N. 8 HNDICF - « HHIoei libri del meseBì Adelphi ROBERTO CALASSO Le nozze di Cadma e Armonia «Biblioteca Adelphi», pp. 466, L. 28.000 Le storie degli dèi dell'Olimpo intrecciate a quelle degli eroi, di certi uomini e di certe donne. BRUCE CHATWIN Le Vie dei Canti «Biblioteca Adelphi», pp. 390, L. 28.000 Il grande libro del nomadismo: romanzo, viaggio, indagine metafisica. ALBERTO SAVINIO Casa «la Vita» «Biblioteca Adelphi», pp. 328, 8 disegni dell'autore, L. 25.000 I racconti fantastici, ironici, di Savinio: fra «i più singolari e profondi che siano stati scritti in lingua italiana». GUIDO CERONETTI L'occhiale malinconico «Piccola Biblioteca Adelphi» pp. 224, 8 tavole f.t., L. 14.000 II mondo come appare dietro la lente dell'«occhiale malinconico» di Ceronetti. ALEXANDER LERNET-HOLENIA Il giovane Moncada «Piccola Biblioteca Adelphi», pp. 174, L. 12.000 Le avventure di un delizioso mistificatore travolto dalle proprie macchinazioni. GIOVANNI MACCHIA I moralisti classici Da Machiavelli a La Bruyère «Piccola Biblioteca Adelphi», pp. 468, L. 18.000 Una magistrale antologia, che ci guida attraverso i testi dei più grandi conoscitori delle passioni umane. CARLO MICHELSTAEDTER Dialogo della salute e altri dialoghi A cura di Sergio Campania •Piccola Biblioteca Adelphi», pp. 120, L. 9.000 «Questa è la cara, la dolce vita: mancar di tutto si; e tutto desiderare - questa è la vita». FERNANDO PESSOA Lettere alla fidanzata Con una testimonianza di Ophé-lla Queiroz A cura di Antonio Tabucchi «Piccola Biblioteca Adelphi», pp. 124, 2 tavole f.t, L. 8.500 La storia di un amore fra i più improbabili del secolo. Vivo inguaribile di Pietro Bonfiglioli Pier Paolo Pasolini, Lettere (1940-1954), a cura di Nico Nal-dini, Einaudi, Torino 1986, pp. CXXXII-738, Lit. 42.000. Pier Paolo Pasolini, Lettere (1955- 1975), a cura di Nico Nal-dini, Einaudi, Torino 1988, pp. CLXVII-786, Lit. 45.000. La pubblicazione dell'epistolario di Pasolini, oltre 1500 pagine in due volumi curati da Nico Naldini con abnegazione partecipe, è senza dubbio, a tredici anni dalla morte, da quella morte, l'evento di maggior rilievo fra le raccolte di interventi sparsi e lavori inediti estratte una dopo l'altra da un fondo che pare inesauribile (e ancora aspettiamo di leggere quel romanzo sterminato e incompiuto che sembra essere Petrolio, dove, al di là del limite di complicità e disgusto toccato da Salò, la crisi petrolifera dei primi anni '70 fa da sfondo — si dice — all'inferno di una omologazione assoluta, concepita come fine della diversità o fine del mondo). Al lavoro di Naldini e in particolare alla sua ampia Cronistoria, una biografia nitida e aderente sotto l'aspetto neutro della sequenza annalistica, spetta il merito $ji ricondurre la vita di Pasolini al suo fervore quotidiano di operosità, sincerità indifesa, amorosa pazienza pedagogica, ristabilendo l'equilibrio rispetto alla necrofilia oratoria che da tredici anni celebra nella figura del poeta assassinato il simbolo del Perseguitato e del Testimone. Con tocchi lievi il cronista-biografo riporta quell'atrocissimo fait divers (la definizione di Contini è ancora la più pertinente) all'accidentalità di un troncamento brutale, di un massacro del resto esattamente previsto dalla vittima: facile profezia per un "gattaccio" in giro di notte "in cerca d'amore" (Poesie mondane in Poesia in forma di rosa). L'epistolario documenta la conti- nuità di una vita portata ogni giorno (ogni notte) al rischio dello strappo e del vuoto, ma capace di ritessere ogni giorno il suo impegno di lavoro e di affetti. Lo strappo e il vuoto, eccessi intollerabili del vissuto, trovano spazio solo nell'opera letteraria e nei film, dalle Ceneri di Gramsci a Salò, come figure della diversità. Le lettere, al contrario, tendono prevalentemente a contenere la tensione entro una zona funzionale di servizio, sia. pure attraversata dalla furia di una prodigiosa attività produttiva: documenti di una vita ferita alle radici dal pubblico abominio della