pag. 9 Un ruolo solitario e difficile di Ferdinando Bandini Giacomo Noventa, Versi e poesie, a cura di Franco Mandria- ni, Marsilio, Venezia 1986, pp. 325-LXXIII, Lit. 60.000. Un avvenimento importante per la conoscenza di Giacomo Noventa è questa edizione dell'intera sua ope- ra poetica, curata da Franco Man- friani e stampata col patrocinio della regione Veneto, della provincia di Venezia e del comune di Noventa di Piave. Primo volume di una proget- tata edizione di tutte le opere di Gia- como Noventa, esso contiene, oltre alle poesie già edite, diciassette poe- sie recentemente ritrovate ed è cor- redato da un ricco apparato critico di note e di varianti frutto del lungo lavoro del curatori-, Il quale attraver- sa con sicurezza e rigore un territo- rio non privo di insidie. Il concetto di "variante" nel caso di Noventa ha aspetti particolari. Fino all'edizione di "Comunità" del 1956 il corpus poetico di Noventa era affidato a te- stimoni precari (qualche manoscrit- to, i quaderni della moglie Franca che aveva trascritto i versi del poeta sotto la sua dettatura, la memoria degli amici che lo avevano più volte sentito recitare le sue poesie). Qual- che poesia di Noventa era apparsa su riviste prima della guerra, un più fol- to gruppo di esse su "Botteghe Oscu- re" nel 1948 per iniziativa di Giorgio Bassani. Avendo Noventa deciso di affidare i suoi versi alla declamazio- ne nella cerchia cordiale de^li amici, piuttosto che alla scrittura, e eviden- te che esiste una storia delle varianti non documentabile, quella delle va- rianti orali". Due tra le poesie inedite sono tra- mandate a memoria dagli amici: In- vece de Bergson i lese Alain e Carlo Levi, fio del Levi-, quest'ultima con una variante: Come Gesù i poeti in- vece di Come Gesù ì profeti, variante dovuta a un diverso ricordo di Garo- sci e della moglie Franca. La maggior parte delle varianti d'autore sono ricavate da numerosi dattiloscritti (e qualche manoscritto) che precedono l'edizione princeps del '56 e le successive raccolte. Sem- bra quasi che il poeta, nel momento in cui è costretto ad affidarsi alla scrittura, perda lo stato di sicurezza e di grazia da lui posseduto quando recitava i propri versi a memoria. La moglie Franca ricorda, in una nota della mondadoriana del '75, il lavoro e l'ansietà del poeta quando deve preparare l'edizione delle sue poesie: "Per ognuna affronta la pena di scri- vere apportando piccole varianti alle antiche, modificando vecchie stesure e poi tornando alle prime". Singola- re il caso della poesia Co no'ghe sarà più stele (Il giudizio) di cui esistono ben 94 stesure manoscritte. Si tratta in questo caso di una poesia soltanto "scritta", destinata all'edizione del '56 dove verrà conosciuta anche da- gli amici per la prima volta. Ed è una fatica improba per Noventa, una sorta di violenza che egli fa alla natu- ra prevalentemente aedica della sua vocazione. La poesia, come si sa, è molto bella, ma seguendo nell'appa- rato del Manfriani la sua travagliata gestazione par di capire che manca a Noventa, in quel momento, il caldo contatto coi suoi ascoltatori, l'im- mediatezza della voce che interagi- sce in un pubblico. Noventa, d'ac- cordo, non era un improvvisatore, ma pensiamo che per essere sicuro di una sua poesia avesse bisogno di quell'evento comunicativo più che dell'estenuato correggere e ricorreg- gere una pagina scritta. L'esame del- le varianti delle poesie più antiche, documentate anche queste da datti- loscritti che preparano le edizioni a stampa, testimonia come il poeta do- po pentimenti e incertezze torni quasi sempre alla lezione primitiva, cosicché le varianti invece di illustra- re la progressione verso lo status fi- nale di una poesia appaiono soltanto fenomeni sporadici e provvisori di sbandamento. Ed è meglio che sia stato così. D'altronde nessuno che conosces- se la natura della poesia di Noventa poteva aspettarsi qualcosa di diver- so. Quando Noventa cambia e cor- nei nostro secolo, la critica delle va- rianti. A quella poetica appartengo- no invece quelli che egli considera suoi avversari, i "letterati della calda vita" come li chiama, per i quali la parola è lo strumento del solipsismo, di una abnorme soggettività. L'accu- sa che Noventa muove contro di lo- ro è di essere dei poeti atei, di non credere più in Pan e nelle Muse. Non credendo più nelle Muse la poe- sia dei moderni ha perso, secondo secondo verso: E nissun che li tagia e li tol. È noto che la polemica di Noven- ta contro i moderni si esercitava so- prattutto contro il "trio" Saba Unga- retti Montale, a sua volta sostenuto dal "crocchio" dei letterati dispensa- tori di elogi e creatori della fama. "Dovremo danzare intorno al croc- chio" scrive Noventa in Nulla di nuovo (Il Saggiatore, p. 63), "e dire che la nostra patria e il nostro tempo è qui?". La sua critica della moderni- tà è anche, come si vede, un'accusa di falsa modernità rivolta ai propri contemporanei. Essi credono di esse- re nel presente ma, secondo Noven- ta, sono altrove. Certo, il Noventa saggista non è sempre chiaro e sem- >5*1 1 ./L rA Di quel ciclo che si chiudeva dava conto, in certo modo, l'antologia, curata da Fernando Bandini, delle Poesie scelte (1957-1974), Mon- dadori 1975; mentre lo stesso Giudici rendeva esplicito il percorso di poetica e di riflessione critica, raccogliendo i saggi di quel decennio: La letteratura verso Hiroshima, Roma, Editori Riuniti, 1976, e indicando, per i libri a venire, la prospettiva di quell'aliter sentire.