N 9 riNDlCF p g 8 ■■dei libri del meseI^H Le principianti di Eva Cantarella Johann Jakob Bachofen, Il Ma- triarcato, a cura di Giulio Schiavoni, Einaudi, Torino 1988, ed. orig. 1861, trad. dal tedesco di Furio Jesi e Giulio Schiavoni, pp. 522, Lit. 60.000. Nel 1933, Walter Benjamin scri- veva: "Assai prima che i simboli ar- caici, i riti della terra, i culti e la magia funeraria avessero attirato l'attenzione non solo degli esplorato- ri della mentalità primitiva, ma degli psicologi freudiani e dei letterati in generale, uno studioso svizzero ave- va tracciato un quadro della preisto- ria che spazzava via tutto quello che il senso comune del XIX secolo im- maginava sulle origini della società e della religione". Lo studioso era Jo- hann Jakob Bachofen, di cui è final- mente uscito, in traduzione italiana, il primo volume del Mutterrecht. Un'opera che Walter Benjamin, nel- l'articolo sopra citato, così descrive- va: "Esistono delle profezie scienti- fiche che si distinguono facilmente dalle previsioni scientifiche. Le pre- visioni scientifiche sono delle previ- sioni esatte nell'ordine naturale, ad esempio, o nell'ordine economico. Le profezie scientifiche, invece, me- ritano questo nome perché un senti- mento più o meno acuto delle cose future ispira delle ricerche che, di per se stesse, non escono dai quadri generali della scienza. Queste profe- zie, inoltre, dormono negli studi spe- cializzati, chiusi al grande pubblico, e i loro autori, per lo più, non fanno la figura dei precursori, né per se stessi, né davanti ai posteri. Rara- mente e tardivamente essi raggiun- gono la gloria, come è da poco acca- duto a Bachofen". In quel momento, il Mutterrecht (pubblicato a Stuttgart nel 1861) aveva già abbondantemen- te compiuto i sessant'anni. Oggi, su- perati i centoventi, ha un nuovo mo- mento di gloria: e deve questa gloria, come gli è sempre accaduto, alla sua caratteristica più peculiare, vale a dire all'incredibile ricchezza di spun- ti (non di rado, come vederemo, pro- fondamente contraddittori fra loro) che ha consentito, in momenti diver- si, letture diverse e talvolta opposte dell'ipotesi matriarcale. E ben noto che secondo Bachofen tutti i popoli erano destinati a traver- sare e avevano effettivamente tra- versato un momento di potere fem- minile, di volta in volta definito Wei- berrecht, Weibergerschaft, Mutterrecht o Gynaekokratie. Secondo la sua ipo- tesi, più precisamente, l'umanità (a partire da una fase originaria di pro- miscuità o "eterismo", nella quale il rapporto fra sessi era determinato dalla forza fisica degli uomini che sottometteva le donne al proprio vo- lere) raggiungeva un grado più eleva- to di organizzazione sociale grazie al sesso femminile che, dopo essersi ri- bellato ai soprusi maschili organiz- zando la resistenza armata (fase deH'"amazzonismo"), imponeva la "ginecocrazia demetrica", fondata sul matrimonio monogamico; e solo in una fase ulteriore gli uomini, forti della loro spiritualità, che prevaleva sulla materialità femminile, impone- vano finalmente il patriarcato, mo- mento ultimo e superiore di ogni or- ganizzazione sociale. Nessuna sor- presa, quindi (ove appena vi si riflet- ta) se Bachofen fu apprezzato da per- sonaggi diversi fra loro come Engels, Julius Evola e, più avanti negli anni, da una parte del movimento femmi- nista. Engels (che citò Bachofen nel- la Prefazione alla quarta edizione de L'origine della famiglia) utilizzò il Mutterrecht per confermare l'ipotesi che la famiglia borghese, così come non era sempre esistita, un giorno sarebbe scomparsa. Evola interpretò l'esaltazione bachofeniana della grandezza di Roma, che aveva impo- sto definitivamente il patriarcato, come una prova della superiorità del- la razza ariana. Le femministe degli anni Settanta (in particolare Evelyn Reed) affermarono che il Mutterrecht dimostrava che la scienza maschile rifiutava per principio e per pregiu- dizio di ammettere che le donne non erano naturalmente destinate alla su- tito di attualità: quello sulla cosid- detta "differenza sessuale", che ha in Bachofen un suo singolare, origi- nalissimo precursore. Per lo storico svizzero il diritto materno era qualcosa che andava ben oltre un'organizzazione familiare e sociale. Era un momento dello spiri- to, della religione, della mentalità, della psicologia. Era una fase nella quale il "principio materno", con i suoi simboli e i suoi valori, aveva informato di sé ogni manifestazione della vita, sia materiale sia interiore. Il "principio femminile" era terra, notte, passività. Nell'età ginecocra- tica, pertanto, la sinistra (simbolo — appunto — della passività femmini- le) aveva maggior importanza