diversità, dal conformismo borghese ferocemente ottuso dell'età della guerra fredda e dall'esperienza amara della miseria, ma visitata in compenso dalla felicità del suo stesso essere diversa e, non tardivamente, dal successo. Se si eccettuano le lettere giovanili dal Friuli, ancora coinvolte nell'identità di vita e opera, il luogo dell'epistolario è propriamente quello della mediazione, una pratica sempre più rarefatta dopo il diradarsi della corrispondenza con gli amici di "Officina" verso la metà degli anni '60. Di anno in anno questa pratica appare sempre più delegata ai rapporti diretti (il telefono, la frequentazione degli amici romani) e alla organizzazione tecnica del lavoro (le segreterie delle case cinematografiche oltre alla segreteria privata tenuta dal padre e poi dalla cugina Gabriella Chiarcossi). Nell'ambito della sua funzionalità l'epistolario romano può raccogliere le cautele prudenziali dei rapporti con Livio Garzanti e, nel maggio-giugno 1968, anche la preghiera — legittima, perché no? e assolutamente dignitosa — rivolta a sodali del lavoro letterario, di non dimenticare Teorema ai momento del suffragio per il premio Strega. Mancano, è vero, ancora non disponibili, le lettere a Maria Callas, che forse potrebbero spostare in una direzione più intima il tono prevalente della corrispondenza nell'ultimo decennio. La scansione delle abiure che inserisce un vuoto d'essere nel processo storico tra Le ceneri di Gramsci, il Poema per un verso di Shakespeare e l'Abiura dalla Trilogia della vita, segna l'emergenza di una "anarchia apocalittica" (intervista a "La Stampa", 27 luglio 1971) che è propria dell'opera e ha solo pochi riflessi nelle lettere. All'epistolario non appartiene l'idea della rottura e della fine. L'epistolario attesta che al mondo finito Pasolini avrebbe continuato ad affidare i lavori letterari e cinematografici in cantiere al momento della morte. L'ultima lettera, diretta a Gianni Scalia, vuol essere, pur nella confessione di una crisi di astrazione e assenza ("Sono nel vuoto, in un vuoto quasi accademico o da ospedale psichiatrico"), il progetto di un lavoro comune, la traduzione dell'ideologia "corsara" e "luterana" nel linguaggio dell'economia politica, da pubblicare su "Nuovi Argomenti" e sul "Corriere della Sera". Soltanto due giorni prima della morte, a Stoccolma, in una dedica quasi in versi al suo traduttore svedese, troviamo un cenno di resa, riferibile al clima di ripudio dei corpi amati proprio del-1 Abiura dalla Trilogia della vita: "Con in cuore il filo di una vita (mia) che non mi interessa più". Sopravvive anche nelle lettere, immobile nel tempo tra il 1942 e il '49, tra la pubblicazione delle Poesie a Casarsa e lo "scandalo di Ramuscel-lo" che costringerà Pasolini ad abbandonare il Friuli, uno stato di favolosa anteriorità, quasi una preistoria, in cui l'epistolario e l'opera, la vita e la poesia, confondono ancora le proprie linfe; uno stato in cui, secondo i termini affettuosi di una lettera tarda a Sandro Penna (febbraio 1970), la "poesia vissuta" e la "poesia scritta", "al di fuori di ogni valore", convergono insieme nella "santità del nulla". Paradiso di tale santità o perdizione è la piccola patria letteraria del simbolismo felibri-sta, che già nel '42 attira l'attenzione di Contini. Con questa patria di elezione si identifica alle origini la diversità sessuale del poeta, la cosa che l'intero suo sistema linguistico continuerà a circoscrivere come fonte inesauribile del senso e che la critica dovrà pur risolversi ad assumere come chiave interpretativa. Dell'origine, della sua profondità riconducibile al dato naturale, il poeta, ancora immerso nel paesaggio friulano, è precocemente consapevole: "le origini della mia poesia... sono profondissime, ma... il conoscerle me le ha tolte di mezzo" (A Franco Farolfi, 22 agosto 1945: il Farolfi è in questi anni un corrisponden-te-detector). L'origine tolta, lo sprofondamento del principio e del limite, spiegano la tentazione