturbia ni se acaba" = "E dietro a loro è il nitore / Sempre eguale del cielo", o anche dallo stesso "suavi- dad y flores" = "fiorite Mansuetudi- ni", dove collabora l'uso della maiu- scola, frequente qui come nella pro- sa del traduttore (a p. 32 p. es. è fatto maiuscolo il "Passeggero tragico" di Machado). Questa estrazione di so- stanze emblematiche può divenire vera e propria entificazione, fornitu- ra di cartellini simbolico-concettua- li. Ecco perciò, in Owen, "Where God seems not to care" metafisiciz- zato in "'Nell'impassibile dimentican- za di Dio". Nel saggio conclusivo Ceronetti discute a lungo del modo migliore di rendere il monaxià "soli- tudine" o (Pontani) "deserto" di un