della dere, le cose non stanno affatto in questi termini. Certamente, del prin- cipio femminile egli era un romanti- co e nostalgico estimatore (come del resto era nella sua indole, per tutto ciò che riguardava il passato). Per rendersene conto, basterà ripensare alla sua celebre definizione della gi- necocrazia come "poesia della sto- ria". Ma per capire il giudizio di valore dato alla contrapposizione fra i sessi è necessario riflettere sul modo in cui descrive il principio pa- terno e, soprattutto, sulle parole con cui tratteggia il passaggio dal Mutter- recht al patriarcato. L'esistenza ca- ratterizzata dalla dominanza del "principio femminile", leggiamo nell'Introduzione al Mutterrecht, "è La prima svolta della Cina di Eranco Gatti Guido Samarani, Una modernizzazione mancata. Aspetti e problemi dello sviluppo capi- talistico in Cina tra le due guerre, Cafoscarina, Venezia 1987, pp. XII-298, s.i.p. Il libro raccoglie parecchi articoli e documenti che Samarani ha direttamente tradotto dal cine- se, oltre ad alcuni suoi saggi, ed è introdotto dalle pagine di Paolo Santangelo che espone il dibattito storiografico sulla mancata moderniz- zazione della Cina. Per contribuire a chiarire questa problematica centrale della storia cinese, Samarani indaga il periodo compreso tra le due guerre mondiali e rivolge la sua attenzione soprattutto alle condi- zioni di vita e di lavoro del proletariato: la partecipazione operaia alla lotta contro l'impe- rialismo, in particolare giapponese; il rapporto tra industria cinese e capitalismo straniero; il caso emblematico dell'industria della gomma "Grande Cina"; le prime esperienze politiche e ideologiche del movimento operaio. Segue, alla fine, una consistente e quasi del tutto inedita (per l'Italia) appendice di tabelle e di grafici. Samarani parte dalla considerazione che al- l'indomani della prima guerra mondiale contin- genze inteme e intemazionali abbiano impedito la modernizzazione con tale vigore da sfociare nel fallimento finale della classe dirigente, sanci- to dalla "svolta storica del 1949". Il fallimento avvenne anche se le potenze imperialiste, e quei settori sociali, economico-finanziari e culturali cinesi che dalla penetrazione straniera avevano tratto stimoli per lo sviluppo, parteciparono al tentativo di trasformazione capitalistica. A favo- re dell'ipotesi che l'obiettivo del progetto di modernizzazione consistesse nel "garantire una trasformazione limitata e controllata" della Cina, con mutamenti funzionali alla saldatura tra egemonia imperialistica e sviluppo di forze sociali parzialmente toccate dal processo di tra- sformazione, ma non affrancate dalla dipenden- za, l'autore sottolinea alcuni elementi teorici, avanza concettualizzazioni stringenti e convin- centi deduzioni. Il volume nel suo insieme si colloca accanto ad opere di altri studiosi che hanno contribuito a far conoscere a livello inter- nazionale gli studi orientali condotti in Italia. • w * ■'Ws % yyt A; fflffi 1 M * 2$ ji mm balternità. Ciascuno, insomma, uti- lizzò Bachofen isolando una parte delle sue ipotesi, e dimenticando le altre, così da fargli sostenere ipotesi che egli non avrebbe mai condiviso. Come avrebbe potuto, conservatore com'era, per non dire misoneista, pensare a una società senza classi? Il che non significa, peraltro, che egli fosse razzista. Per lui non esistevano popoli patriarcali (superiori) e popoli matriarcali (inferiori): tutti i popoli, indistintamente, dovevano attraver- sare i due stadi. E come avrebbe mai potuto apprezzare l'interpretazione femminista delle sue tesi, posto che era profondamente convinto della superiorità spirituale, intellettuale e morale del patriarcato? Ma per capi- re a fondo questa convinzione è ne- cessario approfondire un aspetto del suo pensiero che, percorrendo non solo il Mutterrecht, ma tutta la sua opera (dalla prima conferenza sul tema, del 1856, a Das lyrische Volk del 1862 a Die Sage von Tanaquildel 1870) fa sì che II Matriarcato, oggi, si inserisca di pieno diritto in un dibat- destra (legata all'attività maschile); la notte aveva la prevalenza sul gior- no, che nasceva dal suo grembo (don- de il computo del tempo in base alle notti, la scelta delle ore notturne per la battaglia, le deliberazioni e l'am- ministrazione della giustizia); la ter- ra fecondata aveva la prevalenza sul mare fecondatore, la luna sul sole. Sul terreno dei valori avevano domi- nato l'aspirazione alla giustizia, la pietà e l'uguaglianza tra tutti gli uo- mini, figli della stessa madre. Le co- stituzioni erano state democratiche, il diritto naturale aveva imposto la difesa dei deboli e degli oppressi. L'amore materno era stata