di infinito a cui si espone nella stagione giovanile di Casarsa la poesia in volgare e in lingua: "lo scrivere in friulano è il mezzo che ho trovato per fissare una melodia infinita, o il momento poetico in cui si sente l'infinito nel soggetto" (A Franco De Gironcoli, 3 novembre 1945). E questa la stagione illimitata dei vent'anni, protratta per quasi un decennio, dove l'impressionismo lirico della moùsa pai-diké fa naufragio nell'indistinto soggetto-oggetto del paesaggio: una struggente collana di paesaggi, magari fermata nella memoria dalle luci fauves dei bombardamenti; una effusione senza fine che dagli abbozzi freschissimi dei Quaderni rossi (inediti da cui Naldini estrae primizie di una sensualità pervasiva e illimpidi-ta), il giovane poeta travasa nelle lettere e fa poi affluire entro l'esile struttura romanzesca dell'autobiografia in Atti impuri e Amado mio. Il movimento è circolare: dalla registrazione dell'esperienza esistenziale alla poesia e viceversa: "Soltanto a vent'anni — scriverà Pasolini a un poeta esordiente — la disperazione è così mescolata con la felicità, il pudore con l'incontinenza. Le auguro giorni così misti..." (A Elio Fiore, 3 aprile 1958). Entro questi orizzonti paesani e infiniti (Rimbaud e Pascoli assistono da lontano) il destino della diversità diventa vocazione alla diversità assoluta della lingua poetica. Ma identificare vita e poesia, spezzando il sigillo formale dell'ermetismo senza introdurre concessioni sostanziali alla sublimazione estetizzante, richiede la forza di una sincerità drammatica. Deriva da questa scelta, già negli ultimi anni dell'epistolario friulano, la confessione aperta della omosessualità, con cui Pasolini dà avvio alla serie torbida e risoluta dei suoi strip- » Critica del mutamento di Rocco Carbone Pier Paolo Pasolini, Il portico della morte, a cura di Cesare Segre, "Fondo P. P. Pasolini", Roma 1988, pp. XXVII - 317, Lit. 28.000. "...Il portico della morte è il più bel ricordo di Bologna. Mi ricorda l'Idiota di Dostoevskij, mi ricorda il Macbeth di Shakespeare, mi ricorda i primi libri. A quindici anni ho cominciato a comprare lì i miei primi libri, ed è stato bellissimo, perché non si legge mai più, in tutta la vita, con la gioia con cui si leggeva allora". Il brano di Pasolini, che motiva senz'altro il titolo dato al volume di suoi scritti critici, prefato acutamente da Cesare Segre, può fornire una prima chiave di lettura per queste centinaia dì pagine dedicate a libri di autori noti e meno noti, prediletti, discussi, aspramente contestati. E la gioia della lettura, la partecipazione complice a ciò su cui si sta scrivendo. Si tratta di un atteggiamento che emerge con forza, e che sembra rimanere immutabile, nella sua caratteristica cifra di scrittura, in tutto il trentennio (1941-1971) entro il quale gli artìcoli antologizzati si distribuiscono. Ma i motivi di interesse offerti dal libro sono innumerevoli. In primo luogo, occorrerà chiedersi il perché dell'esclusione di questi scritti dall'edizione delle raccolte saggistiche edite vivente Pasolini, prima fra tutte Passione e ideologia. Nella sua introduzione, Segre sottolinea come tale rifiuto derivi dal privilegio dato dall'autore, in quel volume, ad un forte disegno progettuale, ad una volontà di ordinamento che non può permettere digressioni, percorsi eccentrici, soste anche felicissime. L'"ideologia", con tutto ciò che segue, prevale sulla "passione", la regola, la indirizza. Sebbene questa situazione di delicato equili- brio sia uno degli aspetti fondamentali e costanti della letteratura pasolinìana (critica e no), certo legata, per molti aspetti, ad un'intenzione programmatica, essa può dare ragione solo in parte di un percorso mentale così instancabilmente seguito, fino alle estreme conseguenze (stilistiche e biografiche). Il rapporto di Pasolini con la letteratura, come ci è documentato dagli articoli riuniti nel libro, frutto di un lavoro giornaliero, » iC-" 7/ Tullio Pericoli: Pier Paolo Pasolini