- una pro- spettiva e tensione, insieme memoriale ed esca- tologica, che si situi 'dal punto di vista della morte' (L'ottica della morte). Il male dei creditori (1977) s'inaugura dun- que nel segno delle Sparizioni, nello Sfasamen- to del punto di vista: "Dunque ero io che se ne stava andando /E col mio altro vivere al di là / Del filo dove il figlio comunicando /Il tra- passo adempiva la blanda formalità". Comin- cia a prendere forma, nella metrica e nell' ima- gerie, l'"intervallo di silenzio" che, "tra bricio- le", per minimi spostamenti, renda remoto il dire, nel trobar, clus perché da morte sigillato: "Navigato in chiusa barca". Procedendo per quella via, Il ristorante dei morti (1981) contemplerà l'inventario degli assenti", iscriverà sempre più la cadenza della poesia nei classici registri di Melancolia: "Unica musa / Nostra fu sempre Melancolia " (Tempo- ris acti). Melancolia: perdita di identità, nella morte e nell'anonimato; da questa duplice inconclu- sione ("Come di chi mai non sia giunto /A esserci né a sparire") nasce la kenosis di Lume dei tuoi misteri (1984), il "quasi niente" di Via Stilicone: "Strada uguale a dove sbando / Più ogni giorno o amica mia /Al Senzafondo al nome Morte // Che ha per compagna Follìa // Via Stilicone è a Milano la via / Più vulnera- bile che io conosca — /Una fila di case con paura / Del buio dalla fronte opposta"; o l'"eine Besonderheit des Nichts", la mistica 'particolari- tà del Nulla' di ««'infinita / infinitesima 'an- nihilatio': "Vanno spiriti e pregheremo — /Ich bin eine Besonderheit des Nichts / Mein Gott / Mein Tod" (Orazione). Ed ora è tempo di Salutz.- "Io foglia che tremo a non vento: /Eli, Eli — tacendo". In questo "refe che si affila"privilegiata tra- ma costituiscono le traduzioni: Addio, proibi- to piangere (Einaudi 1982) e la lunga fedeltà a Puskin, del quale Giudici ha volto /'Eugenio Onieghin (Garzanti 1983). "Sul fare poesia" è meditato documento di "poetica e letteratura" il volume di saggi La dama non cercata (Mondadori 1985). regge lo fa per una preoccupazione tematica, desidera chiarire o dilatare un sentimento o un pensiero, ag- giunge magari allo scopo una nuova strofa. Gli è assolutamente estranea quella poetica della parola attorno alla quale è fiorita per la prima volta, Noventa, non soltanto il suo afflato religioso ma anche il suo valore di bene collettivo, aperto (almeno in ipotesi) alla universalità degli uomi- ni. È questo il senso della bella poe- sia Dio-sa-quànti lauri nei boschi, con l'apparente clamoroso paradosso del nistici, ma ha poco da spartire coi poeti in dialetto del Novecento che mirano a collegarsi con una remota sede materna quasi alla ricerca di una nuova lingua pura della poesia. Né col dialetto Noventa intende realiz- zare un tono basso, una poesia degli oggetti e della quotidianità. Conte- nuto della sua poesia sono i grandi sentimenti dell'amore e della denun- cia civile, fusi spesso uno con l'altra come nel suo amato Heine. In mol- tissimi episodi il dialetto di Noventa si confronta, traducendo o come egli leopardianamente preferisce "imitando", con la più illustre poesia dell'Ottocento, soprattutto quella di Heine e Goethe. L'esperimento è noto nella nostra tradizione dialetta- le fin dal Cinquecento. In quel seco- lo poeti come il Calmo, come il Ma- gagnò, traducono nei loro dialetti il modello più alto e trascendentale della lingua, il Petrarca. Sono episo- di di "traduzione" connotativa che realizza la parodia sostituendo con oggetti di forte evidenza realistica quelli presenti nel testo originario (anche se non tutto in quegli esperi- menti ha intenti burleschi e la paro- dia è talvolta intesa da quei poeti nel senso etimolgico di chant-à-cóté). Niente di tutto questo in Noven- ta. La traduzione in dialetto di Goe- the e Heine appartiene alla sua stra- tegia di sortita dal Novecento; il dia- letto è anzi visto da Noventa come possibile lingua autre della poesia, lingua sacra da opporre a quella dei poeti coevi; ed è sacra perché può bra non approfondire questo concet- to. Egli vive bergsonianamente, in modo vitale, la propria posizione e non ama il luciclo rigore definitorio di Alain perché lo considera troppo legato all'analisi dell'immanente. Di- slocando in quell'altrove i presunti moderni, cercando un modo diverso di essere attuale, Noventa si è rita- gliato un ruolo solitario e difficile. La trasmissione orale delle sue poe- sie a un ristretto gruppo di amici e di estimatori fa parte di questa scelta. Quando con le edizioni a stampa la fama arriverà a Noventa, sarà in qualche maniera una fama postuma. Rileggendo le poesie di Noventa in quest'edizione del Manfriani non si può fare a meno d'interrogarci, ancora una volta, sul significato che ha in lui l'uso del dialetto. Esso è formato da una libera mescidazione del veneto e dell'italiano, dove ogni eccessiva specificità o espressività del lessico è costantemente evitata. Non soltanto Noventa è distante dalla tradizione dialettale che da Belli e Porta a Tessa mira ad esiti espressio- BULZONI VIA DEI LIBURN114 - TEL. 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