N 9 riNDjCF Pa8- 15 HHoei libri del meseHH Sessantotto, un paese straniero di Maria Luisa Pesante Luisa Passerini, Autoritratto di gruppo, Giunti, Firenze 1988, pp. 231, Lit. 15.000 "Il passato è un paese straniero: le cose si fanno diversamente lì". Ma poi: "Allo sguardo della memoria i miei ricordi sepolti di Brandham Hall sono come effetti di chiaroscu- ro, macchie di luce e di buio: solo con uno sforzo posso vederli in termini di colore. Ci sono cose che so, anche se non so come le so, e cose che ricordo. Alcune cose mi appaiono fissate come fatti, ma nessuna immagine le accompagna; allo stesso tempo ci sono immagini non provate da nes- sun fatto che si ripresentano ossessi- vamente, come il paesaggio di un sogno". Le due citazioni da Leslie Hartley (The Go-Between) mettono a fronte i due registri possibili di una memoria nettamente distinta da una storia, il registro dell'estremità e quello dell'inconscio, l'antropologi- co e lo psicoanalitico, sulla cui alter- nanza il narratore costruisce la sua narrazione. Anche il libro della Passerini è costruito su questi due registri; l'io narrante (autore del libro o gruppo che si autoritrae) presenta insieme frammenti di pratiche registrate con il distacco dell'antropologo e sondag- gi sull'inestricabile intimità dell'in- dividuo con il suo passato. I tre bloc- chi di materiali con cui è costruito il libro — "la libera elaborazione di un diario tenuto negli anni 1983-87", "due lunghe interviste" fatte all'au- trice, e "alcuni scritti autobiografici precedenti" (tra il 1974 e il 1987), e infir» capitoli fondati "su una rac- colta di interviste, compiuta negli stessi anni" a una quarantina di per- sone attive nel movimento degli stu- denti e/o degli operai (p. 227) — si alternano liberamente. Essi sono di- stinti sia tipograficamente sia per la cifra stilistica che li domina, una leg- gera auto-ironia nel diario, una sorta di cauta e sospesa riflessività nell'uso delle interviste, e un ritmo più vivace nel ricordo dei migliori anni della nostra vita. Come nel triplo autori- tratto in cui il pittore si ritrae mentre dipinge, in abiti da lavoro, dalla pro- pria immagine riflessa in uno spec- chio, un se stesso vestito in abiti curali, il soggetto appare insieme unico e sdoppiato attraverso molte- plici apparenze. Tra questi blocchi, e in parte an- che dentro ognuno di loro, si alterna- no i due percorsi possibili, e il diario può essere interpretato sia come il diario di campo di un antropologo sia come l'autoanalisi di uno psicoanali- sta. Ma l'oggetto del libro non è pro- priamente né il rigoroso hic et nunc del fare e del credere "estranei" su cui interroga e indaga l'antropologo, né il doloroso ristabilimento di nessi tra continuità e discontinuità della propria struttura psichica, senza pos- sibilità di aggirare ciò che non si desidera ricordare, che analizza lo psicostorico, o a cui partecipa lo psi- coanalista. L'oggetto del libro è piut- tosto una memoria concepita come funzione libera dai vincoli del con- trollo di realtà. Insisto sul fatto che si tratta dell'oggetto del libro, perché la Passerini tratta sempre questa me- moria come la materia del suo co- struire un discorso storico, e mai come la storia che si racconta da sé. Tuttavia in questo modo non certo ingenuo di trattare questa sorta di memoria libera come documento ne- cessariamente manipolabile, ovvero interpretabile, c'è una difficoltà — in molti casi, come in questo — poli- ticamente non innocua. La memoria non sottoposta a scrutinio è docu- mento di se stessa solo per il momen- to in cui viene registrata; se rimane anche solo un residuo- di ambiguità circa il fatto che sia anche documen- to di un prima, bisogna guardarsene. Autoritratto di gruppo mi sembra ric- co di queste ambiguità. Ne scelgo ad esempio una che riguarda, scritto in piccolo, un problema grande della storia di questo paese. A proposito del rapporto con pa- dri e madri, che è uno dei centri tematici del libro, viene citata un'in- tervista con Laura Derossi, che dice: "Mio padre faceva l'imprenditore definito 'ottocentesco' dai loro tigli" (p. 42). Ora io sospetto invece che molti di coloro che oggi presentano i loro padri come liberali li consideras- sero allora alquanto fascisti, e sono convinta che a domanda potrebbero rispondere in un modo assai articola- to, permettendoci magari perfino di capire i percorsi individuali, i rap- porti di famiglia, le esperienze preco- ci per cui gran parte degli attori del '68 arrivarono a considerare "tolle- ranza, fiducia nella libertà, nell'ini- mente, e senza nessuna malignità, è lecito chiedersi se poi quei padri che "non erano reazionari, votavano li- berale", quel vecchio giudizio così sommario che si sentiva ai margini delle assemblee nel '68 non se lo meritassero, e se l'equanimità di oggi non sia anche un cerchio che si è richiuso senza aver chiarito nessun equivoco. Credo quindi che il libro debba essere letto come il ritratto (un ri- tratto possibile) della generazione nata negli anni '40 come è oggi, 1988. E un ritratto fortemente auto- referenziale. Mi è difficile distingue- re fino a che punto questo sia il risultato del fatto che non è la storia di una generazione, dei suoi percorsi Girotondo con la Medusa di Sandro Medici WÉ Renzo Paris, Cattivi soggetti, Editori Riuni- ti, Roma 1988, pp. 208, Lit. 16.500. C'è una gran folla in questo romanzo di Ren- zo Paris. Sono tutti Cattivi soggetti ?, verrebbe subito da chiedersi. Poi ci si accorge (piccola ma ugualmente inquietante rivelazione) che tutti i personaggi tratteggiati e maltrattati da Paris altro non sono se non i buoni oggetti del suo amore. Solo gli innamorati, più o meno traditi, restano sempre ragazzi: "Mi trovavo dinanzi a una Me- dusa che mi avrebbe fatto di smalto se solo avessi osato fermare il mio sguardo più a lungo del dovuto sul suo?", si chiede angosciato l'autore ripensando agli incontri con uno dei suoi oggetti politico-letterari del desiderio. Renzo Paris di- stribuisce tutta la cattiveria che ha conservato (e affettuosamente custodito) nella sua faretra. Si esercita con irriverenze e invettive, manda in campo malvagità, spara feroci sarcasmi. Ma il suo è un rancore filiale, appassionato e crudele: che tuttavia non addenta, non ferisce. Se no, forse, quell'edipo da cui sente il bisogno di liberarsi. Il libro di Paris è un racconto che si sviluppa come una Via Crucis, dove però il dolore e la penitenza non sono obbligatori. Dalle prime tappe universitarie sessantottine (descritte più come debutto sentimentale lungo infinite pan- chine e parchi smisurati) agli approdi letterari (bellissimi gli incontri con Elsa Morante)-, dagli snobismi un po' frustrati dei cani sciolti ("Fre- quentavo, nel tempo libero, un gruppo di inse- gnanti di varia provenienza politica, un colletti- vo, come si diceva allora... ") ai "primi fuochi" femministi (quel penoso, umanissimo, orecchia- re dietro la porta di un chiuso piccolo gruppo); dalle esibizioni dei nuovi filosofi in viaggio pre- mio (' 'Guattari, che vene a dicere...") alla dispe- razione sbalordita degli anni Ottanta ("La me- moria degli italiani è corta, cortissima, quella degli ex sessantottini è interrotta, ha subito un vero bombardamento. Il pentitismo culturale dei travestiti della sinistra è giunto al livello di guardia ' '). Non è una rievocazione, questa allestita da Paris, ma uno scomporre e sovrapporre generi diversi. Certo la politica, ma anche (perché no?) la storia; e poi un continuo affidarsi a personag- gi-simbolo e a riferimenti culturali; e inoltre i sentimenti, quelli scandalosi tanto cari a Roland Barthes; e infine la letteratura, che però non è misura d'ordine: preferendo emergere, scioglier- si, ricondensarsi, rinsabbiarsi e così via. E non poteva essere diversamente. Cattivi soggetti, come Renzo Paris, come forse un'inte- ra generazione, sono parte di un 'esperienza e di un tempo che difficilmente possono essere espres- si a una dimensione. "Con la fine del Grande Girotondo — spiega l'autore — l'acqua sì era riassorbita e nel lago era venuta allo scoperto ogni specie di pesce. Se non si voleva morire soffocati bisognava cambia- re, stando attenti a non rimanere per sempre sfigurati dal corso del tempo". ■ ■ edile e in più aveva una piccola azien- da metalmeccanica, ma non era un reazionario, votava liberale" (p. 40). Il problema è se il giudizio "non era un reazionario" sia un giudizio di oggi o un giudizio di allora, se questo sia il modo in cui Laura vedeva suo padre nel '68 o il modo in cui è arrivata a vederlo oggi, che fa una bella differenza. È da notare che il linguaggio è particolarmente diretto e scarso e linguisticamente nulla sug- gerisce una scelta in un senso o in un altro; il contesto però suggerisce for- temente al lettore esterno una conti- nuità tra l'oggi e lo ieri. Ci sono quindi almeno tre interpretazioni possibili della frase come significati- va per una biografia, per una storia di vita in cui il ritratto degli attori non sia raccontato e letto falsamen- te. L'interpretazione