la forza che aveva consentito all'umanità di crescere verso la civiltà, di opporre alla violenza l'amore, l'unità e la pace. A questo punto, sembrerebbe leci- to pensare a Bachofen come a un sostenitore della superiorità del prin- cipio femminile, o quantomeno come a un autore che attribuiva ai due principi contenuti diversi, ma pari dignità e valore. Tuttavia, a ben ve- un naturalismo ordinato, il suo tipo di pensiero è materiale, il suo svilup- po essenzialmente fisico". Invece, "il legame affettivo del figlio con il padre, lo spirito di sacrificio del fi- glio verso il genitore richiede un gra- do di sviluppo morale molto più ele- vato". Nel momento in cui è parago- nata al patriarcato, insomma, la gine- cocrazia, questa "poesia della sto- ria", comincia ad apparire in una veste diversa, e giunge, non di rado, ad essere descritta in modo non poco sorprendente. Limitiamoci a un esempio: il par. 31 del Mutterrecht, in cui è descritto il processo intentato contro Oreste, accusato, come è ben noto, di aver ucciso la madre per vendicare il pa- dre, da questa assassinato. Apollo, che lo difende, pronunzia davanti ai giudici una celebre arringa: "Non è la madre la generatrice di colui che si dice da lei generato, di suo figlio, bensì è la nutrice del feto appena in lei seminato. Generatore è chi getta il seme; e la madre è come ospite ad ospite, che accoglie e custodisce il germoglio..." (Eschilo, Eumenidi, v. 657 sgg.). Bachofen ovviamente, condivide le affermazioni di Apollo. La sentenza che manda assolto Ore- ste, egli dice, rappresenta emblema- ticamente il momento in cui il princi- pio paterno trionfa su quello mater- no. Con questa sentenza "si chiude l'epoca della vendetta di sangue, in cui la colpa genera eternamente la colpa, in un'alternanza infinita di omicidi... Nel diritto materiale del- l'epoca più antica vige la legge del sangue, nel diritto celeste della luce quello dell'espiazione. Nasce, ora, l'idea di una giustizia superiore che tiene conto di tutte le circostanze e che discende dal cielo... Il dominio dell'uomo si esercita con la dolcezza, quello della donna con la ferocia". Ma c'è di più: il patriarcato è supe- riore al diritto materno per una ra- gione ultima e determinante. Solo il principio maschile è capace di dar vita a un vero Stato. Lo Stato femminile è altra cosa: Bachofen, in qualche modo, ne am- mette l'esistenza, non solo con riferi- mento alla ginecocrazia demetrica, ma anche con riferimento a quella amazzonica (si veda, ad esempio, il par. 26 del Mutterrecht, ove si parla appunto, di Weiberstaat). Ma sul fat- to che si tratti di uno Stato degno di questo nome Bachofen ha tanti dub- bi, al punto di scrivere: "ammesso che si possa usare la parola Stato con riferimento a un popolo di donne". E infatti (a proposito del processo di Oreste) osserva che "ancora una vol- ta il principio paterno rivela la sua essenza immateriale (Unstoffli- chkeit). Esso sfocia nel concetto di Stato", mentre il principio materno non va mai oltre la famiglia materiale (Stoffliche Familie). Così, dunque, Bachofen intende la "differenza". Ma sarebbe ovviamente assurdo sot- tovalutare la sua opera sotto questo profilo. La teorizzazione della con- trapposizione tra sessi come forza che determina l'evoluzione della sto- ria è segno di un'originalità di pen- siero che a tutt'oggi continua a sor- prendere. Prima di lui, questo è vero, già altri avevano percepito e teoriz- zato la fondamentale importanza della duplicità sessuale. La cosmolo- gia di Joseph Gòrres aveva indivi- duato nell'agire della forza maschile e di quella femminile la legge stessa della vita, sia cosmica sia organica (Aphorismen iiber die Organonomie). I fratelli Grimm (Jacob, in particola- re) avevano sviluppato, nei loro studi sul linguaggio antico, la teoria della divisione dei generi e delle parole secondo il sesso (Ueber den Ursprung derSprache). Ma Bachofen trasferì la "differenza" sul piano della storia della mentalità, del diritto, della reli- gione e delle istituzioni. Quale che sia il giudizio sui contenuti che egli dà a questa differenza, l'attuale ri- flessione sul tema non può certo di- sconoscergli questo merito. Che non fu peraltro, come è ovvio, l'unico suo. Non solo grazie al Mutterrecht, ma grazie alla lunga, paziente ricerca sulle strutture di parentela presso i popoli che oggi definiamo "di inte- resse etnografico" (sfociata, nel 1880-1886, nella pubblicazione delle Antiquarische Briefe), Bachofen si è conquistato a buon diritto un posto tra i fondatori della moderna antro- pologia. E quanto basta, io credo, per dire che tradurre il Mutterrecht è stata impresa tanto ardua quanto meritoria.