della Passerini cancella il problema della dimensio- ne diacronica del racconto in una lettura sincronica delle ambivalenze degli attori: "Molti padri sono pre- sentati come 'liberali', nel senso che si ispiravano a ideali del liberalismo ziativa privata, nel lavoro, nella cul- tura" (ibid.) non solo come qualcosa di ottocentesco, ma come poco più che fascismo astutamente maschera- to. Questo è il nodo per cui, se non ci poniamo un po' di problemi strin- genti, e con risposte non necessaria- mente indolori, sul rapporto tra il nostro oggi e il nostro ieri, possiamo arrivare a chiudere il cerchio in modo non intenzionale e gravemente regressivo come in questi anni hanno fatto molti ex-simpatizzanti o ex-mi- litanti di movimenti e gruppi, che dopo aver esercitato l'analisi di clas- se nelle forme più aberranti, al punto da rendere quasi impraticabili nella cultura italiana le analisi sociali fon- date sulle rilevanza delle classi, han- no scoperto poi i valori della tradi- zione laica, democratica e progressi- sta (non esclusi eventuali appelli al rinnovato senso del religioso). Deboli assai questi valori nella co- scienza dei nuovi paladini, come sono sempre stati debolissimi nella storia italiana, tanto che molto seria- mamrn teatro \fERDI CORSI DI SCRITTURA CREATIVA condotti da GIUSEPPE PONTIGGIA IL LINGUAGGIO DELLA PROSA 8 incontri dal 3 al 29 novembre '88 martedì e giovedì dalle ore 18.15 alle ore 19.45 LA SPERIMENTAZIONE SULLA PROSA 8 incontri dal 26 gennaio '89 al 21 febbraio '89 Iscrizioni entro il 20 gennaio LA COMUNICAZIONE ORALE Corso intensivo - Inizio previsto marzo '89 Sede dei corsi: Teatro Verdi Milano - Via Pastrengo, 16 Informazioni e programmi ai seguenti numeri telefonici: (02) 688.00.38 - 607.16.95 reali, spesso così tragicamente co- stretti al controllo di realtà, bensì una storia della sua memoria, e fino a che punto sia il risultato della parti- colare qualità storica di questa me- moria; e probabilmente è lecito im- maginarsi una circolarità tra i due fatti. Certo però ne emerge anche un'immagine del '68 come un evento totalmente autocentrato, con anta- gonisti pallidi e ridicoli, dove la clas- se dirigente più resiliente della storia scompare del tutto. Una volta data la debita parte alla varietà dei percorsi che partono dal 1968, varietà che viene più affermata con forza che indagata nel suo concreto, questa memoria mi pare dominata da una definita rivendicazione delle proprie capacità manipolatone. La Passerini registra questa opzione in forma cau- ta: "Per questa generazione assume particolare pregnanza quello che po- tremmo chiamare il diritto all'auto- biografia, di dare un senso o più sensi al proprio passato, o almeno riuscire a sfogliarlo, a dispiegarlo" (p. 214). Ma qualche intervista la esprime con circostanziata protervia: "Insomma me lo sono raccontato così; allora il fatto di essermelo raccontato non è più un semplice racconto; è la vita che faccio perché me la sono raccon- tata così. È anche un'idea in fin dei conti sottilmente feticistica che deb- ba esserci qualche cosa, una trasfor- mazione sociale, un dio da incontra- re come cosa esterna, e che non sia semplicemente un racconto, una sto- ria: tu hai fatto una vita e quella lì dipende da come te la racconti. E da come te la racconti dipende anche che vita fai" (ibid.). 1 I liberali ottocenteschi che pro- pagandavano l'autodeterminazione dell'individuo (e tra l'altro tenevano moltissimo al proprio diritto all'au- tobiografia) avevano un senso del li- mite un po' più sviluppato, il limite della natura, il limite della storia, cioè delle biografia degli altri. Di- sgraziatamente la migliore traduzio- ne italiana disponibile per "liberali- smo" è "attualismo". Novità Paul Valéry ALL'INIZIO ERA LA FAVOLA Scritti sul mito Seguendo le tracce del mito l'avventura tra i generi lette- rari di un grande poeta, pen- satore e saggista della moder- nità. «Biblioteca letteraria», pp. 110, L.14.000 F. L. Gottlob Frege RICERCHE LOGICHE Un'opera fondamentale di uno dei padri della logica moderna. «Saggi», pp. 130, L.16.000 VELOCITA' Tempo sociale tempo umano I tempi e i ritmi della società contemporanea: la velocità indagata da filosofi, sociolo- gi, scienziati. pp. 168, L.20.000 Roberto Crocellà DILMUN GIARDINO DEL MONDO Deserti, ghiacciai, foreste, ri- cami d'acqua: la natura come giardino del mondo. Fotogra- fie di Roberto Crocellà. Pre- sentazione di Fulco Pratesi, introduzione di Franco Cardini. pp. 112, L. 60.000 GUERINI E ASSOCIATI